Brunello 2006: aspetta e spera

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MONTALCINO (SI) – Diamo i numeri, come sempre d’altronde: 160 Brunello 2006 di 143 produttori differenti (più tre extra- kermesse), assaggiati e rimuginati in una due giorni ad alta intensità alcolica. Di più, 185 vini in tutto, da che mi son permesso venticinque riassaggi! Questo, in estrema sintesi, il mio Benvenuto Brunello 2011 trascorso chino sul bicchiere (lo ammetto, in ambo le giornate “ho aperto  la baracca” io, perché l’organizzazione, benevola e indulgente verso il mio irrefrenabile ardore mattutino, mi ha consentito di degustare fin dalle 8,30!).

E ancora, in estrema sintesi, il mio giudizio sull’annata: cauto ma motivato ottimismo. Mai come in questa sessione d’assaggio i vini mi sono parsi come affamati di tempo, vogliosi di tempo. E mentre per le annate precedenti, quantomeno le più recenti (penso ai 2002, 2003, 2004 e 2005), abbiamo immancabilmente registrato flessioni più o meno evidenti negli assaggi a bocce ferme effettuati nel successivo periodo estivo, quel che mi vien da pensare oggi è che la generosità di una vendemmia come la 2006, con la sua enorme infusione di materia, suggerisca di attendere il futuro con un certo ottimismo, perché ritengo che un discreto numero di vini sarà in grado di trovare quella fusione e quella compiutezza (senza sfaldamenti) che difficilmente abbiamo potuto apprezzare in questa fase evolutiva.

I tannini che ringhiano, l’alcol che sbuffa, i legni che stridono…… ci sono buone possibilità che rientrino nell’alveo di una rappresentazione più coesa e tenace del solito. Insomma, sebbene abbia dovuto cercar la compagnia di vini scorbutici, lenti, in alcuni casi persino farraginosi, devo dire che non mi è mancato lo stimolo di vederci qualcosa di buono e di bello dentro , un qualcosa che sarà. Questo il mio Brunello targato 2006.

Spiegamoci meglio però: nonostante il recupero di credibilità di alcune etichette non proprio avvezze a trasmettere i sussulti più autentici del territorio (trend stilistico già registrato da un pai0 di stagioni a questa parte), resta il fatto – verificato puntualmente ogni anno- che per una denominazione di tal blasone sono ancora troppo pochi i vini che onorano con costanza e piena dignità il nome che portano.

Nel senso che ci sono, da un lato, una marea di Brunello solo “buonini” o solo “discretocci”, e questo indipendentemente dall’annata in gioco, e dall’altro una avanguardia qualitativa che emerge con nettezza ma che spesso è costituita dai soliti nomi (anche se qua e là qualche outsider comincia a far sentire la sua voce, per fortuna). E se l’ardore del 2006 in alcuni casi potrà dare l’idea di non essere stato propriamente governato in termini di estrazione, calor’alcolico, uso dei legni, è pur vero che ogni vendemmia, anche se figlia di andamenti stagionali dissimili fra loro, con puntualità disarmante porta nei bicchieri troppi vini sostanzialmente claudicanti. E una ragione di sarà, no?

Siccome però mi va di praticare l’estrema sintesi, non ho (più) voglia di raccontare cause e concause di uno stato di fatto, che a onor del vero non riguarda solo  Montalcino . E siccome della “mia” Montalcino amo raccontare il bicchiere mezzo pieno (non foss’altro per il paesaggio, che ha pochi eguali per condizionare i cuori), senza perder tempo e pazienza ad incaponirmi su ciò che non va, ecco qua le istantanee dei vini che mi sono sembrati più interessanti.

