Godiamoci quindi questi 2016 dialettici, divertenti e contrastati, da cui oggi andrò ad estrarre una cinquantina di referenze da un panorama fitto di 70 etichette degustate (che restano pur sempre una parte del tutto, con diversi papabili protagonisti assenti). Perché 50 referenze su 70? Perché in certi casi non avrei saputo proprio cosa dire, condizionate com’erano dalla provvisorietà degli assetti (molti i campioni da botte, nelle note indicati con l’acronimo cb), da un insufficiente coinvolgimento personale o da reiterati problemi di tappo.
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NOTE DI DEGUSTAZIONE – SECONDA PARTE
Per la PRIMA PARTE leggi qui
L’impronta fumé annuncia un vino caldo, largo, già dispiegato nei sapori, il cui quieto incedere non sembra supportato dal grado di contrasto atteso.
GAGLIOLE – RUBIOLO (cb)
GUIDI 1929 – SAN GIORGIO ALLO SPADAIO
Ad un quadro aromatico leggermente sfocato segue un gusto fruttato, morbido, avvolgente, che rilascia una sensazione di dolcezza fin troppo accentuata.
Ti affascinerà per quel sorso limpido, succoso, dall’andamento naturale, che si veste di una pienezza buona dai risvolti eleganti per aprirsi alle ragioni della bellezza. Ancora una volta su alti livelli di espressività.
L’assetto incerto, tipico di un campione da botte, dona alle trame una coda astringente dalle “tentazioni” amaricanti, quindi da rivedere a bocce ferme. Eppure dimensione strutturale e proporzioni sembrano quelle giuste, se traguardate in prospettiva.
Disegno arioso, freschezza succulenta: sembra ben intenzionato a non far spadroneggiare la dolcezza, garantendo movenze eleganti ad una trama disinvolta marcata più dall’acidità che non dal tannino. Distintivo!
Tipicità, schiettezza, equilibrio e una trama sapida e slanciata confermano i progressi di questa piccola cantina di Radda, sancendo il miglior conseguimento di sempre per l’ispirata produzione di Diego Finocchi.
Generosamente fruttato, si gioca la carta della seduzione prodigandosi in un abbraccio morbido, dolce e voluttuoso, senza affondare il colpo sul versante del carattere.
Fine, succoso, “sentimentale”, esprime con delicatezza e minuzia di particolari un gusto fresco, snello, “sollevato”, senza vacuità od incertezze. E’ un gusto colmo di sottintesi, questo è, a tutto vantaggio del coinvolgimento emotivo.
Puro, elegante, dettagliato, di dichiarata naturalezza espressiva, è una ficcante lama di acidità ad indirizzarlo su slancio e beva. Nel frattempo tannini puntiformi si irradiano a nuvola regalando ariosità al quadro, e con l’ariosità una sensazione tattile impalpabile, leggiadra, evocativa.
Umori silvestri fanno da sfondo ad un profilo grintoso in grado di proporsi e di spingere. Solo una latente traccia alcolica, probabile aleatorietà di un campione da botte, tende ad allargare la trama nel finale. L’attesa e la permanenza in bottiglia garantiranno equilibri migliori: la compiutezza se ne avvantaggerà.
Piuttosto ampio, fruttato e diffusivo, attacca bene potendo contare su una sicura piacevolezza, salvo poi farsi perentorio sul finale di partita, alquanto restìo nel concedersi secondo un allungo che possa ritenersi significativo.
Di lui mi convincono la personalità aromatica, la tipicità e la grinta sapida. C’è un pizzico di calore in esubero a sfrangiarne la trama, ma schiettezza e carattere gli appartengono, e non sono in discussione.
Colore vivo e spigolosità. Come sempre introspettivo e poco accomodante, ne apprezzerai la coriacea consistenza e la latente reattività, sotto l’egida di un temperamento altero non esente da screziature vegetali.
Succoso, fresco, definito, si muove con disinvoltura e grande personalità. Capacità di dettaglio, sale e purezza sono le doti prese a fondamento per disegnare un Chianti Classico distintivo e personale.
Balsamico, fresco, “impettito”, accordato in ogni passaggio gustativo, non possiede forse la profondità di un 2013, per dire, ma resta un vino di territorio ineccepibile per sostanza e riconoscibilità.
Colore come sempre acceso, così come acceso è il contrasto gustativo. Grinta sapida e determinazione, semmai, devono fare i conti con una concentrazione di materia che in questa fase tende a comprimerne l’ariosità. Rovere in fase digestiva, ma c’è tempo.
Succo e pienezza instradati da un disegno stilistico moderno, tecnicamente ineccepibile, dove del vino ne potrai cogliere l’anima “meridionale” e la buona propensione all’equilibrio espositivo, senza strafare.
Mi piacciono la sapidità e il carattere, annunciati da schiettezza, veracità e progressione. Non gioca di cesello né si avvale di movenze elegantissime, ma sa il fatto suo e te lo fa capire con un certo sentimento d’orgoglio.
Mantiene e preserva i fondamentali della tipologia, enucleati qui in un gusto affilato da cui traspaiono spigolature vegetali e una buona freschezza di fondo. Ombroso, essenziale, tattilmente un po’ rugoso, della piacevolezza se ne fa garante il ritmo.