PARIGI – Francesi, traditori! Siete come noi, o perlomeno molto simili a noi. Non vi piacciono le file, se vedete uno che attraversa sulle strisce accelerate, insomma le regole sono (almeno un po’) un optional. E che fate, scegliete lo spagnolo come terza lingua “ufficiale” in chiese, monumenti, e nel vocabolario di albergatori e ristoratori?? Traditori!
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Si può dire? I café parigini assomigliano a quelli spagnoli, ma non hanno le tapas, e a quelli italiani, ma non hanno la vetrina delle pastarelle. Forse si può. E allora si fa colazione con un cafe au lait sempre molto “lattoso” visto che il caffè non è mai intenso né corposo, e con dei flaccidi e burrosi grossi croissant, spendendo quattro euro e mezzo, che diventano 7-8 se si aggiunge un bicchierino di succo d’arancia ed un pezzo di baguette con burro (President, pare che esista solo quello) e confezioncina triste di marmellata.
C’è da dire però che i caffelatte sono sempre bollenti, contrariamente agli orrendi cappuccini (e caffè) tiepidi che ci dobbiamo spesso sorbire nei nostri bar, il che calma la fretta mattutina e predispone alla riflessione. L’alternativa furba è scegliere un caffè che sia vicino ad una boulangerie-patisserie dove ci si possa subito trasferire, godendo con paste giganti alla frutta o ripiene o magari, perché no, con una fetta di Quiche Lorraine.
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Comunque si capisce l’essenzialità dell’offerta di questi café, se si osserva che già a metà mattina sono con la testa da un’altra parte perché di lì a breve diventeranno bistrot o brasserie. Bistrot, neo bistrot… Ma l’ultima tendenza parigina è la bistronomie, fusione di bistrot e gastronomie, con tanto di menu degustazione (caruccio) ma senza la tovaglia sul tavolo (naturalmente assai piccolo), segno di rassicurante informalità. E con moto inverso i restaurant, anche quelli pomposi che mettono indiscutibilmente soggezione, propongono a pranzo magari tre portate a 30 euro, con tanto di amuse bouche e “coccole” finali.
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Che bello visitare un Paese di bevitori di vino! Sono rimasti i francesi a bere tanto fra i grandi produttori, visto che il consumo annuo pro capite degli spagnoli è ridotto al lumicino e il nostro non se la passa tanto bene. Lo si vede dagli infiniti punti vendita Nicolas, ma molto più poeticamente nei tenerissimi déjeuner sur l’herbe delle famiglie sui prati di Place des Vosges, o dei giovani sulle trendissime rive del Canal Saint-Martin, senza cerimoniosità nelle vettovaglie (baguette, confezioni di pomodori prese al supermercato, vasetti di sottaceti..) ma con magnifiche borgognotte stappate sulle coperte stese.
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E se una forte tradizione viene ribadita dalla linfa vitale della consuetudine, “qui e ora”, non c’è competizione possibile da parte di chi può opporre solo l’evanescenza -seppure magari effervescente- di una moda. E se questo è arcisaputo a proposito del vino, forse è meno chiaro a proposito del formaggio. Impressionanti Androuet e Aleosse con i loro allestimenti-templi e i cerimoniosi commessi che tagliano con maestria da enormi forme, ma anche le fromagerie sparse e i banchi nei mercati. Come resistere e non sbocconcellare un Comte Superieur di 28 mesi (29 euro/chilo) o un Brie che racchiude in sé almeno tre consistenze?
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Turismo smutandato e turismo “guidato” a Parigi. Il turismo smutandato lo si trova sulla Champs-Élysées arrivando all’Arco di Trionfo, e infastidisce soprattutto se ci si arriva a piedi da Place de la Concorde attraversando la quieta serenità dei verdi giardini; ma anche sotto la Tour Eiffel, e nel vicino Trocadero, dove una piccola folla applaude e fa foto ad un orrendo e chiassoso spettacolo di break-dance. E poi, perché consentire le foto al Louvre, visto che masse di cinesi e giapponesi (ma non solo) sgomitano per farsi fare ridicole foto sotto la Venere di Milo? Che tenerezza invece le spiagge sulla riva della Senna, con i bambini che fanno i castelli di sabbia!
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Il turismo “guidato” è quello di Montmartre e Montparnasse: va bene che ci sono stati gli impressionisti, Picasso e compagnia, ma non si sa bene perché bisogna passeggiare in su e in giù lungo normalissime strade, rimanere inorriditi da una Place de Tertre, terrificante mangificio e teatro di presunti pittori, guardare un grattacielo che è un pugno in un occhio e le deprimenti Galeries Lafayette (molto meglio il supermercato Monoprix che ci sta sotto, fromagerie e gastronomia da urlo), in un luogo dove i locali amati dai supremi pittori (le Dome, la Rotonde) oggi pullulano di mani voraci che pescano crostacei dentro ceste di ghiaccio.
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Riva destra, riva sinistra, l’eterno duello, l’eterno dilemma. Sotto la Senna, il Faubourg Saint Germain è di una sopraffina ma anche cristallizzata e un tantino raggelante eleganza, anche se avvicinandosi al fiume tende poi a “sbracare”, fra club con enormi buttafuori e sedicenni in fila; più vario, articolato, multiforme il quartiere latino, che ha dalla sua il tempio del sapere (Sorbonne) e la strada del mangiare allegro (rue de Mouffetard).
Sopra la Senna, ma diremmo anche sopra il trambusto delle auto di rue de Rivoli, il Marais resta forse il luogo più affascinante, sia di giorno che di notte, che ripropone in versione aggiornata e moderna quella moltitudine da sempre attratta da Parigi come luogo di cultura e di divertimento, che sa viverla mimetizzandosi senza ostentazioni, e trasmettendo vivacità ed allegria.
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Ma all’improvviso tutto cambia. Salendo ancora un po’ a nord, e passando magari da un Boulevard a quello parallelo, o semplicemente attraversando la Porta che separa Rue Saint-Denis da Rue Faubourg Saint-Denis, le baguette cedono il posto ai pani arabi, il paesaggio urbano cambia repentinamente. È la Parigi multietnica, che attrae e respinge ad un tempo, nella quale si abbandona presi da un senso di estraneità, ma con la curiosità di tornarci.
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