Possiede undici ettari vitati a Montalcino, ma non fa Brunello. La sua produzione è biologica, ma volutamente non certificata. Marco Keller è decisamente insofferente a denominazioni e certificazioni, detesta le lungaggini e la burocrazia in tutte le sue forme, ancor più quando hanno a che fare con la sua azienda. Logonovo è una vera e propria enclave nella tenuta Castelgiocondo di Frescobaldi. Per raggiungerla devi letteralmente varcare le colonne di ingresso dei Marchesi e costeggiare distese enormi di vigneti che sembrano perdersi all’orizzonte.
È una storia atipica quella di Logonovo: atipica perché non racconta di attività tramandate di generazione in generazione, come spesso accade da queste parti. Atipica perché non siamo di fronte all’ennesimo outsider che decide di fare il vino sfruttando la notorietà del proprio nome. No. Questa è una storia più asciutta, a tratti cinica e vagamente snob, proprio come il suo interessante protagonista.
Tutto ha inizio quando Keller, origini milanesi e residente a Lugano, legge su Il Sole 24 Ore il bando di vendita all’asta della tenuta, in passato appartenuta alla Chiesa di Siena. Un’asta vinta grazie a un rilancio di soli 11.500 euro! L’interesse è dettato dal desiderio di acquistare una residenza toscana e chissà, forse dal destino scritto nel suo cognome che in lingua tedesca significa cantina. Un appezzamento dove non esistevano vigneti. Cloni e sesti di impianto sono stati tutti selezionati ex novo. La scelta è stata quella di coltivare sangiovese, merlot, syrah, petit verdot e sagrantino. Niente cabernet, considerato non idoneo per raggiungere risultati ottimali su questi terreni.
Ultimo arrivato il malbec, cloni ricavati da piante centenarie argentine. E qui c’è probabilmente tutto lo zampino di Roberto Cipresso, enologo di Logonovo. Allevato ad alberello e interamente lavorato a mano, il vigneto è contraddistinto da nebulizzatori che svettano sulle piante. Ancora ignota la destinazione di queste uve. La visita in vigna è accurata, densa di spiegazioni e di racconti. Faccio fatica a immaginare le colline brulle prima degli impianti, al momento dell’acquisto. Ora sono verdeggianti e rigogliose, la terra cambia colore tra i filari a causa dei sovesci, la vegetazione spontanea è lasciata intatta così come i muretti a secco.
Alla domanda sul perché la decisione di non produrre Brunello a Montalcino Keller risponde: “Sarei il 251° produttore di Brunello…Non ci penso neanche! Per un’azienda nuova come la mia è impensabile”. Entriamo nella nuova cantina non ancora ultimata dove i vini vengono vinificati tutti singolarmente. Un anno in barrique per sprigionare i profumi più intensi, poi il viticoltore ci colpisce ancora quando chiediamo i tempi dell’affinamento in bottiglia. Sorride scrollando le spalle divertito: “Se me lo comprano appena imbottigliato io il vino lo vendo subito!”. Un cinismo e una concretezza così manifesti stuzzicano interesse e curiosità.
Alle pareti un capriccio di vanità: il giallo Veuve Clicquot. E non è un modo di dire: per realizzarlo Keller ha fornito al pittore la bottiglia vuota del prestigioso champagne chiedendo di riprodurre fedelmente il colore dell’etichetta. Un personaggio sicuramente sopra le righe, volutamente al di fuori del “sistema” Montalcino, per niente interessato a perdersi nei meandri normativi e nelle rigidità dei disciplinari. Perplesso anche sulla vinificazione del Sangiovese in purezza (ma non diciamolo troppo forte…siamo a Montalcino!) nel 2010 decide di tentare il suo primo esperimento e di chiamarlo Selezione Centopercento. Un bicchiere che, anche a suo parere, sconta forse un’eccessiva alcolicità, un tentativo che forse non ripeterà: già il Sangiovese della complicata annata 2011 è stato trasformato in uva passa per uso alimentare.
