Un tranquillo weekend nella Champagne/parte seconda

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Svegliarsi alla periferia di Epernay, accarezzati dal sole di una fresca mattina mirando la campagna e le vigne circostanti ancora scintillanti di rugiada, ti mette dell’umore giusto per affrontare un’altra “dura” giornata. Prima di buttarsi nell’oscurità delle cantine non possiamo perdere l’occasione di fare due passi in centro, specialmente lungo la Avenue de Champagne, una delle vie più belle ed emozionanti per gli appassionati di questo vino. Un elegante lastricato ai bordi della strada conduce ad alcune delle più famose maison ubicate in magnifici palazzi d’epoca. Obbligatoria una fugace sosta da Moët & Chandon con tanto di foto rituale alla statua dell’abate Dom Perignon.

Dom PerignonRiprendiamo il nostro lieto errabondare tra strade di campagna, boschetti e vigne “in sul cangiar del colore”, verso una meta precisa: 59 rue de Cremant – Avize. Scritto così dice poco ma l’indirizzo corrisponde a uno dei più celebrati produttori di champagne, il Domaine Jacques Selosse. Grazie al nostro Julien riusciamo ad approfittare di una visita in cantina, con annessa degustazione, riservata solitamente ai soli operatori o fortunati ospiti del loro hotel-restaurant attiguo. Nelle vesti di Cicerone l’istrionico Guillaume, il figlio di Anselme Selosse. Le vigne sono sparse tra le migliori zone della Champagne e la produzione si aggira intorno alle sessantamila bottiglie con un costo unitario a partire da 120/130 euro circa. Ahimè, vini piuttosto elitari. Tra le altre spiegazioni, se non ho capito male, viene fuori che sono passati dalla certificazione biodinamica alla biologica e infine all’assenza di certificazione. Non che questo significhi qualcosa, la cura e il rispetto della natura in vigna come in cantina non ha certo bisogno di pezzi di carta che lo certifichino, però, viene da pensare che di fronte alla legge dei grandi numeri (economici e non di probabilità) certi imprevisti naturali debbano essere contenuti il più possibile, magari ricorrendo eccezionalmente alla chimica… “a mali estremi, estremi rimedi”. Sinceramente a me interessa poco. Piuttosto va dato merito ad Anselme di essere stato il pioniere nella Champagne per la bassa resa delle singole viti e le fermentazioni spontanee in barrique, riuscendo a tracciare una linea stilistica e a fare proseliti in un settore poco propenso all’innovazione.

La cantina di per sé non è niente di speciale e fatico a stare dietro alle parole di Guillaume (non ho studiato il francese e non volevo disturbare continuamente gli amici “traduttori”), rimango affascinato comunque dalle grandi botti e i tini contenenti i vins dé réserve dal 1986 al 2015 usati per il loro metodo solera. Dopo gli assaggi dei vini base arriviamo finalmente al momento più atteso: su di un magnifico tavolo di radici sono esposte le bottiglie senza etichetta – solo una sigla scritta a mano le identifica – pronte per la degustazione.

Iniziamo con l’Initial Grand Cru Blanc de Blancs Brut – 100% chardonnay di Avize, Cramant e Oger – cuvée di tre annate con permanenza sui lieviti per circa trenta mesi e dosaggio molto basso con l’aggiunta di solo fruttosio. Il ventaglio aromatico è ampio, nonostante il legno marcato emergono la frutta gialla (anche tropicale), gli agrumi, un po’ di frutta secca, qualche goccia di miele, i lieviti, lo scoglio bagnato e una leggera speziatura. In bocca si conferma riuscendo a coniugare ampiezza, profondità e freschezza. Piacevoli le ossidazioni, notevoli l’intensità e la persistenza. Sul finale ritorna la tostatura. Saliamo parecchio di livello con il Millésime 2005 – 100% chardonnay da due parcelle di Avize – circa nove anni sui lieviti e pas dosé (o quasi). Naso più profilato ed elegante del precedente. Il minerale e le ossidazioni tengono banco ma i sentori primari di frutta gialla e di agrumi sono sempre ben presenti. Gli aromi di pan brioche, miele e spezie sono delicati, più decisi quelli di frutta secca. In bocca va dritto al cuore, la finezza del perlage unita alla rotondità del corpo creano una bella sensazione cremosa, lo scheletro minerale segna una stratificazione profonda, l’acidità citrina sferza il palato prima di coccolarlo con la morbidezza speziata del legno perfettamente integrato. Come sarebbe bello abbandonarsi assieme a questo nettare in un angolo baciato dal tiepido sole autunnale, per lasciarlo parlare, per sentire tutto quello che ha da dire, con calma finché ha linfa in corpo.

