Flashback. Schegge di assaggi indietro nel tempo: autoctonie. Suavia, Pietracupa, Mastroberardino, Antico Terreno Ottavi

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Massi Fitti 2008 – Suavia

Tutto in filigrana, tutto “in levare”. Nel tessuto a maglia fina dei profumi si rincorrono fresche punteggiature floreali e una mineralità di matrice vulcanica. L’apparente ritrosìa aromatica, con l’aria a conforto, regala una sensazione di purezza “di montagna”, seducente quanto introspettiva.

Bocca incantevole per profilatura, verticalità, ritmo e finezza. Non una smagliatura da concedere al tempo, solo tensione e “ricca essenzialità”. E la subliminale snellezza di un vino finto-semplice, in grado di onorare ed attualizzare le potenzialità del trebbiano di Soave, storica varietà del territorio di Soave, qui riportate a piena luce dagli estri congiunti di uomo e terroir. Ah, nel 2008 la vigna era ancor giovane: se il buongiorno si vede dal mattino!

Pietracupa_fianoFiano di Avellino 2007 – Pietracupa

Il giallo acceso prefigura un carattere solare, lo senti. L’evidenza fruttata ci parla di un millesimo generoso. Eppure non traballa, non esonda, si contiene. Uno di quei casi in cui la latente ossidazione incoraggia la beva, e non la appassisce. Bello e caratteriale lo spettro aromatico, quasi da Champagne maturo, con l’incisivo e ormai proverbiale sottotraccia idrocarburico a ricordarti l’impronta minerale tipica di questa etichetta e del territorio di Montefrédane. Bocca fibrosa e salina, larga ma non troppo, dal tenore alcolico ben imbrigliato e dal finale bellamente fumé, che fa tanto Pietracupa.

Greco di Tufo Vintage 2002 – Mastroberardino

Il paglierino ammette ancora rifrangenze smeraldine, ispirando tonicità, verve, freschezza. Così al palato, che non cede di una virgola e rilancia impettito e vibrante. Preciso negli assetti, verticale e ficcante nella dinamica, nel gioco dei rimandi fra le note balsamiche e quelle resinose si concede sbuffi di mandorla, accenti “camomillosi” e sottintesi mineral-sulfurei più elettivi, timbro inconfondibile della terra sua, che di nome fa Tufo. Sorprendente la tenacità.

Pianetta di Càgnore 2002 – Antico Terreno Ottavi

Brilla sempre, a distanza di anni, per originalità aromatica, e non ce n’è per nessuno: un tripudio di spezie e di umori officinali fanno da tappeto ad un naso saettante e balsamico, orientaleggiante e seduttivo. Dettano i tempi ad un vino ancor fresco e sostenuto nello sviluppo, senza ridondanze alcoliche, succoso e disinvolto, profilato ed appagante: vivo. Ieri come oggi, una sorpresa.

Un’etichetta che non esiste più.  Una cantina che non esiste più. Rappresentavano il sogno di un uomo (e di una donna) per far rinascere la Vernaccia Nera, autentico lascito della storia vitivinicola maceratese, ma in versione secca, ad onorare la terra natìa di San Severino Marche e il lieux-dit di Càgnore. L’interruzione di un sogno per le conseguenze dolorose che la vita è solita addebitarci fin troppo disinvoltamente, non ci impedisce oggi di ritornare con la memoria e con i sensi a quel progetto di vita e di vigna, a quelle idealità e a quei vini. La fierezza e la straordinaria diversità organolettica di questo bicchiere “dimenticato” testimoniano che sognare, a Càgnore, era un atto dovuto.

Assaggi effettuati nel mese di aprile 2016

FERNANDO PARDINI

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