Il vino:Collio Malvasia DOC Vigna 80 anni 2012 – I Clivi
Vitigni:malvasia istriana
Provenienza: Brazzano – Cormons (GO) – Friuli
Il commento:
Infiltrante, modulato, rarefatto, di silhouette sfumata ed essenziale, è un vino che danza sulle punte, questo è. Si apre ad una seducente florealità, punteggiata da ricordi di mandorla, grano, menta e agrumi, e ti conquista per il suo tratto leggiadro, sussurrato, profondamente minerale, in continuo “movimento”. L’attacco di bocca preciso, lo sviluppo incalzante, il gusto seducente e interiorizzato alimentano curiosità e attenzioni. Non lo puoi evitare.
La tenacità e la struttura – che ci sono – restano d’altronde ben dissimulate in un disegno fondato sulle mezze tinte, tratteggiato in bello stile, di raro equilibrio espositivo. Dissetante, ecco: dissetante! Innervato da una imperiosa salinità che sottende purezza, autenticità. D’irresistibile progressione, ti invita alla riprova senza pentimento.
A 20 euro o giù di lì nelle enoteche d’Italy, vien da chiederti: ma chi l’ha detto che i bianchi friulani son pesanti?
La chiosa:
Ci sono i vini che passano e vini che restano. La Malvasia Istriana Vigna 80 anni millesimo 2012 de I Clivi ha deciso di restare, prepotentemente restare. Nel ricordo certo, poi nell’immaginario da qui in avanti. D’altronde, che ci vuoi fare, comunica senza infingimenti la sua terra, raccontandotela in modo personale: inevitabile immedesimarsi. Qui il potenziale espressivo del beneamato Collio goriziano e di certe sue plaghe si esalta grazie al connubio vincente di solidità e snellezza, trasparenza espressiva ed articolazione, senza rinunciare però a una dote preziosa non sempre appannaggio dei volitivi bianchi friulani: la scorrevolezza, l’agilità, la leggiadria. Insomma, ne apprezzi la saldezza strutturale, ne apprezzi il grip gustativo, ma queste voci sono soltanto voci fra le tante, non le dominanti peraltro. Ad emergere e a coinvolgere sono i dettagli più sottili, come l’evocativa rarefazione dei suoi profumi, è lo sviluppo apparentemente essenziale che ti trascina verso quel finale interminabile e salato. Straordinaria la salinità, davvero, figlia legittima del terroir che alimenta i vecchi ceppi ottantenni dell’appezzamento di Brazzano, alle falde del Monte Quarin, lascito autentico della sapienza antica volutamente salvato dall’oblio dalla famiglia Zanusso. Poggiano su suoli tanto poveri quanto preziosi composti da una alternanza di Flysh di Cormons ed arenaria, esposti in severo declivio e orientati prevalentemente a sud, in faccia alle brezze marine di un Adriatico che non vedi ma senti e corroborati da provvidenziali escursioni termiche giorno-notte. Poi annoto: rese naturalmente ridotte in vigna, uso esclusivo di lieviti indigeni, elaborazioni in acciaio e sosta prolungata sulle fecce fini, imbottigliamento senza chiarifica e nessun timore di lasciare maturare i vini in bottiglia. Solo il tempo deciderà quando è il momento giusto per approdare sui mercati. Una viticoltura attenta agli equilibri ambientali e la “coscienza critica” di Mario Zanusso, che negli anni ha ulteriormente affinato il suo talento artigiano, ci consegnano oggi una serie di vini emblematici, da ascolto attento e di sincera naturalezza espressiva, guidati – non dimentichiamolo – dalla statura di certi Friulano che di nome fan Galea e Brazan. Vini che aprono una finestra speciale sugli orizzonti stilistici che permeano le produzioni del Collio e dei Colli Orientali, concretizzando una visione prospettica assai singolare, lontana dai cliché e dai toni omologanti, in grado di raccogliere dalla lezione dei vecchi una chiave di lettura “obliqua” per la quale alla contemporaneità di un sorso fai fatica ad associare un tempo. Da un lato archetipi, dall’altro avanguardie. In loro compagnia starai bene.
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