Pinot Gris: “l’altra” Alsazia a Roma

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ROMA – Bella serata quella organizzata dalla delegazione romana della FISAR (Federazione Italiana Sommelier Albergatori) con focus sul Pinot Gris Alsaziano. Quando si parla d’Alsazia la mente dell’appassionato enoico viaggia immediatamente verso una terra di grandi bianchi: l’associazione spontanea è però col riesling, il talentuoso vitigno germanico che sulla striscia di terra francese raggiunge livelli di complessità e finezza secondi solo a quelli di Mosella. La ribalta della scena spettava stavolta al pinot grigio, vitigno più “umile” (e oggettivamente meno dotato) che lavorato nella maniera “giusta” può comunque dar vita a vini di forte piacevolezza e personalità (ne abbiamo le prove anche da noi, con alcune esemplari versioni altoatesine – es. Kofererhof). Grazie alla collaborazione della CIVA – Conseil Interprofessionnel des Vins d’Alsace, l’associazione di produttori e maison che promuove i vini alsaziani nel mondo la FISAR ha portato a Roma una selezione di ben sedici etichette, che nell’arco temporale di un quindicennio hanno offerto ai presenti una panoramica interessante ed esaustiva sulla denominazione.

L’Alsazia, situata all’estremo nord-est della Francia, è sempre stata una terra di confine. Nei secoli, a seguito di sanguinosi conflitti, è stata “rimpallata” più volte tra Francia e Germania, assorbendo elementi di entrambe le culture. Il pinot Ggis è una delle quattro uve bianche – insieme al riesling, al muscat e al gewürztraminer – da cui si possono ottenere vini “Grand Cru”, categoria che anche qui indica il vertice della piramide qualitativa. Al contrario di quanto accade nel resto della Francia e nella vicina Germania, le cui “labirintiche” classificazioni e denominazioni comunali mettono a dura prova anche i più tenaci appassionati, in Alsazia hanno scelto di mettere in evidenza soprattutto l’uva di riferimento, per cui tutti i vini di questa regione avranno ben evidente in etichetta la dicitura “Pinot Gris Alsace”. Il nome del villaggio di produzione ha scarsa rilevanza e assai raramente viene riportato (per fortuna, visto che i paesi hanno nomi misto franco-tedesco spesso difficili da pronunciare e ancor più da ricordare!). I Grand Cru identificano le vigne migliori per terreno, esposizione, microclima, etc… e insieme alla reputazione del produttore contribuiscono alla nascita di nomi “mitologici” (Hugel, Trimbach, Zind Humbrecht…) ricercati e contesi da bevitori di tutto il mondo.

Il Pinot Gris è considerato da molti l’archetipo di riferimento del vino alsaziano. Possiede un’aromaticità e speziature che lo accomuna al gewürztraminer, ma ha un’acidità più netta e vibrante che, nelle versioni ben fatte, lo salva dalla mollezza e dalla languidezza eccessiva che spesso penalizza il secondo. Leggenda vuole che sul finire del 1500 il barone Lazare de Schwendi, che serviva la Casa d’Austria nella lotta contro i Turchi, riportò con sé in Alsazia alcune piante di vite dalla città di Tokaj, in Ungheria: la sua idea era ricreare in terra francese la qualità e il prestigio di quei vini, all’epoca ambiti in tutta Europa. Pare però che il vitigno portato dal barone non fosse il famoso furmint ungherese, e quelle piante, pur conservando la dicitura Tokaj nel nome, furono sostituite dal Pinot Grigio di Borgogna, celebre per le sue qualità e per la facoltà di produrre vini molto concentrati. Ad evitare confusione dal 2007 tutte le diciture alternative sono scomparse (i vari Tokay grigio, Tokay d’Alsazia, Tokay Pinot Grigio, etc…) ed è rimasta solo quella inequivocabile di Pinot Gris.

