Trento Riserva Extra Brut Blauwal 2010 – CESCONI
Nasce da uve chardonnay provenienti solo dalle vecchie pergole quarantennali (l’ampio fogliame di questo impianto protegge maggiormente le uve dal caldo, donando più equilibrio alle cuvée), coltivate secondo agricoltura biologica e poste sulle colline di Pressano, in località Garli, a 300 metri di altitudine. Pressatura soffice con resa finale del 50%, fermentazione alcolica e malolattica in barrique usate. Rifermentazione in bottiglia con aggiunta di zucchero e lunga sosta sui lieviti per 84 mesi. Sboccatura: luglio 2018.
Colore paglierino luminoso, riflessi cristallini. Profumi di nitidezza minerale ed eleganza pietrosa (roccia umida, scaglia calcarea) con lieviti fini che punteggiano l’olfatto in continue vibrazioni. C’è tutta l’ariosità e la complessità dello Chardonnay invecchiato. Palato succoso, teso, laminato, sottile, penetrante, dalla bollicina fine e crepitante, dal sale crescente, dal finale avvolgente, minerale, continuo. Ancora la pietra, ancora la roccia, ancora la montagna. Il boisé del legno, del tutto sottocutaneo, diventa fumé, sfumando il profilo, aggiungendo sottili nuance e integrandosi perfettamente. Terso, compatto, persistente. Un esordio che stupisce. Il Giulio Ferrari ha finalmente trovato un antagonista?
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Pietranera 2017 – MARCO DE BARTOLI
Nasce così il Pietranera, nome che rispecchia la terra lavica dell’isola che non assomiglia a nessun’altra. Il bianco che oggi i figli Renato, Sebastiano e Giuseppina continuano a produrre ha davvero pochi eguali, non solo a Pantelleria, non solo in Sicilia, non solo in Italia. Assaggiando il 2017 i sensi tramortiscono: cenere vulcanica, capperi, spremuta di agrumi. Un florilegio di sensazioni salmastre, un evocativo concentrato della natura più impervia e profonda dell’isola, una sublimazione acido-sapida dello zibibbo fatto appassire. Irresistibile, se ne beve a secchiate, ancora e ancora, la bottiglia finisce a tempo di record, la sete è incalzante come il sale che lo anima: un bianco che trasfigura il nero lavico della sua terra.
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Soave Classico Monte Fiorentine 2008 – CA’ RUGATE
Prendiamo questo Soave Classico, ad esempio, che nasce in una delle culle vulcaniche della denominazione, le Rugate. Dieci anni e non sentirli. Il colore è un giallo paglierino-dorato di perfetta luminosità. Di più: cristallino. Ovvero «simile al cristallo», «chiaro, limpido, terso», secondo le definizioni del Vocabolario Treccani, quanto «corpo trasparente dell’occhio», secondo un principio anatomico. Ebbene, dentro questa brillante luminescenza si articola un bianco dagli allietanti profumi di frutta bianca e gialla, di agrumi freschi, di note minerali, di erbe, che non tradiscono minimamente l’età, anzi sembra un vino imbottigliato da pochi anni tale è la sua intatta fragranza. Il palato non è da meno: succoso, maturo, invitante quanto fresco, dinamico, verticale, di fibra tutta nordica. Finale a trazione anteriore, sapido e vulcanico. Scintillante.
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Besler Biank 2006 – POJER & SANDRI
Le vigne sono piantate a ritocchino la cui pendenza massima raggiunge il 50%, il terreno presenta strati di sabbie brune ricche di scheletro sotto la roccia porfirica. Espressivo da subito quanto capace di evolvere ed emozionare nel tempo. Lo testimonia questo meraviglioso 2006 ancora prodotto con il vecchio uvaggio, con una raccolta scalare delle uve (al tempo non ancora lavate come oggi) e vinificazioni separate, con fermentazione e affinamento in legno di acacia per un anno: colore dorato intenso e brillante; profumi di pietra focaia, erbe di montagna, menta, agrume candito, spezie; palato denso e snello, succoso e slanciato. Che carattere e che scioltezza!