Keller non crede nelle denominazioni di origine e meno che mai nei vitigni autoctoni perché “il vino è del territorio: quello che conta è dove si fa il vino, come lo si fa e con quale uva”. Una considerazione se vogliamo paradossale che ha scatenato il dibattito con il gruppo Slow Wine in visita all’azienda. E giù a discutere di origine, tipicità e identità del vino. Un confronto acceso e schietto: da un lato Keller fermo sulla necessità del produttore di fare il vino per il consumatore, dall’altro l’irremovibilità del pensiero Slow, tutto incentrato sul valore della qualità legata all’origine territoriale e insieme l’importanza delle Doc e delle Docg.
E veniamo dunque al vino. Esperimenti a parte, come pure il rosato da salasso di Sangiovese 2011, dalla cantina esce una sola etichetta, il Logonovo: un blend diverso ogni anno, variabili le uve che lo compongono ogni volta. In memoria ci è rimasto il merlot in purezza Logonovo Igt 2008, la prima annata realizzata. Un risultato eccellente. Anche il 2010 rivela interessanti potenzialità. La retro etichetta riporta la dicitura “cinque per Logonovo” ad indicare il numero di vitigni utilizzati, ovvero tutti quelli piantati tranne il malbec.
La degustazione avviene durante la cena: la pasta fresca fatta in casa dalla figlia Gaia è un piatto gradito e inaspettato, l’ospitalità è davvero squisita. Anche quando, per accompagnare i buonissimi biscotti al cioccolato fatti dalla ragazza, con grande semplicità il Marco Keller apre una bottiglia di Château Cheval Blanc annata 1988, offrendocelo come invito alla convivialità, quasi ad alimentare il confronto e le disquisizioni enologiche che hanno appassionato i presenti, con spirito professionale ma con piacevoli sfumature goliardiche. Per la cronaca, lo Cheval Blanc ha messo tutti d’accordo.
…e invece non essere il 251° produttore di Brunello, ma atteggiarsi da numero uno…vedrai come vende!
Eh beh il cabernet no, invece il merlot, il syrah, il sagrantino e il malbec daranno il meglio di sè in quella zona…
sono andata a scuola con la figlia….la veniva a prendere con la porsche….altezzosi come non mai….
[…] ed il suo patron ne aveva parlato approfonditamente poco tempo fa Francesca Lucchese nel suo bell’articolo, ragion per cui è meglio approfondire l’interessante degustazione che ci è stata […]
Io gli ho costruito la cantina (per quello che riguarda le sole strutture)…posso tranquillamente dirvi che il sig. Marco Keller, in tutto il percorso – assolutamente non semplice sia per la tecnica che per la logistica – si è sempre dimostrato un perfezionista, attento ai dettagli e sicuro del risultato. Ma ciò che più mi ha colpito è stata la sua semplicità. Era il committente, ma allo stesso tempo uno di Noi!
Il vino che produce? Ottimo! Non ha nulla da invidiare a quelli che hanno fatto la storia di quei magnifici luoghi.
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…e invece non essere il 251° produttore di Brunello, ma atteggiarsi da numero uno…vedrai come vende!
Eh beh il cabernet no, invece il merlot, il syrah, il sagrantino e il malbec daranno il meglio di sè in quella zona…
sono andata a scuola con la figlia….la veniva a prendere con la porsche….altezzosi come non mai….
[…] ed il suo patron ne aveva parlato approfonditamente poco tempo fa Francesca Lucchese nel suo bell’articolo, ragion per cui è meglio approfondire l’interessante degustazione che ci è stata […]
Io gli ho costruito la cantina (per quello che riguarda le sole strutture)…posso tranquillamente dirvi che il sig. Marco Keller, in tutto il percorso – assolutamente non semplice sia per la tecnica che per la logistica – si è sempre dimostrato un perfezionista, attento ai dettagli e sicuro del risultato. Ma ciò che più mi ha colpito è stata la sua semplicità. Era il committente, ma allo stesso tempo uno di Noi!
Il vino che produce? Ottimo! Non ha nulla da invidiare a quelli che hanno fatto la storia di quei magnifici luoghi.