Nota della redazione: inauguriamo con questo pezzo la rinnovata collaborazione con una delle penne più fertili e personali della critica enologica nazionale, Fabio Pracchia. Vecchio amico de L’AcquaBuona, da molti anni fra gli autori di punta dell’universo Slow Wine, Fabio non smette di rivolgere il suo sguardo incantato, profondo ed appassionato verso il mondo del vino e le sue intimità. Lo fa con spiccato senso narrativo, e con il rispetto dovuto verso tutti coloro che la terra la fanno cantare preservandone la vitalità.
Il destino dei precursori, si sa, è dapprima quello di creare fratture con la contemporaneità, poi raccogliere emuli e infine osservare la diffusione continua di un’innovazione fino a costituirsi tendenza e rovinare in moda. Così è successo per la vinificazione in anfora e oggi, durante la principale fiera del vino italiano a Verona, le anfore sono commercializzate dagli stessi rappresentanti che dieci anni fa vendevano piccoli fusti di legno da 225 litri! Tutto ciò stimola la diffidenza.
Assaggio, a seguire, il monopole Volnay 1er Cru Clos de la Bousse d’Or 2016. Stesse sensazioni di vino elegante, con decisi aromi terrosi e di spezie orientali (cumino) che amplificano la profondità olfattiva e regalano maggior sapore alla tattilità del tannino. Concludo il percorso con il Volnay 1er Cru En Caillerets 2015. Stavolta il sorso è ancora più viscoso e denso, il vino rivela nel suo passaggio una nudità inconsueta. Sulla nudità si staglia la fisionomia di un tannino posto in evidenza in tutta la sua finezza e fissa lungamente la matrice gustativa in bocca. Quest’ultimo vino è stato vinificato e affinato in terracotta, recita l’etichetta. L’anfora ha la capacità di spogliare il vino e rivelare il suolo quasi in modo contundente. Non ha del legno la gentilezza che media il contatto tra ossigeno e liquido, piuttosto esalta l’elemento primordiale della viticoltura, la pura materia. Il vino siffatto è essenziale e fragile, di una materia che brilla stagliata sul baratro dell’ossidazione.
La Terracotta e il vino è una manifestazione biennale che si svolge in un luogo bellissimo ed evocativo, l’antica fornace Agresti a Impruneta, sito storico per la produzione di terracotta a due passi da Firenze. L’evoluzione di questo evento è parallela a quella della diffusione dell’anfora. Inaugurato nel 2014 con un piccolo gruppo di produttori, è oggi fra le più belle occasioni per indagare il rapporto tra terracotta e vino, non solo per la qualità dei vignaioli presenti, ma anche per gli approfondimenti sull’origine e la diffusione dell’anfora nel corso della storia. L’edizione di quest’anno contava su realtà provenienti da tutto il globo, dall’Armenia agli Stati Uniti passando naturalmente per l’Europa: un vero e proprio viaggio intorno al mondo della vinificazione in coccio.
In virtù della sua dote rivelatrice, la terracotta si pone come strumento propedeutico d’eccellenza per definire l’essenza dei vini di territorio. Non è un caso che la maggior parte dei più bravi vignaioli in confidenza con tale materiale siano protagonisti di una viticoltura magistrale focalizzata sul mantenimento vitale del suolo. Per loro l’anfora, che di terra è fatta, è un passaggio del percorso produttivo posto in continuità con il lavoro in campagna. Una prova di tale continuità l’ho sperimentata al successivo assaggio, incontrando un’azienda americana.
L’anno scorso, in un viaggio nel Jura, Stéphane Tissot mi mostrò le sue anfore nella splendida cantina di famiglia a Montigny-lès-Arsures. Non scorderò mai il significato delle sue parole, cariche di stupore per le mie orecchie, che a memoria furono queste: «Devo ringraziare gli amici viticoltori italiani per avermi fatto conoscere la terracotta. Siete dei precursori in tale tipo di vinificazione». In effetti la compagine italiana presente a Impruneta è davvero nutrita. Stupisce, dopo anni di assaggi dei vini italiani in coccio, come in un relativo breve periodo di sperimentazione e utilizzo si possa oggi apprezzare una diffusa sicurezza esecutiva, che ci consegna vini rigorosi nell’espressione e di splendida appartenenza alla geografia di nascita.
Sono stupito dalla capacità dei tanti vignaioli intervenuti nel contesto portato all’attenzione del pubblico qui a Impruneta, riguardo il controllo della vinificazione in terracotta. Non vi sono, almeno nel mio quaderno di degustazione, vini in ossidazione; al contrario la maggior parte degli assaggi riporta in evidenza la definizione della freschezza acida. In qualche caso, ad esempio nei vini di Elisabetta Foradori, corroborata da una punta di volatile a corollario di una materia imponente e profonda. Molto interessante, al solito, l’assaggio della Barbera dell’azienda bolognese Al di là del fiume. Lo stesso vino vinificato in anfora e in acciaio regala due esperienze gustative diverse, con la versione in terracotta che, ancora una volta, innerva il vino di una fibra irruente e vitale.