Varcare la soglia d’ingresso è come fare un viaggio nel tempo. Colonne, vetrate, stucchi, arazzi…. tutto rimanda a glorie del passato ma con una classe ed una eleganza ancor’oggi attuali. Elida mi accoglie in divisa, pronta a dedicarmi il suo tempo ma altresì preparata al servizio, casomai si “sforasse”. Il primo colpo d’occhio cattura l’aura di una donna di essenza e di vitalità professionale. Le battute iniziali del nostro incontro hanno inteso condividere l’emozione che proviamo a trovarci in un luogo così. Ci accomodiamo in uno dei tanti salotti a disposizione. Il fascino di Elida colpisce. L’energia della sua personalità bussa discretamente per catturare inevitabilmente attenzione e fiducia nelle persone, e devo confessare che il mio animo un po’ “d’antan” non ne è rimasto indifferente.
Cosa si prova a lavorare in questo posto?
“E’ un grande privilegio. Provo un sentimento di appartenenza, innanzitutto, perché ti senti parte di una casa. Questa diventa una seconda casa, forse anche la prima.” E sorride. “Si passa tanto tempo qui e quindi si provano molteplici stati d’animo: il sentimento del dovere, il sentimento del far felici le persone, quello di essere sempre pronta e a disposizione, e quello di essere tutti giorni parte attiva e funzionante dell’ingranaggio.”
Un traguardo questo che comporta un grande impegno professionale. Il risultato è merito di tante doti o di tanta gavetta?
“Le doti sicuramente sono obbligatorie. Come dicevo prima, il senso del dovere, il senso di appartenenza, la disponibilità sono doti che in questo lavoro devono essere innate. Se fai la gavetta senza possedere queste attitudini, senza avere queste motivazioni, è difficile poi che tu le metta su. Sicuramente servono tutte e due. La gavetta è quella che ti rafforza, che ti permette di far uscire quelle doti. La gavetta ci vuole perché non si improvvisa nulla, e nessuno ti regala niente. Entrambe le cose vanno perciò di pari passo: la gavetta è fondamentale così come lo sono certe doti.”
“E’ come possedere le chiavi di casa tua. Tu entri in casa e sai già quello che ti aspetta. Ti aspetta il tuo ambiente. La giornata parte da lì, dalla visita in cantina. Sostare in mezzo alle bottiglie serve come momento di concentrazione prima dell’inizio della giornata. Il pensiero di entrare è sempre impegnativo ma la sensazione è appagante. Entri innanzitutto perché hai da guardare le cose belle che hai costruito, e questo è già un aspetto molto gradevole del proprio lavoro. Entri perché hai tante cose da sistemare per quel giorno. Entri perché hai tanti vini da preparare per il servizio nei vari reparti. E’ mia cura fornire e controllare i vini per il servizio in camera, bar, ristorante fino al servizio in spiaggia (il Grand Hotel ha una spiaggia privata). La cantina è un posto dove posso attingere, a volte, l’energia che mi manca. Quando vi entri respiri subito tutto quello che hai costruito e questo ti dà forza e serenità. Appena entro al lavoro vado subito in cantina, la saluto e mi dico: “eccoci qua anche oggi, partiamo”. Salutare la cantina quasi fosse una persona: è un rito che faccio tutti i giorni.”
-Come è nata la tua passione per il vino?
“Una buona parte della mia vita l’ho vissuta in Albania, io sono albanese. La passione è nata nell’ambiente familiare, le cose più belle nascono in famiglia. Mio padre produceva grappa in casa, e sul terrazzo c’era un alambicco auto-costruito che, sbuffando, emanava i suoi profumi e a me piaceva perdermici.”
-Come è cambiato il suo approccio alla materia negli anni, come appassionata e come professionista?
Ti applichi per migliorare le tue conoscenze e per metterle a disposizione degli altri. Se penso a dieci anni fa, dove la richiesta era completamente diversa, dove avevi una grande fetta di clientela che proveniva dalla Russia, dove si poteva vendere qualsivoglia Amarone o Barolo, adesso non è più così. Conoscenza del cliente e della trasformazione delle varie esigenze. Purtroppo, se ragionassi da appassionata, non riuscirei a soddisfare buona parte della clientela. Questo vuol dire non far mai mancare dalla carta un certo numero di aziende fashion, anche se il mio gusto si orienterebbe in altre direzioni.”
– E’ possibile per un esperto come lei trovare il tempo di visitare anche i produttori?
“Assolutamente si, è d’obbligo. Non puoi non farlo. Anche se il lavoro ti condiziona molto, perché richiede tanta presenza, riesco a visitare spesso cantine. Per aver tempo di visitare sia le “vecchie” aziende che quelle nuove ho bisogno però di programmare tutto, anche la mia vita privata.”
-Come avviene la ricerca delle cantine emergenti? Quali sono le caratteristiche che devono avere?
“Devo svelare un segreto: non mi presento mai come responsabile della cantina del Grand Hotel. Quando incontri un produttore e ti presenti con il ruolo che ricopri si possono creare delle aspettative, inoltre non mi piace approfittare della mia posizione. Mi è capitato spesso che la mia qualifica porti un po’ di soggezione nei produttori, e a me un po’ di imbarazzo. Così, visto che mio marito è sommelier ed ha un locale, mando avanti lui ed io mi concentro sui vini. Ovviamente in un secondo momento, a scelta fatta, glielo dico. Per ciò che riguarda le nuove cantine ed i nuovi acquisti vado oltre la scelta. Vado, laddove è possibile, a visitare la realtà di quella cantina, qual’è il tipo di terreno su cui le viti dimorano e quale sia realmente il metodo di lavorazione assunto.”