Diciamo pure che ho raggruppato i Brunello che vanno dall’interessante in su. Naturalmente proponendoli in stretto ordine di apparizione, senza valutazioni numeriche, con le parole (e i silenzi) a far da spartiacque e a far immaginare (o almeno lo spero) il grado di coinvolgimento di un umile degustatore seriale. E nel citare doverosamente gli assenti, le aziende cioè che non desiderano partecipare a Benvenuto Brunello, ovvero (non me ne vogliano i dimenticati) Biondi Santi, Poggio di Sotto, Cerbaiona, Collosorbo, Costanti, Casanova di Neri, Valdicava, Pieve Santa Restituta, Campi di Fonterenza (più altre tre che in realtà ho recuperato a latere), chiudo con una nota a margine ma neanche troppo, se penso a quanto possa influenzare la tranquillità  di una analisi critica o la distensione dei nervi: la nuova location ricavata nel chiostro del Museo di Montalcino è molto meglio del vecchio tendone  alla Fortezza, al quale pure mi lega un affetto forse inspiegabile: spazi, ariosità, minor frastuono, microclima adeguato (ma so di colleghi abbrustoliti sotto le lampade riscaldanti)….. se ci unisci l’encomiabile servizio dei sommelier di scuola AIS, beh, dal punto di vista organizzativo il passo in avanti è stato significativo!

Collemattoni

“Ghiandoso” e viscerale, assume un passo sostenuto guadagnando brividi sapidi lungo il cammino; per adesso quei tannini sodi e fitti sembrano in grado di imbrigliare la generosità alcolica. In seguito vedremo.

Cupano

Ecco qua un Cupano finalmente “liberato”, o quasi, se stiamo alle ingerenze “roverizzate” che ne hanno segnato le ultime edizioni. Qui la dolcezza del rovere (pur presente) si stempera nelle maglie di una trama sapida e gustosa, regalando un vino meno ostruito del solito e quindi più piacevole.

Fattoi

Pirico e “baccoso”(nel senso della bacca) come Fattoi insegna, sfiora ma non tocca la ruvidità e sposa appieno il carattere. Sincero, classico, “sangiovesoso” fin nel midollo, sciorina un gusto di terragna concretezza e un finale in spolvero.

Fornacella

Di questo bicchiere mi piacciono la sincerità e la struggente compostezza aromatica (lì dove si gioca le carte migliori). Un palato rilassato e godibile, che si stringe a imbuto su tannini non finissimi, si fa comunque garante di una beva saporita, la cui valenza si misurerà probabilmente sul fronte “gastronomico”.

Fornacina

Il tipico tratto mineral-ferroso dei vini di Simone Biliorsi fa da sfondo ad un frutto integro che odora di sangiovese. Poi annovero: bella densità, attacco di bocca avvolgente, gusto dinamico, proporzioni rispettate, ottima fusione tannica. Per questo, selon moi, si affaccia ai piani alti della tipologia.

Fossacolle

Caloroso, generoso, alcolico e sanguigno, non molla la presa. Confezione “modernina” ma senza ridondanze, tannini abbondanti, energia.

Fuligni

Uno dei Brunello più delicati del parterre, ma non per questo privo di appeal. Naso a metà strada fra timidezza e sfumatura, pacato eppur attraente; bocca di buona scioltezza. Forse un po’ troppo remissivo, freschezza e bevibilità sono assicurate.

Gianni Brunelli Le Chiuse di Sotto

Un bel tessuto aromatico (fruttato, balsamico, leggermente selvatico), un gusto carnoso e un tatto avvolgente decretano uno dei migliori conseguimenti nella storia recente della casa (il migliore?). Ancora una volta un vino che onora da par suo il compianto artefice Gianni Brunelli.

Il Colle

Districandomi fra bottiglie di alterna fortuna, mi sono ostinato a vedere il bicchiere mezzo pieno nel vino di Caterina Carli, e l’ho trovato in una bocca dai fondamentali eleganti, con un briciolo di calore in esubero da smaltire rispetto al solito. Eppure sento freschezza sotto, tutta roba buona per un futuro che, lui sì, esigerà armonizzazioni e non farà sconti a nessuno.

Il Marroneto – Madonna delle Grazie

Elegante, puro, succoso, tenero ed affascinante, è vino senza forzature, di quelli che rivelano senza infingimenti il lato più sentimentale del sangiovese di Montalcino, qui trasposto in un bicchiere espressivo e ispirato.

La Colombina

Bella impronta aromatica, fiera e ghiandosa; c’è grinta , e di certo non te la manda a dire la sua irruenza (e il suo calore). Punta al sodo senza troppe sfumature, ma il sapore resta.

La Gerla

Tutto in equilibrio nei confortevoli alvei di una dichiarata correttezza formale. In altri termini tutto “ammodino”, tutto al posto giusto. Non il guizzo di una personalità superiore, ma coesione, frutto, carnosità e discreta energia.

