Sono alle prese ormai da qualche settimana con l’ultimo libro di Sandro Sangiorgi, “L’invenzione della gioia” (Porthos edizioni – 2011 – 35,00€). Confesso subito di non averlo ancora terminato, ma ho deciso di scrivere ora questa recensione perché l’idea che mi sono fatto è che si tratti di un libro che non finirò mai veramente. Il volume di Sangiorgi (per il quale sono stati scomodati aggettivi e definizioni a dir poco impegnativi… il libro “definitivo” sul vino, un “autentico capolavoro della letteratura enoica”, e via dicendo…) a mio avviso è infatti uno di quei testi che andrebbero tenuti sempre a portata di mano, tanto per una veloce consultazione alla ricerca di qualche informazione o chiarimento, quanto per una lettura attenta e approfondita che stimoli la nostra riflessione e ci permetta di guardare al “liquido odoroso” con la giusta prospettiva.
“L’invenzione della gioia”, nella nicchia dell’editoria di settore, era divenuto un “caso”: io, come molti, lo avevo prenotato e pagato da anni, fidandomi ciecamente della bravura e competenza dell’autore. Doveva uscire già nel 2003, poi ancora nel 2007, infine nel 2010. Ogni volta annunciato e poi rimandato, per l’infinito travaglio interiore dello scrittore che, dopo trent’anni vissuti intensamente nel mondo del vino, è arrivato ad identificarsi a tal punto con l’oggetto della sua trattazione da raccontare: <<Mille volte mi sono chiesto cosa significasse il liquido e ciò che gli sta attorno, affinché potessi spendere tutta l’energia per dare un senso al mio lavoro. […] Oggi penso che il vino coincida con me, come se due cuori battessero in uno. Così mi spiego la sofferenza che provo ogni volta che mi tocca scriverne. […] Quando sono davanti alla tastiera e vorrei restituire tutto quello che ho macerato in questi anni di pensieri, la posta diventa altissima e nulla mi protegge. Il vino sono io e sono solo>>.
Negli anni, con l’attesa, sono cresciute anche le aspettative. Sangiorgi non poteva deludere! E infatti non delude. Il libro si presenta voluminoso già nell’aspetto (sono oltre 500 pagine!) ma acquista ancor più “peso” quando ci si rende conto della densità e vastità dei contenuti, dell’attenzione maniacale al dettaglio, dell’emotività che trapela da ogni pagina. Certo, ogni tanto emerge l’atteggiamento, diciamo così, un po’ “autoritario” di Sangiorgi, che però sa di poter esprimere con fermezza determinate posizioni perché frutto di un processo di ricerca e di crescita continua che pochi in Italia possono vantare. Però emerge anche chiaro ed assoluto il “talento didattico” dell’autore, di cui si può dire e pensare ogni cosa, ma che è stato e resta uno dei più grandi insegnanti di cultura del vino che siano mai esistiti (come può testimoniare chiunque abbia mai avuto l’esperienza di partecipare a qualcuna delle sue lezioni). Talento che appare evidente nella complessità che si cela dietro una scrittura accessibile, scorrevole, precisa e mai superflua. E proprio la parte dedicata alle parole del vino è forse quella più innovativa e senz’altro quella più sentita: in un mondo in cui, come scrive lo stesso Sangiorgi, <<[…] la descrizione degli assaggi, i ritratti dei vignaioli e dei territori, le schede tecniche aziendali replicano un copione bloccato da tempo, incapace d’insegnare e di far trapelare emotività […]>>, quello dell’autore è un invito a cercare nella varietà della lingua italiana – il cui patrimonio idiomatico e culturale è invidiato da tutti – le risorse per descrivere cosa si è provato dopo un assaggio. Le parole, restituite alla propria funzione e natura originaria, diventano così “una traccia da seguire nel percorso di educazione alla sensorialità”.
Certo alcune parti non sono per tutti e sono oggettivamente difficili: è un libro con diversi livelli di accessibilità, dai più superficiali ai più profondi, che partono dai concetti e dalle forme di un classico manuale di educazione al vino per sconfinare in quelli di un’opera letterario/filosofica, arricchita da suggestioni provenienti dal campo della pittura e della poesia. Ma qui torniamo a quello che ho scritto all’inizio: non dovete per forza leggerlo (e capirlo) tutto. Lasciatelo lì, sul comodino o sulla scrivania, e tornateci quando ne avrete voglia: sarà la vostra sensibilità, la vostra consapevolezza e, in definitiva, la vostra predisposizione all’ascolto a darvi di volta in volta la password per il livello successivo!
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