Si tratta di un vitigno che da luogo a un vino di grande struttura, “masticabile”. Nella versione alsaziana tipicamente si lascia un residuo zuccherino che contribuisce a renderlo più rotondo ed opulento, per fortuna spesso sorretto da un’acidità che sposta verso l’alto l’asta dell’equilibrio risultando alla fine molto godibile e affascinante. Data la sua forte personalità, il Pinot Gris si abbina bene a piatti dal sapore intenso (es. foie gras) e in Alsazia spesso viene bevuto al posto del rosso e trova la sua collocazione migliore con svariate pietanze autunnali (es. polenta, focacce di grano o mais, funghi, carni bianche con salse arrosto, etc…).

Ricordandovi (e ricordandomi) quindi che Alsazia non è solo riesling, vi lascio con i cinque vini che più mi hanno colpito nella serata romana:

Pinot Gris Alsace Jubilée 2008 – Hugel et Fils

Azienda che ha fatto la storia del vino alsaziano negli ultimi quattro secoli (!). Oggi Hugel è uno dei produttori di riferimento della regione e la sua fama è tale che, in polemica con l’estensione dei Grand Cru a zone non troppo vocate, ha deciso di non riportare in etichetta tale classificazione contando ormai solo sulla sua solida reputazione personale. Questo elegante 2008 profuma di frutta secca e macedonia, di gesso e gelso bianco. In bocca è dritto, secco, con un’acidità netta, molto minerale e profondo. Diverso da tutti gli altri!

Pinot Gris Alsace Grand Cru Kirchberg de Barr 2008 – Alsace Willm

Azienda di lunga storia che negli anni Trenta, appena dopo l’abolizione del proibizionismo, per prima esportò vini alsaziani negli U.S.A.. Colore carico, naso intenso, di miele, albicocca, frutta secca e zafferano. In bocca mi spiazza, perché è dinamico, vibrante, molto “tosto”. Finale lungo e ammandorlato.

Pinot Gris Alsace Grand Cru Brand 2008 – Cave de Turckheim

Cooperativa modello che raccoglie e vinifica le uva da alcuni dei migliori vigneti d’Alsazia. Questo grand cru è un gioiellino di pulizia, freschezza, eleganza: ha una dolcezza di fondo netta, declinata però senza alcuna pesantezza. In bocca mi piace per il contrasto dolce/acido e per la piacevole persistenza.

Pinot Gris Alsace Grand Cru Vorbourg 2008 – Pierre Frick

Produttore biodinamico purista ed intransigente. Questo 2008 è ottenuto da uve parzialmente muffate. Naso fresco e profondo, marmellata di fichi e noci, intrigante tocco speziato. Buon equilibrio tra ricchezza e freschezza, con una beva che si mantiene molto agile e scorrevole. Finale dolce.

Pinot Gris Alsace Grand Cru Rangen 1997 – Domaine Zind Humbrecht

Produttore mito che non ha bisogno di presentazioni. Vino monolitico, inscalfibile dal tempo. Eleganza e finezza estrema, una ventata fresca che non ti aspetti, poi noce, miele, iodio, cera d’api. In bocca è complesso, di grande impatto ma poi naturale nella beva, come solo i grandi vini sanno essere. Chiusura lunga e piacevole, da fuoriclasse.

Franco Santini

Franco Santini (santini@acquabuona.it), abruzzese, ingegnere per mestiere, giornalista per passione, ha iniziato a scrivere nel 1998 per L’Ente Editoriale dell’Arma dei Carabinieri. Pian piano, da argomenti tecnico-scientifici è passato al vino e all’enogastronomia, e ora non vuol sentire parlare d’altro! Grande conoscitore della realtà vitivinicola abruzzese, sta allargando sempre più i suoi “confini” al resto dell’Italia enoica. Sceglie le sue mète di viaggio a partire dalla superficie vitata del luogo, e costringe la sua povera compagna ad aiutarlo nella missione di tenere alto il consumo medio di vino pro-capite del paese!

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