La Lecciaia – Vigna Manapetra

Se non fai caso alle incertezze olfattive, che un po’ raffreddano gli animi, troverai un palato continuo, grintoso, dal finale incisivo, che chiede attenzioni e reclama un’altra opportunità.

La Mannella

Carnoso, sapido, risolto, slanciato… insomma, decisamente più rifinito del solito. Anzi, a parer mio, il miglior “base” mai prodotto da Marco Cortonesi.

La Mannella – I Poggiarelli

Frutto più compatto e in evidenza rispetto al base, con legno ed alcol che si fronteggiano (vedremo nel futuro se risolveranno le diatribe). Buona materia sotto, e buone vibrazioni sul palato, che è palato meno banale delle attese.

La Palazzetta

Forte, pieno, intenso, non va troppo per il sottile e l’alcolicità si fa generosa. Senti la “scorza della terra” e la china, e per questo ti piacerà. Da armonizzarsi, ma ha futuro.

Lambardi – Canalicchio di Sotto

Tre le bottiglie degustate, e tutt’e tre mi hanno parlato di un Lambardi meno sottile del solito: più ciccia, più alcol ma non la proverbiale scioltezza, quasi debba ancora digerire iniezioni abbondanti di materia. Autore ed etichetta meritano comunque il supplemento di indagine.

Le Chiuse

Razza pura, austera compostezza, dolcezza di frutto morigerata e accorta, ottima tensione e finale pirotecnico, pieno di sapore e sentimento. Mi sarà piaciuto?

Le Ragnaie

Bella rarefazione aromatica: quando la nudità è ricca di sfumature. Sapido, scattante, “finto-semplice”, è questo il vino della maturità (della consacrazione?) per questa piccola (giovane) cantina ilcinese, fra le sorprese più liete dell’anno.

Mastrojanni

Qualche esotismo ma bella saldezza aromatica. Più convincente al palato: potente, deciso, ancora rigido ma tenace. E’ Mastrojanni.

Mastrojanni – Vigna Schiena d’Asino

Profondo, aristocratico, di grande spinta e temperamento, è questo un vino struggente, austero e futuribile.

Mocali – Vigna delle Raunate

Naso di buon sottobosco e bacca selvatica; palato sapido, ben “direzionato”, niente male.

Franco Pacenti – Canalicchio

Austero e reattivo -sottobosco, liquirizia e china-, ha gusto dinamico, tannini dolci e finale di quelli seri. Bel conseguimento.

Pian delle Querci

Conferma le sue credenziali Pian delle Querci, grazie allo slancio, alla definizione, alla assenza di orpelli e di forzature. Ottimo senso dell’equilibrio.

Piancornello

Buone compostezza ed eleganza, meno legno del solito (evviva!). Più arioso, sulla via della “trasparenza”, lascia emergere con maggiore evidenza il lato suo più sensuale, e questo mi rinfranca.

Pietroso

Bel frutto qui, per un Brunello limpido, scattante, compiuto, di sincera eleganza, che rimpolpa le credenziali di questa etichetta e del suo appassionato artefice, Gianni Pignattai.

Podere Brizio – Roberto Bellini

Il timbro sapido-terroso della trama lo discosta un po’ dalla fisionomia delle ultime edizioni, più incentrata com’era sulla suadenza fruttata e sulla rotondità gustativa. Buona verve e sentimento però, solo il finale tende a contrarsi (qualche asciugatura).

Podere La Vigna

Giocato sul fascino (in)discreto della evoluzione, con sentori di terra e catrame, il Brunello di Adriano Rubegni è un rosso volitivo, selvatico, irruente, intriso di toni “scuri” e austeri, magari non per tutti i palati ma capace di attrarre.

Poggio Antico – Altero

Buona compostezza per un rosso calibratamente austero (senza eguagliare le cupezze di certe edizioni), meno estrattivo del solito, più bilanciato e godibile.

Poggio Antico

Arioso, simpatico, ben fatto, senza asperità o banalizzazioni. Non tocca vertici di complessità, quello no, ma si beve benino.

Poggio dell’Aquila

In riduzione minerale al naso, offre buona scioltezza sul palato e un certa tensione propositiva, nonostante l’alcol “sbuffi” un po’.