-Cosa cerca nei vini sconosciuti ed in quelli conosciuti?
Come sono cambiati i criteri di scelta del vino nei clienti del ristorante, dall’inizio del suo servizio ad oggi?
“E’ cambiato tanto, il consumatore è più preparato, quindi più esigente e curioso. Innanzitutto anche noi che proponiamo i vini in sala siamo condizionati, come i vignaioli, dalla stagione e dalle temperature della stagione stessa. La clientela internazionale invece, a prescindere dalla stagione, chiede i classici “brand”, anche perché il costo di quei vini in Italia è molto inferiore rispetto a quello che pagherebbero nel loro paese. Il gusto si è evoluto. Una cosa che noto, negli ultimi due/tre anni, è la mancanza di un consumo dei vini passiti.”
Quindi possiamo dire che il palato del consumatore è volubile o curioso?
“Una parte della clientela viene condizionata dalle mode. Altri clienti seguono le riviste o le guide. Si affidano a quelle e si fanno condizionare. Poi c’è una parte più libera e curiosa che si aspetta anche una proposta da parte del sommelier e si fa guidare concedendoti fiducia. Questo è il massimo della soddisfazione.”
Durante la sua carriera professionale è stata fatta oggetto di discriminazioni in quanto esperta proveniente d’oltre mare o come donna?
“Come ti dicevo sono di origini albanesi, ma devo sinceramente ammettere di non aver mai vissuto episodi spiacevoli. Anche se mi confronto con tante persone che non conoscono il mio lavoro o non hanno ancora la maturità per capirne la responsabilità, o la pressione che hai nel ricoprire questa mansione, non mi sono mai accaduti avvenimenti spiacevoli. Ovviamente qualche disguido con i colleghi ci sta, ma si risolve tutto con diplomazia, rispetto ed umanità.”
Quali saranno i vini, secondo lei, che i consumatori prelidigeranno in un futuro prossimo?
Terroir : un termine, a mio avviso, sempre di più abusato. Cosa significa per Elida Sota questa parola?
“Essere fra il cielo e la terra quando assaggio un vino, come in una sorta di limbo sospeso, dove tutte le mie emozioni mi portano a sentire il vento, il calore, la mia mano che tocca la terra, la musica delle foglie che si muovono. E poi la mente e i miei occhi che vedono i colori netti tutto attorno e tutto lo ritrovi nel bicchiere: per me questo è il terroir. È un misto di realtà e romanticismo.”
Quante etichette ha in carta, se le ha mai contate?
“La cantina ospita qualcosa come 450 etichette.”
La bottiglia più prestigiosa che le è capitato di stappare per i clienti dell’hotel.
“Di recente l’onore è toccato ad uno Chateau Lafite-Rothschild 2004 e un Chateau Cheval Blanc 1999. Devo dire che le persone che lo hanno ordinato mi hanno chiesto poi di assaggiarlo assieme. Un bel privilegio.”
“Le mie chicche sono quelle che si vendono meno. Possedendone pochi esemplari sono talmente gelosa che tentenno nel proporle, perché poi non ne avrei più. Per i vini che hanno un certo valore, oltre che di danaro anche di storia o perché figlie di annate introvabili, per fare alcuni nomi direi Gaja, Ausone, Valentini, Cheval Blanc. Per i bianchi direi i Montrachet, i Corton-Charlemagne, poi certe vecchie annate di Ruinart. Per l’Italia dico Collio, senza dubbio, con diverse annate di Gravner, Terpin e Podversic”.
Il personaggio pubblico che le è rimasto più impresso.
“Sono rimasta ammaliata dal fascino e dalla bellezza di Sharon Stone, una persona molto riservata e gentile. Recentemente da Vasco Rossi, anch’egli estremamente gentile e umano. E da Laura Pausini, vera romagnola D.O.C, persona molto disponibile e dalla battuta facile. La cosa più bella di tante celebrità, oltre a quelle citate, è che ti mettono a tuo agio, come se facessi parte della loro quotidianità.
Devo dire che l’incontro più bello che abbia mai fatto con i clienti dell’Hotel è stato quello con Zygmunt Bauman, un incontro che ho tenuto nel cuore. Abbiamo parlato di vino perché il grande filosofo era una persona curiosa e mi ha chiesto per cena un vino romagnolo. Voleva sapere tutte sulle peculiarità della terra di Romagna. Fu molto disponibile. Parlammo del suo lavoro, che conoscevo poco, ma la settimana dopo corsi subito in libreria a comprare alcuni suoi trattati. Un vero galantuomo, di una classe e di una umanità straordinarie. Si rivolgeva nei miei confronti come se ci conoscessimo da anni. Sapeva entrare nei discorsi con una semplicità spiazzante e sapeva parlare di tutto. Prima di andarsene mi disse che aveva immediatamente intuito una grande passione verso il mio lavoro, e mi fece un baciamano come regalo. Davvero un ricordo meraviglioso.”
Se non sommelier cosa?
Tre desideri.
“Prima di tutto la salute per una persona cara. Un’altro desiderio è quello di poter continuare ad approfondire la materia vino per riuscire a comprenderla sempre meglio. In ultimo mi piacerebbe viaggiare di più nelle regioni vinicole del mondo a me sconosciute.”
A malincuore mi accomiato da questa piacevole e dolce compagnia sfoggiando anni di studio del galateo e ripetizioni private di bon ton. Donna intelligente, donna di stile. Energica e misurata al tempo stesso, che ha a disposizione un palcoscenico a volte un po’ scomodo ma senza dubbio leggendario: il Grand Hotel di Rimini.
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