Ve lo dice una che della Carbonara ha sempre fatto volentieri a meno. Mi perdonino la debolezza i Romani, ma così è. Però… quel gomitolo popolano e insieme nobile al palato che Alessandro Pipero ha eletto a punta di diamante nel menù del suo ultimo locale, mi ha folgorata sulla via di Damasco. Dunque: Carbonara per sempre, se a firma Pipero. “Dalla ricetta autentica, almeno per noi: spaghetto al dente, solo rosso d’uovo e niente albume, guanciale mai pancetta, non olio bensì il grasso che si scioglie dal guanciale, pepe macinato, 50% parmigiano, 50% pecorino”. Ipse dixit.
Maitre e sommelier a fianco di Antonello Colonna che se lo portò a Labico, quindi un ristorante ad Albano Laziale ai cui fornelli hanno stazionato Danilo Ciavattini, Roy Caceres, quindi Luciano Monosilio che lo ha seguito nell’avventura capitolina. “Un piccolo genio” lo definisce il patron, cadendo in piedi. Per Monosilio, un passato al fianco di Uliassi, Roscioli, infine Crippa al Piazza Duomo di Alba a perfezionare la mano mentre i lavori del nuovo ristorante procedevano spediti.
Siamo da “Pipero al Rex” in via Torino, a due passi dalla stazione Termini e dal teatro dell’Opera, in un edificio sorto alla fine dell’Ottocento per ospitare una scuderia e un villino a due piani commissionato da Guido Sforza Cesarini, conte di Santa Fiora. Diventerà hotel più tardi, nel 1936, per accogliere la clientela esclusiva che arrivava nella capitale ad assistere agli spettacoli della vicina stagione operistica. Ancora conserva l’atmosfera anni Quaranta che, saliti i gradini per varcarne la soglia, ti risucchia in uno stordimento da cui non sai se svegliarti o proseguire.
La cucina ha inaugurato ad inizio ottobre. Carbonara spacciata a peso, un menù degustazione da 9 portate a 80 euro, ricette che scavano nella tradizione più cupa e profonda. “Sono un goliardico, mi piace scherzare, ma alla fine il gioco è diventato un successo, soprattutto all’ora di pranzo quando vuoi restare più leggero e allora puoi optare per i 50 grammi e concederti qualche altro assaggio, oppure puntare direttamente sui 150 fermandoti lì”. La scelta va dai 50 ai 250 grammi. Chiederne il minimo è un insulto. Io l’ho fatto, pentendomi nell’immediatezza in cui l’occhio si è posato sul piatto. Non per niente a febbraio una classifica del Messaggero sulle 10 migliori carbonare, ha eletto “Pipero al Rex” vincitore assoluto, seguito da Roscioli (altro fiore all’occhiello in città), Arcangelo Dandini, Felice, fino ad Heinz Beck della Pergola e Antonello Colonna a chiudere per l’Open.
“La ristorazione è un mestiere serio, fatto allegramente…. e non un mestiere allegro, fatto seriamente”, è solito commentare il nostro con aria rilassata. Intanto accomodati su poltrone rosse Frau, ai grissini fatti in casa e focaccia calda al limone che accompagnavano una fettina di lardo di pata negra servita con una punta di mosto cotto, è seguita una deliziosa polpettina di bollito (nell’impasto c’è anche la lingua) accovacciata su una riduzione di porto, tutta da gustare con le dita. E alla fine: scarpetta con la focaccia al limone. Il pane ti arriva strada facendo: ai cereali, casereccio. La Carbonara esplode delicata e insieme possente in bocca, tanto che ne vorresti un’altra porzione. Ma la comanda va avanti e insieme ai coltelli Berti di Scarperia, raggiungono la tavola il rognone e il petto di pollo con maionese, gocce e foglie d’ostrica. Morbidissimo. “A volte arriva da Bresse, altre dall’azienda biologica San Bartolomeo, nel viterbese. Viene cotto sottovuoto a bassissima temperatura, dopodiché scottato in padella a croccare dalla parte della pelle”.
E per finire tante “carinerie”, come le chiama Pipero: frappe con una spolverata di zucchero a velo e carruba, sfoglia di riso con gocciolone di gianduia che solleticano il palato in un divertente scoppiettio causato da un gioco dello chef con l’anidride carbonica, piccole bombe alla crema. Quindi concludiamo con pinoli, mele e mandorle: il dessert composto da piccole semisfere di meringa all’alloro, spugna di mandorle, foglioline di Stevia.
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