Purtroppo devo tornare alla triste realtà e continuare la degustazione con un altro grande champagne, concettualmente opposto al precedente poiché definito l’antimillésime per eccellenza: il Substance (chardonnay 100%), lo champagne “solera” dal 1986 al 2015. L’apporto di così tante annate e la sosta sui lieviti per circa sei anni creano una complessità gusto-olfattiva notevole. A regola tutti gli champagne di Selosse andrebbero areati almeno un’ora prima di essere bevuti per poter esprimere al meglio i propri profumi – e questo a maggior ragione – ma, nell’occasione, tale privilegio non c’è consentito. Al naso la frutta è anche candita, la pasticceria è burrosa, le ossidazioni sono notevoli, la speziatura è variegata e particolare è lo spunto rôtie. In bocca è impressionante nella sua opulenza, fortunatamente il fine perlage e l’affilata lama acida lo slanciano a dovere. La vena minerale non è profondissima ma la lunghezza è infinita. A pensarci bene cotanta esuberanza può divenire un problema in abbinamento poiché tante pietanze rischiano di venire annichilite. Finiamo il giro-champagne con uno dei “fantastici 6” Lieux-Dits, collezione composta da champagne provenienti dalla vinificazione di singole parcelle di paesi diversi, per l’esattezza: Les Carelles Blanc de Blancs di Mesnil sur Oger, Les Chatereines Blanc de Blancs di Avize, Chemin de Chalon Blanc de Blancs di Cramant, Le Bout du Clos Blanc de Noirs di Ambonnay, Sous le Mont Blanc de Noirs di Mareuil-sur-Ay e La Côte Faron Blanc de Noirs d’Ay. Quest’ultimo è il prescelto al “sacrificio”, sì perché stappare una bottiglia del genere così presto è un vero infanticidio. Al naso la vinosità del pinot nero ridimensiona l’esplosività fruttata dei vini precedenti, gli agrumi e i frutti di bosco si fanno sentire tra la cera e le spezie, una certa freschezza floreale quasi balsamica non manca all’appello. Al palato manifesta maggiormente i limiti di “età” con un legno ancora da amalgamare anche se la struttura e l’acidità sono di razza. Personalmente, da amante dei blanc de noirs, al momento si rileva una piccola “delusione”. Non mi sento di biasimare il vino, semmai la mano che lo ha scelto. Resettiamo le papille con un bicchierino di Ratafia: intrigante vino liquoroso – ottenuto con una lunga lavorazione di vecchie vendemmie di chardonnay – che ricorda un mix tra marsala, sherry e vinsanto, prodigo di profumi ed estremamente raffinato al palato. Un finale di visita particolarmente gradito.

Lasciamo Avize per tornare a Epernay per una sosta gastronomica a “La Banque”, caratteristica brasserie nel centro del paese sorta, appunto, negli ex locali di una banca. I clienti sono accolti in due grandi sale arredate con gusto, il menù propone semplici ma interessanti piatti di carne e pesce e la carta dei vini, soprattutto, permette di accedere a una vasta cantina dai prezzi molto corretti.

Proseguiamo verso altri clivi e giungiamo ad Ambonnay, piccolo paesino ubicato a sud-est della Montagna di Reims, nel regno del pinot noir. Prima di arrivare al nostro appuntamento passiamo davanti alla cantina di Egly-Ouriet, guardiamo il nostro Julien speranzosi che possa regalarci una visita anche lì, ma veniamo subito disillusi. Peccato… la giornata poteva diventare davvero memorabile.

