Tutto il fascino insondabile di un vino racchiuso nell’aura evocatrice della vigna da cui proviene: millanta i casi, ci direbbe il nostro Gino Veronelli. A Montalcino però, eravamo alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, parlare di single vineyard era circostanza rara, e ancor di più metterne in pratica il concetto (peraltro, nella campagna senese di quegli anni là, se ti attentavi a pronunciare un single vineyard all’inglese venivi giustamente bollato come NON appartenente alla razza umana!). Eppure ricordo bene, in questo caso, di aver conosciuto prima la vigna che il vino. Tanta la curiosità per quello spicchio di terra disposto in dolce declivio e circondato dalla macchia, che ti si para dinnanzi come incastonato fra le curve ansimanti che conducono a Montalcino provenendo dal mare. Eh sì, il mare: ricordo antichissimo per la terra di Spuntali. Un mare che non c’è più, ovviamente, e che ha lasciato il posto ad una terra da tempi non sospetti “attrezzata” a vigna. Ben oltre l’impronta argillosa, sta in quella dotazione calcarea dalla tessitura minerale, piena di conchiglie fossili, il lascito insolubile di un mare perduto e delle sue sabbie. Assieme ad un clima mite, asciutto, e alla vegetazione tutt’attorno, prepotentemente mediterranea.
Negli anni poi della “rinnovata consapevolezza” e della corsa alle vigne, lo Spuntali “classico” (escluso l’appezzamento detto del Poderuccio, che resistette fino al 1995) venne espiantato e rifondato ex-novo dall’allora proprietario Col d’Orcia in due fasi successive, 1986 e 1988, con densità di impianto assai differenti fra loro. Una volta acquisito da Val di Suga fu fatto immediatamente oggetto di cure particolari, e le prime bottiglie con il suo nome stampigliato in etichetta indicavano l’annata 1991, peraltro non così memorabile in Toscana. Poco dopo, nel 1994, Lionello Marchesi, deus ex machina della Val di Suga di allora, cedette vigneto e proprietà alla famiglia Angelini – do you know il celebre marchio della farmaceutica? – e così i 50 e passa ettari vitati che costituiscono il patrimonio concreto del progetto Val di Suga conservano come un oracolo l’unicità pedologica e geografica di Spuntali (trasposta nelle annate ritenute degne nella omonima etichetta), che va oggi a sommarsi con il corpus principale disposto tutt’attorno alla sede aziendale di Val di Cava, a nord di Montalcino, e con una parcella appartenente al quadrante sud-orientale, in località San Polo. Tre aree differenti per suoli e pedologie che vanno ad innervare il sapiente dosaggio del Brunello della casa, eccezion fatta per Vigna Spuntali, giustappunto, ad oggi l’unica selezione in gioco (non viene per il momento più prodotto il Vigna del Lago) a cui è affidato il compito di perpetuare quella che in tanti riconoscono come una sicura specificità.
E la verticale di qualche mese fa ne ha ribadito stile e sostanza, facendoci capire intanto come la generosità, anche alcolica, di questo Brunello “meridionale ma non troppo” resti sempre efficacemente dissimulata nelle maglie di una struttura solida, e come l’impianto gustativo si riveli in piena coerenza figlio dei tempi suoi: dalla umorale e un po’ selvatica baldanza degli anni ’90, con quel fondo esplicitamente ghiandoso e terroso a sintetizzarne l’eloquio fin dalla prima gioventù, alla rifinitura più “educata” e attenta degli anni Duemila, dove un profilo fruttato e rotondo è andato a propiziare uno sviluppo di maggior dolcezza e sinuosità, ferma restando la proverbiale timbrica sapido-terrosa della sua appartenenza.
Eppure, anche a distanza di anni, la struggente visceralità delle prime edizioni, peraltro quasi tutte figlie di una vigna rigenerata e sostanzialmente giovane, ne mantiene intatto l’appeal, senza nulla perdere in temperamento e forza espressiva rispetto alle ultime, dove un’enologia sicuramente più curata è andata assecondandone sì le trame, ma dove forse si stenta un po’ a ritrovare quell’affascinante chiaroscuro che anche le piccole incertezze di allora – in termini di maturazione delle uve o di estrazione- non sono mai riuscite a scalfire o ad affievolire significativamente.