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U Neigru – POSSA
Le vigne in località Chiappella, a Riomaggiore, caratterizzate da terreni «scagliosi e irti» (giusto per citare D’Annunzio), scendono letteralmente a strapiombo sul mare. Noto per un Cinque Terre che sa di mare e per uno Sciacchetrà prodotto addirittura in tre versioni, una più interessante dell’altra, Bonanini vinifica anche un rosso di particolare personalità, derivato da uve locali dai nomi toscaneggianti (cannaiolo, bonamico).
Parte delle vigne del bonamico sono centenarie, le altre hanno vent’anni di età: esposte nel punto più caldo, molte sono nella parte più bassa dei terrazzi di Chiappella, a contatto quasi con l’acqua. Nascono su suoli scistosi e arenacei, la vendemmia è anticipata a fine agosto, con macerazione di 4 giorni e fermentazione/affinamento in barrique usate di rovere e castagno.
Il 2017 (ma l’annata non è riportata in etichetta) ha colore rubino chiaro e un naso che sprigiona sensazioni di macchia mediterranea, di oliva, di erbe aromatiche, di acciuga, di ciliegia selvatica. Palato conseguente: salmastro, ematico, mediterraneo, persistente. Il trionfo della tapenade (capperi e olive) e della garrigue, del sangue d’acciuga, dei pini silvestri.
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Limine 2012 – FRASCOLE
Un Merlot di anima chiantigiana, di quel Chianti d’altura immerso in una natura meravigliosa e selvaggia che ancora troppo in pochi conoscono. Il nome latino del vino apre le porte alla frontiera, al confine, alla soglia. La vigna è a 500 metri, nella parte più alta del podere, esposta tra sud e sud-ovest, dove si apre la valle del Falterona (la fattoria si trova sulle colline di Dicomano).
Il terreno, originato dal disfacimento delle marne di Vicchio, ha composizione prevalentemente argillosa con inclusioni di sottili strati arenacei. Le uve, coltivate secondo agricoltura biologica dal 1999, sono raccolte a ottobre, un’epoca quasi impossibile per il merlot nel resto d’Italia. Il primo anno di produzione è stato il 2008. Fermentazione in cemento, maturazione per un anno in barrique (di cui solo il 30% nuove), affinamento in bottiglia per almeno due anni.
Riaperto oggi, mi ha fatto lo stesso effetto di Ferragosto. Tripudio di sottobosco, macchia mediterranea, frutta rossa, toni balsamici. Palato succoso e slanciato, profondo e fresco, avvolgente e ritmato. Il “limine” è anche stilistico, e questo Merlot non assomiglia a nessun altro della sua categoria. Quando si dice il “terroir”.
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Vin Santo del Chianti Classico 1983 – CASTELLO DI MONTERINALDI
È di proprietà della famiglia Ciampi dal 1961. Fautore di uno stile tradizionale, Daniele Ciampi produce un Vin Santo che non si scosta dal protocollo più conosciuto: il trebbiano toscano e la malvasia del Chianti, che compongono rispettivamente il 60% e il 40% dell’uvaggio, vengono fatti appassire sottotetto per 4 mesi sui cannicci con una maturazione di 5/6 in caratelli di castagno sigillati.
Questo 1983 arriva però da una partita particolare, ritrovata dopo molti anni: quando nel 1997 l’azienda ha deciso di ricominciare la produzione del Vin Santo, sono stati ritrovati nella soffitta della villa padronale ben 70 caratelli dimenticati da decenni. Così il 1983 è stato imbottigliato nel 2016 dopo 33 anni di permanenza nel castagno: quasi un record. È stato calcolato che dai 5000 chili di uve fresche di partenza si è arrivati a produrre 650 litri di vino, una resa microscopica.
Il profilo è a dir poco magnetico. Colore mogano-ambrato. Olfatto che al più classico e irresistibile registro ossidativo di granai e frutta secca (noci, mandorle, fichi) affianca un particolarissimo, avvincente sentore di scorza d’arancia che lo impreziosisce, allieta e rilancia. Palato non particolarmente grasso, ma di buona densità, con ottimo equilibrio acido-zuccherino e una scia potente e persistente di frutta secca, miele, caramello, zabaione e… arancia sanguinella! Contrasto da urlo, bocca radiosa, sviluppo aperto a ventaglio, finale incessante.