Mi sono convinto che il dilagare di sushi, anzi di finto sushi e pietanze simili, non sia solo dovuto all’attrazione che il piatto orientale genera per curiosità o per sua qualità intrinseca; non può essere solo questo, anche perché -non me ne vogliano gli appassionati del genere- il cibo che si gusta in questi locali pseudo giapponesi è forse apprezzabile per la varietà di colori e forme, arte sublime di manualità, ma non certo per le qualità organolettiche, ripetitive tanto quanto ripetitivo è l’utilizzo dei medesimi tranci di pesce allevato in ogni parte del globo. Ingrediente primario dal basso prezzo e di scarsa riconoscibilità, ben adatto ad un consumo facile ma anche disattento.
No, il favore che questi locali riscuotono sta anche nella semplicità della loro offerta. Una semplicità che il tipico ristorante italiano non riesce più a soddisfare. Avete un po’ di fame, non avete voglia di cucinare a casa, oppure volete uscire con due amici in maniera poco impegnativa? chi ve lo fa fare di andare ad impelagarvi in una cena completa, in un lungo convivio cioé che tanto economico non potrà essere. E poi si mangia sempre più frequentemente fuori, andare al ristorante non è più, come una volta, un evento, ed ecco che quello che si cerca è un’offerta semplice. Dal rapido kebab al sopracitato sushi, alla ovvia pizza, non è solo il prezzo che vince ma anche la facilità.
Partita persa quindi per la cucina italiana, a parte ovviamente la pizza che ormai in tanta parte del globo neppure è più percepita come un piatto italiano (o mediterraneo che sia)? Niente affatto, ecco che sorgono alternative per andare incontro a questa richiesta. Oltre alla pizza sono arrivati i panini, le piadine, oggi le cresce o le pinse, ma sempre con la limitazioni legate alla loro essenza di supporti “panosi”, che possono anche diventare gourmet ma che non si adattano a contenere la grande varietà del cibo italico.
Abbiamo visitato a Torino due locali che si contendono la palma della miglior patata ripiena, Poormanger e Pomme de Terre. Un gioco di parole il nome del primo, che altalenandosi tra francese e inglese porta dal “per mangiare” al “mangiare povero”, riferendosi ovviamente all’economico tubero. Un chiaro riferimento al piatto base invece il nome del secondo.
Avremmo potuto anche lasciarci tentare da altri piatti tradizionali tipici delle piole d’un tempo (la trattoria a buon mercato piemontese, ormai non così comune), come le acciughe al verde, la lingua, la salsiccia di Bra, ma passiamo alla patata pur sempre rispettando la tradizione locale: ripiena di bagnacauda con le sue verdure. Un esempio in cui il piatto di portata, la patata, diventa ingrediente essenziale, che mai potrebbe mancare in una bagnacauda che si rispetti. A seguire dolci fatti in casa e per bere una buona scelta di birre artigianali e vino al calice. Insomma, tutto quello che ci vuole per un pranzo, uno spuntino, una cena piacevole, varia e poco impegnativa.
Ma la cottura delle patate? Calde e ben mantecate, a scelta con olio e sale oppure burro e formaggio, non sembrano certo frutto di un riscaldamento a microonde di qualcosa di precotto, e infatti, in entrambi i locali fanno bella mostra di sè due stufe sempre accese, curiosamente simili ma non uguali, dove le patate vengono prima cotte e poi mantenute alla giusta temperatura per essere servite.
Eccola quindi la risposta “fast” e pienamente italiana alla richiesta di mangiar bene ma con meno impegno. Curioso che come base abbia scelto un piatto tipicamente anglosassone se non statunitense, ma tant’è, l’importante è che funzioni!
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