Già da quando apre il portone della lunga e centrale via Garibaldi a Maglie in provincia di Lecce, si nota subito come Benedetto Maria Cavalieri, nipote omonimo del nonno che fondò il pastificio nel 1918, abbia l’aspetto del gentiluomo del sud. Volto affilato ed arguto, modo di fare di affabile e pieno di sorrisi, sicuro affabulatore quando parla della sua creatura, che poi sarebbe la pasta. E, al di là dei modi, si sforza e riesce a far capire i mille risvolti che stanno dietro. Infatti, quella cosa che noi disinvoltamente buttiamo nell’acqua che bolle praticamente ogni giorno è una cosa seria perché racchiude sapienza e tradizione.
Se si vuole partire dall’inizio, c’è da parlare subito della miscela di grani duri, rigorosamente locali. Avete presente le immense distese gialle di “Io non ho paura” il film di Salvatores tratto dal romanzo di Niccolò Ammanniti? Beh, siamo più o meno da quelle parti. E parlando delle varietà utilizzate fa ingresso in scena per la prima volta sua maestà il glutine, che decide molto della qualità e delle caratteristiche del prodotto finale. Al glutine, per iniziare, si deve quella delicata composizione di tenacità ed elasticità graduando la quale si ottiene la flessibilità giusta nei diversi formati: se non ne serve molta per lo spaghetto, ce ne vuole tanta per le curvatissime lumache. Tenacità, elasticità, flessibilità: stiamo parlando insomma delle sensazioni fisiche, meccaniche, sulle quali magari non ci si sofferma in modo cosciente ma che sono importanti quando si mangia. Un grano canadese provato qui, per dire, era molto ricco di proteine ma dava origine ad una pasta dalla masticabilità troppo “nervosa”.
Il glutine, si diceva, è il vero protagonista di tutte le attenzioni, di tutte le cure, e viene quasi accarezzato perché da esso dipendono molte delle sensazioni gustative che ci regala poi il piatto. E il miracolo della artigianalità sta proprio in questo: riuscire con metodi sapienti frutto di esperienza, tradizione e scoperta, a manipolare arrivando quasi al livello microscopico la tessitura intima della pasta in modo che sappia assorbire adeguatamente il condimento, veicolandolo e sposandone il sapore più efficacemente possibile.
E dunque: l’impasto dalle miscele di grano con l’acqua deve avvenire a freddo, al massimo a 35 gradi perché non avvenga la “denaturazione termica” del glutine, che provoca un irrigidimento nella struttura. Poi, ancora massima delicatezza al momento di spingere l’impasto contro la trafila (in bronzo se si vuol conferire porosità, altrimenti basta il teflon), perché stavolta il glutine potrebbe “danneggiarsi” per via meccanica. Infine l’essiccamento, sempre tenendo bassa la temperatura: 53 gradi per l’aria, 40 per la pasta (perché a 60 gradi avviene la coagulazione del glutine che degrada sapori ed odori) con cicli temporali sapientemente affinati.
Il risultato sono i 48 formati diversi, ognuno con la sua originalità e con un simbolo, che non può che essere l’originalissima “ruota pazza”, chiamata così nella tradizione salentina perché non perfettamente circolare, e che prevede addirittura tre spessori della corona, del mozzo e dei raggi. O, molto più semplicemente, uno spaghetto che, per prova personale e diretta, è capace di assorbire in pochi secondi il liquido delle vongole veraci realizzando una sorta di perfetta e sensuale mantecatura, senza sforzo e senza trucchi.
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