Non sempre è facile decidersi di fronte alla porta di un locale. O meglio, è semplice nel mondo globalizzato dei big Mac o similia. Già si sa prima di entrare, saremo solo uno dei tanti anonimi clienti, e nessuna cosa ci sorprenderà. Una familiare consuetudine, uno scambiare “facilità” con “felicità” (piccola citazione in onore a un poeta/cantante che ha appena dato l’addio al palcoscenico).
Diverso è se si è in un piccolo paese, diverso se si è soli e ci si immagina stanze piene di ospiti abituali, una intimità che quasi si teme di violare. Passo quindi una prima volta, sbircio, mi rigiro, parcheggio, leggo sulla porta “circolo” e già mi pento…”faranno da mangiare? Ci vorrà la tessera?” mi chiedo, e poi finalmente entro, e subito incontro l’oste, physique du rôle, capello brizzolato e codino… “fate da mangiare?” chiedo, “ci proviamo!” è la risposta che scioglie l’ansia e ci fa sentire “del posto”.
Buttigliera Alta, a pochi metri dal fondovalle che da Torino porta a Susa è già paesino di montagna. Strade strette e contorte, pavé, odore di fumo. Di fronte la Chiusa di San Michele (con la Sacra che domina la valle) apre alla Val Susa, e già qui non mancano gli accenni alla ormai annosa questione che oppone i valligiani (e chiunque abbia un po’ di buon senso) alla grande macchina affaristica delle grandi opere (ovverosia: tanti soldi per poche persone).
Ma torniamo al caldo ambiente del Sottosopra, birreria, trattoria, vineria… una storia venticinquennale che partita in effetti come birreria si è poi trasformata in cucina e, dal 1996, in enoteca. Trasformazione senza stravolgimenti, un lento processo che ha aggiunto senza rinnegare. E così oggi, se si dice che questo sia uno dei migliori posti della zona per la cucina piemontese, non manca certo la possibilità di prendersi una birra (magari una Baladin) e una piadina o uno stinco al forno con patatine fritte.
Continuo però a preferire il vino, e la cucina nostrana, e così quando mi mettono davanti la lavagna coi piatti del giorno, vado su insalata di bollito, zuppa di trippa e un quartino di dolcetto (rimpiangendo un po’ la bella sfilza di bottiglie che vedo elencate in carta, di ampiezza non estrema ma bella selezione… ma non è sera di stravizi).
Dicevo dell’accoglienza, calda e simpatica, che si ripropone subito, quando per raccogliere l’ordine il mio oste si siede al tavolo, e non manca di scambiare due chiacchere, prima di segnare la comanda. E mi accorgo che non è una gentilezza verso l’ospite singolo, ma la norma, un modo di dirti “benvenuto al nostro tavolo”. Una attitudine che mostra di avere i suoi effetti, probabilmente insieme alla cura del cibo e alla moderazione dei prezzi, visto che in questo gelido martedì di dicembre, in questo paesino giustamente già sprangato per la notte, il locale è pieno, e non è neppure così piccolo.
Cucina casalinga dunque, ma con una bella attenzione ai particolari: dal pane fatto in casa col lievito madre, così come pasta, gnocchi e plin, all’attenzione all’olio (“ligure o trapani?”), alla ovvia ricerca delle materie prime locali, che certo nei dintorni non mancano, basti pensare alle carni piemontesi e ai formaggi!
Tutto bene quindi, e la voglia di tornare per gustare i piatti più tipici, le crescentine (pasta fritta) con i vari accompagnamenti (dagli affettati, alla battuta di lardo e olive taggiasche), le robiolette al forno, gli agnolotti del plin… ma intanto mi consolo con un dessert, scegliendo dalla lista con chiari influssi francesi (tarte tatin, mousse di cioccolato…) un budino di castagne fatto con farina e castagne intere, che mi intriga e mi soddisfa, prima del caffé e dell’offerta (immancabile sembra) del digestivo della casa alla salvia, una bella bombetta alcolica giusta giusta prima di uscire nuovamente al gelo.
Grazie Giorgio! Ne approfitto per gli auguri a tutti i lettori!
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Bel Pezzo,
Tanti Auguri
Buone Feste
ciao
Grazie Giorgio! Ne approfitto per gli auguri a tutti i lettori!