Certo è che contano i fatti, e i fatti individuano nel Friulano (ex Tocai) il vino-vitigno più atteso e più amato di tutta la regione da parte degli appassionati e dei cultori più esigenti del “berebene” italico. Al punto da meravigliarsi che non si tratti della varietà più coltivata in Collio, dove pure trova le sue espressioni più mature e complete. Nel Collio infatti arriva terza, dopo il pinot grigio (ahimé) e il sauvignon, da cui si ricavano vini capaci probabilmente di sfondare meglio sui mercati internazionali. Una scelta commerciale più che vocazionale, e tanto fa.
Nel Collio, più che in altre sottozone, si ottengono da sempre i risultati migliori, propiziati non tanto e non solo da una conformazione orografica collinare, non tanto e non solo dalla specificità dei suoli (la mitica ponka di origine eocenica quale alternanza di marne e arenarie, caratteristica di tutto il Collio), quanto soprattutto dalla variabilità microclimatica dovuta alle esposizioni, al gioco dei venti e a un maggiore o minore grado di piovosità, ciò che va garantendo ai vini una leggibile varianza espressiva.
Il temperamento signorile, potente e sfumato al contempo, il corpo saldo e quella cadenza ammandorlata gradevolmente amaricante tipica della prima gioventù ne segnano il carattere e ne esaltano la razza austera, che è quella di un bianco nato per essere atteso. E’ anche grazie al Friulano se si è contribuito a sfatare il luogo comune che vedrebbe il potenziale di longevità di un vino bianco discendere esclusivamente – o prevalentemente – dall’acidità fissa. Mica vero!
Le annate in gioco erano due: la 2017, tendenzialmente calda e asciutta ma tutto sommato meno problematica dal punto di vista gestionale rispetto a ciò che è accaduto in altre regioni italiane, e la 2016, risultata piuttosto calda in zona, anche se l’andamento stagionale è stato corrisposto da fasi fenologiche più regolari.
Più luce invece dai 2016, vuoi per l’affinamento maggiore vuoi per una connaturata reattività che li rende ancora orgogliosamente vivi, giovani e aitanti, con sicuri margini di crescita. Un paio di vini altisonanti, qualche piacevole sorpresa e uno standard qualitativo super rispettato alimentano a ragion veduta la curiosità, offrendo ad operatori ed appassionati i giusti stimoli per un’immancabile ricerca.
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Freschezza mentolata, erbe, droiture, nitore, sensazione alcolica calmierata e accorta….. e se l’ampiezza non è la sua dote migliore, l’equilibrio sì.
Linearità, pulizia e una chiusura assai ariosa sono gli assistenti in campo di un Friulano ben rispettoso dei fondamentali tipologici. A brillare è il bilanciamento fra le parti, un po’ meno la finezza.
Sentori di guarnizione di gomma e “zolfino” screziano il quadro dei profumi rendendolo poco leggibile. Al gusto qualche spiraglio in più consente di apprezzarne una sensazione agrumata, un temperamento austero e una tattilità un po’ rugosa. Ovvia la riprova, in attesa della agognata distensione.
Il coté floreale e delicatamente speziato apre ad un gusto succoso, teso ed affusolato, convincente per modulazione nei toni e progressione. Il finale di mandorla dolce ribadisce classicità. E’ nitido, ben disegnato, dai fragranti risvolti citrini.
Un po’ dilavato nel comparto dei profumi, screziato da curiose note affumicate, assume una buona scioltezza al gusto, senza impuntature né arroccamenti. Da attendere, perché ha una sua ragion d’essere.
La vena linfatica e i sentori di frutta secca annunciano un vino schietto e cremoso, dall’abbraccio caloroso e verace, senza picchi di personalità o cambi di passo.
L’esuberanza floreale, tanto esplicita quanto sbarazzina, toglie spontaneità (e profondità) al quadro dei sapori; lo sviluppo procede ordinatamente ma senza scosse caratteriali.
