anarchìa s. f. [dal gr. ἀναρχία, comp. di ἀν- priv. e tema di ἄρχω «comandare»]. – 1. Mancanza di governo, come stato di fatto, sia per assenza di un valido potere a causa di rivoluzioni, sia per inefficienza dell’esercizio del potere da parte di coloro che ne sono investiti: instaurare, far cessare, reprimere l’a.; periodo di anarchia. Per estens., disordine, confusione, stato di un luogo dove ciascuno agisce a suo arbitrio e senza ordine o regola: che a. in quell’ufficio!; in quella casa c’è la più completa a.; tutto il trecento parve, e fu veramente, a. (Carducci). 2. In senso storico-politico, dottrina che propugna l’abolizione di ogni governo sull’individuo e, soprattutto, l’abolizione dello stato, da attuare eliminando o riducendo al minimo il potere centrale dell’autorità; sviluppatosi nella 2a metà del sec. 19°, il movimento anarchico (che fu soprattutto guidato da M. Bakunin e da P. Kropotkin) sostiene un estremo decentramento dei poteri amministrativi della società, affinché i lavoratori possano organizzare da sé la proprietà e l’amministrazione dei mezzi di produzione.
Tralasciando il Carducci, che purtroppo non ho mai capito nella sua pur pluricelebrata grandezza, un primo grimaldello critico lo rintraccio qui: “l’abolizione di ogni governo sull’individuo e, soprattutto, l’abolizione dello stato”. Sostituendo “governo” con “luogo comune” e “stato” con “eccesso della tecnica” già ci avviciniamo: è anarchica una visione del vino libera dal governo dispotico dei luoghi comuni, delle parole d’ordine, dei cliché in apparenza inattaccabili. È anarchica, parimenti, una visione del vino libera dallo stato oppressivo della tecnica usata in misura debordante e deformante.
In questo senso l’intera opera critica del grande Veronelli è stata anarchica. Soprattutto nel suo ultimo decennio di vita, egli ha cercato di liberare i nasi e i palati (di conseguenza anche i fegati) dalla camicia di forza degli stereotipi e degli eccessi deturpanti dei vini tecnici. Dell’ultimo Veronelli si sono appropriati, con maggiore o più debole legittimità, vari soggetti. Molti lo hanno arruolato a forza tra i pasdaran del vino naturale, tra i duri e puri del vino contadino. Ma, se posso provare con presunzione a interpretare l’ultimo Veronelli, egli non ha mai legittimato nel vino – per restare al punto uno del lemma treccaniano – “disordine, confusione, stato di un luogo dove ciascuno agisce a suo arbitrio e senza ordine o regola”. Nel vino, almeno nel vino, l’anarchia non è sinonimo di caos. È sinonimo di libertà.
Taglio variegato di uve bianche (cortese, chardonnay, trebbiano, sauvignon, garganega), il Bellotti Bianco 2014 si è proposto sulle prime in un assetto olfattivo scontroso, ombroso, vagamente ostile; ma dopo pochi minuti di dialogo con le molecole di ossigeno contenute nell’aria del locale dove l’ho bevuto, si è sentito libero di offrire profumi più limpidi, tra gli agrumi e l’ostrica. La volatile, certo non timida ma del tutto misurata, rafforzava il senso di libertà anarchica dello spettro aromatico.
Punto di forza del vino la dinamica al palato, che è facile assimilare all’andamento ritmico della risacca marina: ondate di sapore che si susseguivano placidamente, senza giocatori di racchettoni molesti a turbare la quiete del panorama gustativo.
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La foto di Stefano Bellotti è stata tratta dal sito triplea.it