Se ne va un Signore del vino, di nome e di fatto (e la S vuole maiuscola). Di quelli come ce ne sono pochi. La storia della Carmignano vinicola, e anche più in là, si lega a doppio filo alla storia importante e al blasone della Tenuta di Capezzana, alla instancabile determinazione di un uomo da sempre alla ricerca dell’agognato riconoscimento per un territorio intero. Ci è riuscito. Ma quel che ancora colpisce di lui è come la chiarezza d’intenti e la caparbietà siano state dissimulate da una pacata, elegante, riflessiva compostezza, ciò che ha caratterizzato da sempre il suo modo di fare, di parlare, di ascoltare. Così come il suo senso dell’ospitalità e dell’accoglienza, la sua voglia di condivisione. Un “marziano” di bonomia e savoir faire, questo era, calato non sai da dove in un mondo sostanzialmente senza stile. Non la prosopopea, non l’arroganza del timorato di dio, bensì una passione autentica, lunga una vita, trasmessa appieno alle generazioni nuove di famiglia.
Difficile per me dimenticare la pazienza di un giorno, quando il conte mi accompagnò in lungo e in largo – io che non ero nessuno – a vedere vigne e cantina, ad assaggiare botti e bottiglie. Commoventi l’ardore e la meticolosità che trapelavano dai gesti e dai modi, per farti compenetrare il più possibile il suo mondo. L’ospitalità in casa Bonaccossi era cosa sacra. Gli appuntamenti di un accanito circolino di appassionati poi, coordinati in loco dalla figlia Benedetta, ad aggrovigliarsi sui più svariati temi enologici (si spaziava dal pinot nero del Nord America ai Riesling d’ogni dove), mi han visto frequentare parecchie volte quella casa. E lui raramente mancava alla tavolata finale. E assai frequentemente una cara, vecchia annata di Carmignano occhieggiava (e primeggiava) fra gli astanti liquidi.
Insieme a lui possiamo ripercorrere con la mente (con gli occhi, con il gusto) gli struggenti scorci della campagna che adorava, i sassi del torrente Furba, l’amatissimo frantoio, il Vinsanto di famiglia. Un aspetto che mi ha sempre colpito di quei luoghi, forse perché inatteso, è la sensazione di quiete che hanno l’ardire di trasmettere. La potenza evocatrice di un silenzio fatto cosa, declivio, albero, vigna. Ecco, penso che quei silenzi e quella quiete di paesaggio antico non siano estranei alla personalità del conte Ugo, ma ne abbiano nutrito l’onestà intellettuale, la “trasparenza”, la tenacia laicamente santa di farsi promotore della propria terra. Una terra che è stata, è e rimarrà la sua terra. Ma non nel senso del possesso, bensì dell’appartenenza. E tutto questo, a parlar col conte, lo capivi.
Le foto di Ugo Contini Bonacossi, del nostro archivio, sono state scattate il 6 novembre 2008 al ristorante Cibrèo di Firenze in occasione della presentazione della nuova annata di olio extra vergine d’oliva della Tenuta
CIAO FERNANDO SEMPRE SENSIBILE,FORTE E LEGGERO. AT ABRAZ…
Fernando,concordo con quanto scrivi ,
lo conobbi negli anni 80 a Bergamo Alta a casa del “Maestro” in occasione delle
prime riunioni per la costituzione del VIDE.Un vero Signore in tutto , grande
appassionato del proprio lavoro e della viticoltura Toscana.
Un esempio ed una perdita per il mondo del vino.
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CIAO FERNANDO SEMPRE SENSIBILE,FORTE E LEGGERO. AT ABRAZ…
Fernando,concordo con quanto scrivi ,
lo conobbi negli anni 80 a Bergamo Alta a casa del “Maestro” in occasione delle
prime riunioni per la costituzione del VIDE.Un vero Signore in tutto , grande
appassionato del proprio lavoro e della viticoltura Toscana.
Un esempio ed una perdita per il mondo del vino.