Avignonesi, si aprono i caratelli dei Vin Santo 2000

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VALIANO DI MONTEPULCIANO (SI) – Arrivando alla Fattoria Le Capezzine, una delle quattro aziende che fanno capo al marchio Avignonesi, si avverte la magia dei luoghi di confine, con le bellezze diverse ma entrambe smaglianti della campagna toscana e di quella umbra prossima al Trasimeno che si mescolano e si fondono.

Il nome Avignonesi per tanti anni ha voluto dire famiglia Falvo, Ettore in testa. Proprio loro hanno ripreso e rinsaldato la tradizione del Vin Santo, prima annata 1976, rendendo mitico quello da uve rosse (sangiovese) detto Occhio di Pernice (prima annata 1978). Oggi i giovani Falvo seguono la loro bella masseria Li Veli in Salento e qui è arrivata la belga Virginie Saverys con il suo compagno, portafoglio importante e voglia di portare avanti con continuità la storia dell’azienda, confermandone e consolidandone lo staff tecnico (Paolo Trappolini enologo consulente, coadiuvato in azienda da Gianpaolo Chetini e Ashleigh Seymour, Laura Renzi agronoma) e anzi recuperandone un pezzo di storia con il riacquisto di venti ettari di vigneti precedentemente dismessi con viti ormai vecchie di 25 anni.

Una novità in realtà va registrata, e non può sorprendere da parte di una fanatica del biologico e della medicina omeopatica: l’immediato avvio della conversione dei vigneti alla agricoltura biodinamica, oggi completata per il 20% ed in corso di avanzamento con la consulenza di Adriano Zago: il primo risultato è un Rosso di Montepulciano 2010, assaggiato in anteprima, dal colore rubino scarico e dal naso franco e “contadino”.

Ma torniamo al Vin Santo. Il rito dell’apertura dei caratelli, che avviene per tradizione alla fine della luna calante di maggio, quest’anno è stato fissato per la vigilia della luna nuova del primo giugno. Dalla vendemmia 2000 ad oggi le cose sono andate così: le uve malvasia e greco (dal colorito nome di “pulce in culo” per una caratteristica macchiolina nera presente sul fondo dell’acino) sono state messe ad appassire per sei mesi, e i primi due sono stati i più rischiosi perché lesioni e fratture nella buccia degli acini, ancora fragili, possono provocare attacchi di muffe.

Quello che accade poi ha qualcosa di misterioso, e viene osservato quasi dal buco della serratura. Inizia l’interazione con la “madre”, quella mistura di lieviti naturali locali che sono i soli che sopravvivono alle alte densità di zuccheri e del mosto. La fermentazione avviene molto lentamente per i primi 3-5 anni, partendo in primavera, poi fermandosi con il caldo, ricominciando ad ottobre e fermandosi di nuovo in inverno. L’atto finale, dieci anni dopo la vendemmia, è quello del cantiniere che apre il primo caratello, per versarne lentamente il contenuto in un ampio recipiente.

Le differenze fra caratello e caratello sono state in qualche modo anche analizzate. Dipendono dalla posizione, dalla vicinanza dalle fonti della luce, dall’altezza in funzione della quale sono misurabili i diversi gradi di evaporazione del mosto.

Ma è l’assaggio che mostra fino in fondo le peculiarità di ogni recipiente, che andranno a fondersi in un blend di definitiva complessità. Il primo caratello aperto, in posizione bassa, contiene un vino dai profumi intensi e potenti molto classici, di dattero, noce, caramello ed uva passa ed una bocca assai densa e compatta. Il contenuto del secondo, a mezza altezza fra pavimento e soffitto, appare più fresco e si alleggerisce nel finale. Il terzo, in alto, è meno complesso, evidenzia una nota dolciastra all’olfatto ma appare il più leggero e bevibile. Il quarto mette in mostra in prima linea i toni tostati, smaltati e balsamici, in un naso di indubbio fascino. Il Vin Santo Occhio di Pernice 2000, anche qui nelle sue varie versioni, aggiunge alle sensazioni confetturate della frutta rossa note chinate ed un gusto che sa alternare la straordinaria, proverbiale sua pastosità all’acidità del sangiovese, ciò che sancisce un finale della beva brillante ed invitante.

Dall’anno prossimo, forse, il rito della apertura dei caratelli si sposterà in qualche lussuosa location di Mosca o Hong Kong: meno magia ma qualche chance in più di conquistare i mercati emergenti.

Riccardo Farchioni

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