Con accenti diversi, con modulazioni ed intendimenti parzialmente rivisitati grazie ai rinnovati estri e ai cambiamenti climatici in atto, Vigna Spuntali resta un percorso a sé che vive di luce propria e la cui conoscenza è un obbligo. Mi piace infine sottolineare un ulteriore aspetto che ugualmente concorre alla specificità: quello del “manico”. Ho sempre accolto come felice eccezione il modo di interpretare il territorio da parte di Tenimenti Angelini. Sì, per come abbia saputo calarsi nelle varie realtà in cui ha investito senza la velleità e i pruriti dell’industriale senz’anima con il portafoglio gonfio, cercando invero di modellare le caratteristiche dei propri vini nel solco di una architettura classica e rigorosa, solo e soltanto alla ricerca del genius loci, senza disperdere il patrimonio di unicità che resta inevitabilmente appeso al connubio laicamente santo terroir-vitigno. Tanto più se tale connubio è radicato. Tanto più se ci si chiama Montalcino. E tutto questo, a certe dimensioni di impresa, non è un optional, è sensibilità.
Brunello di Montalcino Vigna Spuntali 1993 (uve provenienti dal Poderuccio, un ettaro e poco più nell’areale di Spuntali, con vigne vecchie di 45 anni)
Bacca selvatica, sottobosco, goudron e cioccolato bianco per una “sintesi” aromatica ficcante ed intransigente, se non fosse per quegli umori floreali che aprono a sottigliezze tutte nuove. Attacco di bocca pragmatico, deciso, dall’impronta terrosa; bella freschezza acida nella progressione e chiusura pulita, piena di sapore. Grintoso, giocato sul registro del sottobosco e su un tannino orgogliosamente rugoso, mostra con fierezza i segni di una evoluzione pur sempre controllata, e per questo ti affascina.
Brunello di Montalcino Vigna Spuntali 1995
Gli umori di ghianda stanno ancora lì, dove li ho lasciati 8 anni fa, ai tempi dell’ultimo mio assaggio. E stanno lì assieme a quella vena profondamente balsamica non esente da qualche scoria roverizzata. Entrambi “muovono” un naso umorale ma vitale, punteggiato da sensazioni di mallo di noce e fiori secchi. E poi c’è quella bocca penetrante, reattiva, dal tannino vivido grazie al supporto dell’acidità, dal portamento nobilmente austero, senza che sfiori però la rigidezza. Bello il ricamo delle spezie orientali, lunga ed appagante la chiusura. Non di cesello, quello no, ma il carattere è a mille.
Brunello di Montalcino Vigna Spuntali 1999
Profilo integro e vitale che profuma di cuoio, terra umida e menta; i sentori di sottobosco e ghianda richiamano alla mente la fisionomia del ’93 e del ’95. Di lui ti colpiranno la sapidità, il temperamento compassato, la dignità senza schiamazzi. Fila dritto alla meta.
Brunello di Montalcino Vigna Spuntali 2004
Uno Spuntali meno austero e “selvoso” di un tempo, bensì più concessivo, fruttato, garbato. Avvolgente e carnoso, si concede in bell’amalgama anche se tende a celare il rilievo dell’acidità. E se qualcosa va a mancare nella persistenza, ci pensa la luminosa scia agrumata a farti buona compagnia.
Brunello di Montalcino Vigna Spuntali 2006
Sinuosità fruttata ben espressa, seducente, con richiami floreali d’accompagno. Meno selvatico e abrupt rispetto a un tempo, al gusto ritrova la flemmatica compostezza e il passo dello Spuntali d’antan, svelando sentori di terra e ferro apparentemente nascosti al naso. Ma, così come il 2004, appare un vino più sorvegliato, ordinato, attento agli equilibri. Nel frattempo, china e rovere tendono a comprimerne parzialmente l’espansione. Attendiamolo.
Assaggi effettuati in azienda. Si ringrazia lo staff, e in particolare la solare Gaia Capitani e il responsabile tecnico Luciano Battistoni, per l’accoglienza di un giorno.
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