Quercecchio

Brunello ben proporzionato, coeso, serio, avvolgente. Buon conseguimento per Maria Grazia Salvioni (e Quercecchio sembra in grado di ripetere l’exploit della precedente annata, checchennedica la straniante -come altro chiamarla?- presentazione aziendale pubblicata sul catalogo di Benvenuto Brunello 2011).

Salvioni La Cerbaiola

Potente, generoso, flemmatico. Tannini serrati, sapidi, di bella grana. Ancora da sdilinquirsi nell’eloquio ma senti che il futuro gli apparterrà.

San Lorenzo

Buon succo, alcol che punge e guida (soprattutto al naso) una trama di buona intensità. Niente male il sentimento che lo muove, niente male l’autenticità.

San Polino

Consistente, balsamico, potente, da schiudersi. Le basi ci sono.

Sassetti Livio  – Pertimali

Legno non irreprensibile ma sotto sotto senti la razza del sangiovese: teso, sapido, continuo nello sviluppo, è vino che fila dritto al sodo. Ed è anche immancabilmente un vino old style, dal tannino “polveroso”.

Sesti

Gusto coerente con lo stile aziendale, grande affresco di ghianda e sottobosco, indiscutibile fascino , anche se non sembra godere di una tensione superiore.

Siro Pacenti

Vinoso, pulito, educato, “perfettino”, tutto sull’equilibrio e la bevibilità. Temperamento e profondità solo discreti.

Solaria

Buona espressività per un Brunello sapido, ritmato, guizzante. Patrizia Cencioni ha trovato la misura e i suoi vini concretizzano una bella compagnia, caratterizzata e confortante.

Tassi

Ben definito, anche se condotto dall’alcol , è un vino simpatico, di buona presa sul palato, non privo di eleganza.

Tenimenti Angelini Val di Suga

Buon spessore aromatico, bella verve, volume ma anche equilibrio, austerità e sapore, senza perdere continuità sul cammino.  Sicuramente una delle migliori edizioni di sempre per il “base” della casa.

Tenuta le Potazzine Gorelli

Davvero un buon bilanciamento per un sorso spigliato, tenace, dai risvolti agrumati. Bel grip e ottima persistenza, ritmo e freschezza da vendere. Ci siamo.

Tiezzi – Vigna Soccorso

Generoso, pieno ma coinvolgente nel tratto aromatico. Grande compostezza e sicura progressione sul palato, dai tannini dolci e ben rifiniti. Un Brunello importante e sinuoso, che saprà dire la sua nei piani alti della graduatoria.

Banfi – Poggio alle Mura

Espressivo, anche se non troppo articolato in questa fase evolutiva. Emerge chiaramente la timbrica varietale, non si muove agilmente ma senti che spinge. Tannini grintosi. Attendiamo.

Baricci

Fisionomia old fashioned, avvolgenza e dignità territoriale. Ma anche più incisivo, succoso, ampio e completo del solito (chissà se anche quest’anno soffrirà la concorrenza interna offerta dal Rosso di Montalcino ‘09?). Non un mostro di lunghezza, ma si fa rispettare.

Canalicchio di Sopra

L’alcol non manca ma avviluppa un frutto croccante. Vino coriaceo, tenace, serioso, austero. Bella dimensione e sapore che resta.

Canneta

Rarefatto, simpatico già a prima vista, gioca sul sottile, come al solito, e nel suo continuo accennare non smette di intrigare.

Capanna

Spirito sincero, dal quale emerge una elegante timbrica “montosoliana” . Insomma, vino eloquente e concessivo fino a mezza via, poi ecco spuntare il proverbiale tannino rigido e sodo di Capanna.

Caparzo – La Casa

Dolcezza di frutto (leggi sensualità) e buona spinta aromatica; palato fine e confortevole, dai tannini buoni e fitti. La sua cifra sta nell’eleganza.

Ciacci Piccolomini

Generoso l’apporto dell’alcol, caldo senza troppo opprimere, buona scioltezza al gusto, innervato da vibrazioni sapide.

Collelceto

Verve aromatica e bocca di buon avviluppo, coriacea e silvestre, capace di spingere. Va dritto al sodo, questo è certo, scansando magari i pertugi più eleganti, ma va dritto al sodo.

