Domenica e lunedi scorsi due gruppi di vignaioli, in rappresentanza di due territori, Soave e San Gimignano, si sono incontrati in Versilia, a Lido di Camaiore. Che cosa può accomunare i territori di Soave e San Gimignano? Sicuramente non il clima, non i terreni, non le uve (vernaccia e garganega, entrambe autoctone, ma per il resto assai diverse). Forse c’era una cosa che li accomunava. La voglia di delineare in modo sempre più netto e definitivo una nuova immagine, fondata non sul nulla, o sul poco, ma su un patrimonio naturale solido troppo a lungo immiserito dalla scelta di una produzione di vino purchessia, dalla coltivazione della vite come mestiere e non come ambizione a creare qualcosa sì di commerciabile ma anche capace di dare sensazioni forti e degne di un applauso.
Le “R(ae)gioni del Bianco” è stato in qualche modo, oltre ad un classico evento di presentazione della propria produzione vitivinicola, l’attestazione e l’esibizione di un orgoglio. Di essere ormai capaci di interpretare i rispettivi territori in modo consapevole, non banale, tale da lasciare il segno, ognuno con il background della sua terra e delle sue idee, ma accomunati dalla ricerca della qualità e dall’ostinazione nel voler comunicare storie, percorsi. Ma è stato anche qualcosa di più: è stato raccontare un passato valido mediante vini ancora perfettamente integri, anzi in grado di esprimere una ampiezza, una levigatura e un mondo di sfaccettature che i loro fratelli minori non si sognavano, pungenti e scalpitanti come erano. La magnum di Soave Contrada Salvarenza 2001 dei Fratelli Gini, la Vernaccia di San Gimignano Riserva 2002 di Panizzi, quelle 2001 e 1997 de La Lastra (solo per citarne alcune a memoria) riempivano di soddisfazione il produttore e di stupore chi le assaggiava.
Ecco, sta proprio qui il punto, e il senso di questo evento: aver fatto, queste due comunità di produttori, un passo in avanti nella consapevolezza. Sì, di avere fra le mani un grande potenziale e di saperlo usare nel modo migliore. E, da parte del pubblico, iniziare a trasformare la sorpresa di trovarsi di fronte a grandi, bei vini bianchi, magari di oltre dieci anni di età, in una emozionante ma sempre più naturale e pacifica conferma. Che quei vini non siano altro se non il risultato di un territorio vocato finalmente interpretato con dignità e competenza.
dispiaciuto per non essre intervenuto, non posso che concordare in pieno con quanto detto nell’articolo! E’ nata una nuova era dei bianchi italiani: quella della consapevolezza della loro durata nel tempo. Anzi del loro netto miglioramento… Cugini d’oltralpe…state in campana!!! Mala tempora currunt…
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dispiaciuto per non essre intervenuto, non posso che concordare in pieno con quanto detto nell’articolo! E’ nata una nuova era dei bianchi italiani: quella della consapevolezza della loro durata nel tempo. Anzi del loro netto miglioramento… Cugini d’oltralpe…state in campana!!! Mala tempora currunt…