Varchiamo il cancello della casa-cantina di un piccolo produttore: R.H. Coutier, récoltant-coopérateur (le uve sono pressate alla Cooperativa di Ambonnay e poi il processo finisce nella propria cantina), proprietario da quattro generazioni di quasi nove ettari – tutti grand cru – piantati non solo a pinot noir. La maison pratica la lotta ragionata in vigna e un metodo di viticoltura molto rispettosa della natura, ad esempio non diserba tra i filari. Il ventenne Antoine, figlio di René e fresco di studi enologici, ci guida nella cantina tradizionale emozionante e caratteristica, un dedalo di tunnel scavati a mano nel gesso. Tornati in superficie, dopo il rituale assaggio dei vin clair ossia dei vini base direttamente dai tini, ci trasferiamo in salotto per iniziare la degustazione degli champagne. Come dicevo non solo pinot noir, i Coutier sono stati i primi di Ambonnay a piantare chardonnay già dalla metà degli anni ’40 e quindi partiamo con l’inusuale Cuvée Blanc de Blancs Brut. La base è l’annata 2012 e il restante 50% vini di riserva, sosta ventiquattro mesi sui lieviti e il dosaggio è poco più di sette gr/l. Al naso è elegante, un sottile equilibrio tra fiori gialli come la ginestra, frutta tropicale di ananas e lime, crosta di pane e leggere ossidazioni. Al palato dapprima ti avvolge setoso e poi scivola via in una palpitante freschezza. Gli aromi sono più intensi che al naso ma sempre giocati sulla finezza. Non particolarmente profondo, finisce comunque lungo. A seguire la Cuvée Tradition Brut, vinificato come il precedente ma con un uvaggio 75% pinot noir e restante chardonnay. Si smorzano i profumi di frutta gialla (pesca) e bianca (pera) e si inseriscono quelli delicati di piccola frutta rossa, alle note fresche degli agrumi si accompagnano quelle calde di mandorla e nocciola. In bocca è molto coerente, colpisce l’armonia generale e la cremosità tattile, la vena minerale è profonda e l’acidità citrina sfila la vinosità tipica del pinot per poi tornare sul finale. Ottima la persistenza. Arriviamo al top di gamma, la Cuvée Henri III 2008 Brut Vintage Blanc de Noirs, un pinot noir 100% con dosaggio di sette gr/l e almeno quattro anni sui lieviti. Il nome è un tributo al re che autorizzò l’organizzazione della prima fiera del vino nel 1578. Circa il 40% del vino passa un anno in barrique usate. Si presenta dorato e adorno di un fine perlage. Inizialmente si respira frutta bianca, anche disidratata, poi subentra la piccola frutta rossa in compagnia di qualche agrume, quindi il pan brioche e leggere tostature. Non mancano richiami minerali e gradevoli ossidazioni. In bocca è corrispondente, il legno impercettibile. Il corpo e la struttura sono notevoli, ma il perlage dinamizza ottimamente tale opulenza. La vinosità e l’acidità sono perfettamente integrati in un equilibrio assoluto, la lunghezza e la persistenza sono ragguardevoli. Chiudiamo con il vino rosso l’Ambonnay Rouge – Côteaux Champenois 2009, pinot noir in purezza da vigne di almeno quarant’anni. I profumi richiamano piccola frutta rossa e nera, spezie orientali e un tocco fumé. Al palato è snello e sapido, armonico sebbene i tannini non siano ancora completamente smussati.

Salutiamo Antoine e passiamo da Vincent Renoir a Verzy, piccolo paesino all’estremo nord della Montagna di Reims, per un rapido saluto (leggasi veloce sbicchierata). In poche parole un produttore dal rapporto qualità/prezzo lodevole e con un’etichetta recente molto interessante, il Brut Nature Grand Cru, finita nel bagagliaio insieme al Millésime 2007 (preso alla cieca in sostituzione dell’ottimo 2006 non più disponibile per la vendita).

Finiamo la giornata, e purtroppo anche il viaggio, con una visita del centro di Reims (mirabile la cattedrale nella quale sono stati incoronati i re di Francia con le famose vetrate di Chagall) e una cena in un’enoteca in compagnia di Julien, alcuni suoi amici, e tante altre bottiglie di champagne!

In conclusione permettetemi un ringraziamento sentito e dovuto a Ido Mariani (e family) per il servizio “navetta”, per le soventi richieste di traduzioni simultanee e per aver approfittato della sua notevole conoscenza dei luoghi essendo stato importatore diretto di champagne, una passione sempre viva che lo ha portato a produrre bollicine anche in Versilia nella sua Tenuta Mariani.

Leonardo Mazzanti

Leonardo Mazzanti (mazzanti@acquabuona.it): viareggino…”di scoglio”, poiché cresciuto a Livorno. Da quando in giovane età gli fecero assaggiare vini qualitativamente interessanti si è fatto prendere da una insanabile/insaziabile voglia di esplorare quanto più possibile del “bevibile enologico”. Questa grande passione è ovviamente sfociata in un diploma di sommelier e nella guida per diversi anni di un Club Go Wine a Livorno. Riposti nel cassetto i sogni di sportivo professionista, continua nella attività agonistica per bilanciare le forti “pressioni” enogastronomiche.

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