Qui si respira un buona sensazione di tipicità, grazie alla precisa connotazione varietale e ad una trama istintivamente piacevole più che complessa. Vi regnano precisione e chiarezza espositiva, a scapito semmai dei contrasti, per la verità piuttosto attutiti.
Probabilmente còlto in una fase di assestamento, da un naso poco disteso lascia emergere un risvolto idrocarburico ma soprattutto una dominante ammandorlata che tende a prendersi la scena rendendo alla trama una cadenza aromatica ostinata e austera. Ne apprezzerai la verve, non ancora il dettaglio.
Se la timbrica aromatica richiama fedelmente la tipologia e offre la suggestione di una rassicurante tipicità, la fibrosità del tratto e l’accentuata morbidezza non contribuiscono né alla finezza né al dinamismo.
Uno dei rari portavoce di oggi da cui spicca una venatura salina caratterizzante, a dare brillantezza e profondità al quadro, un quadro che lascia lampeggiare succosità, coordinazione e una certa generosità alcolica.
Contratto e irrequieto, mal di distende sotto l’egida di un naso ancora “lievitoso” (sentori che ricordano il malto) e di una trama di bocca coriacea e inflessibile, dalla chiosa amaricante.
Nitidezza, tensione ed equilibrio stanno di casa, doti non così scontate in questa fase evolutiva e per questa annata. Buon viatico, annunciato da una integrità aromatica beneaugurante in grado di aprire alle sfumature di sapore.
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Aura classica, temperamento altero, linfa vegetal-balsamica e scorza (amaricante) di frutta secca. Niente male come incisività, anche se mi sarei atteso maggiore armonia ed articolazione.
Profumi fruttati maliziosamente esotici (ma freschi) fanno tentennare lì per lì il mio coinvolgimento. E’ al palato che si riprende quote di credibilità, grazie alla determinazione, alla continuità di sapore e al ritrovato piglio austero di comprovata matrice tocaista.
La rarefazione aromatica lascia spazio al non detto, quando non alla timidezza; accordato e piacevole, di “buona educazione”, il carattere sorvegliato e la morbida tattilità non ne mortificano il sapore.
Ancora confuso dal gioco dei lieviti, che tende a coprirne dettagli ed articolazione, da lui avrai grinta ma non chiarezza espositiva.
Buon sapore di fondo e buona droiture per un vino che fila via tonico e impettito, senza eccessive ingessature, mostrando una personalità non urlata e una sottesa mineralità. Parziale sorpresa.
Lo stimolo agrumato alimenta gli attesi contrasti ad un Friulano reattivo, ben bevibile e piuttosto affusolato nelle trame. Non possiede una personalità esaltante, quella no, ma si difende con onore.
Fibroso, scattante, vivo. Fra spontaneità e veracità, la macerazione (ben digerita) innesta un surplus di sapore. E’ un Friulano personale negli accenti, “Marco Perco style”, solo leggermente caldo di alcol.
Non assume l’ampiezza e la diffusione dei migliori esemplari della specie ma possiede quella profilatura affusolata, quella freschezza di fondo, quella esplicitezza citrina che se da un lato ne sentenziano una certa originalità stilistica, dall’altro ne affermano la gradevolezza.
Gran bella fibra qui: vibrante, schietto, lungo, scortato da un frutto maturo al punto giusto, brilla per carattere, rigore e spontaneità, distinguendosi con merito nell’ambito della tipologia e piazzandosi nel novero dei migliori bianchi del Collio.
Intanto conserva sapore, continuità d’azione e una certa propensione all’eleganza, e questi sono punti a suo favore. Nel finale invece, meno persistente delle attese, la cadenza si fa più “dolcina”, vanigliata ed accomodante, normalizzandosi un po’.
Una solenne nota fumé annuncia un vino nitido ed elegante, proporzionato e sfaccettato. Sono fiori bianchi, mandorla e clorofilla. Davvero interessante e compiuto.
Degustazioni alla cieca effettuate a Gorizia, Grand Hotel Entourage, nel mese di maggio 2018.