A margine:

Pian dell’Orino

Il rigore si stempera in un frutto di buona succosità che ricorda la visciola, in accenti di sottobosco umido, in umori più aspri e selvatici, in una trama fluida alla quale chiederei semmai maggiore unità, e in un andamento bellamente nature che non smette di intrigare. Tensione solo discreta.

Podere Salicutti – Piaggione

Frutto, energia, graziosa florealità: l’alcol lascia respirare dei bei profumi. Poi ecco una bocca solida, ancora indietro nello sviluppo, dai tannini incisivi e scalpitanti. E’ bocca da sciogliersi.

Stella di Campalto

Bel quadro aromatico, compatto e “aereo” al tempo stesso. Garbo espositivo, naturalezza, complicità al palato: il miglior Brunello mai prodotto da Stella di Campalto (ma siamo soltanto al terzo tentativo di sempre!).

FERNANDO PARDINI

5 COMMENTS

  1. D’accordo con te, maestro.
    Trovo una Stella di Campalto finalmente all’altezza del Rosso.
    Un Pian dell’Orino sontuoso e un Colleoni sorprendente. Tra i fuori-tenda.

    Pietroso, La Fornacina, Le Chiuse, La Mannella davvero ben riusciti. Siamo a nord della denominazione: un caso?

    Saluti
    Fabio

  2. Totalmente in accordo!!!… ma non si può non citare la riserva 2005 Ugolaia di Lisini(eccezione tra i citati 2006) e lo stile assolutamente elegante e di grande personalità del Sig. Florio Guerrini de Il Paaradiso Di Manfrtedi….Un Mostro!!!!!!!!!

  3. Per Fabio: e dai a insistere con il maestro eh!?Ti diverti proprio!? Sono curioso di assaggiare il vino di Santa Maria-Colleoni, ché da un paio di tornate di assaggio in qua mi sta stuzzicando. Quanto agli altri fuori tenda, forse non sono d’accordo sul “sontuoso” per Pian dell’Orino…
    Il nord della denominazione? No, non è un caso (penso io).

    Per Luca: ovvia la mancanza di un Riserva 2005 in un panorama 2006, anche se comprendo l’ardore emozionale dell’assaggio (del quale non so dirti niente in quanto non pervenuto). Le tre bottiglie assaggiate del Paradiso per adesso mi suggeriscono cautela. L’assetto del vino, ma non è una novità in queste fasi evolutive, non era dei più leggibili. L’attesa e il supplemento di indagine in questo caso sono d’obbligo.
    ciao
    Fernando

  4. Riscontro invece ancora molta confusione di idee nel brunello di Stella, e quell’impronta chinosa da legno che tuttora nella 2004 è ancora li’,immobile. 2005 da bere e 2006 in stile 2004. Meglio,molto meglio il rosso con 2007 e 2008 davvero buoni, e anche qui 2005 da bere al volo.
    PianDell’Orino un po’ strano, caratterizzato da note medicinali particolari,che ame personalmente non sono piaciute.
    Meglio dei tre decisamente Salicutti, potente si (15%), ma meglio delineato di tutti,nella sua complessita’ e struttura,un bel brunello.
    Miei preferiti nella due giorni
    LE CHIUSE, POtazzineGorelli, Baricci, Salvioni, Lambardi, GianniBrunelli, Ragnaie.
    E come Riserve
    LecHiuse 2004, Ugolaia 2005 e schiena d’asino 2006.

  5. per arnaldo: beh, mi pare che come vedute siamo piuttosto in linea no? Anche se Lambardi l’ho fatto rivedibile, in attesa di ritrovare nel bicchiere il Lambardi “istintivo” che piace a me. Sul fatto che il Rosso di Stella, rispetto al Brunello, sia su un altro piano non ho dubbi. Il Brunello è una idea di vino che per quella azienda deve ancora crescere (ma crescerà). Il Rosso ha pochi eguali in Italia come vino tout court. Una recentissima verticale completa in azienda, di cui fra poco racconterò, ne è la conferma. Se vuoi può essere preso come caso paradigmatico della contraddizione insita nel concetto stesso di Brunello così come da disciplinare: l’obbligata necessità di uscire con un vino sempre e comunque al 5o anno dalla vendemmia è una operazione di marketing che spesso non porta a niente di costruttivo, qualitativamente parlando. Se ci si svincolasse da questo vincolo nascerebbero dei vini puro sangiovese più buoni e anche longevi.

    fernando

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