Mea maxima culpa. Taste alto Piemonte c’è stato a marzo, e tra impegni vari solo adesso riesco a mettere in fila i pensieri e trascrivere dai disordinati appunti mancini alcune note che mi ero preso. Per certi aspetti meglio così: lasciando sedimentare la memoria e tirando su la rete dei ricordi, vi restano impigliate le evidenze maggiori, magari non le più importanti, ma quelle che han lasciato un segno individuale più netto.
Non è il vino dell’enologo
Inizio con una constatazione. Nel prepararmi alla degustazione di Taste Alto Piemonte, volevo dare un filo conduttore alla sequenza degli assaggi che avrei fatto. Mi ero detto: “Voglio provare i vini di un enologo, attraverso le diverse aziende con cui collabora, per vedere se si riconosce o meno la mano. Avrei cercato i vini seguiti da Cristiano Garella, figura di riferimento della zona già dai tempi del nostro primo incontro alle tenute Sella.
Ebbene, dopo pochi assaggi, il filo conduttore era evaporato. Lo dico con gioia, e credo anche che Cristiano in persona potrebbe confermarlo con soddisfazione. L’Alto Piemonte non è zona da “vini dell’enologo”. Non ci sono santi, è il territorio ad emergere, prima di tutto. E in secondo luogo la mano del vignaiolo. Tra le varie realtà aziendali che ho assaggiato, per le quali Cristiano opera in qualità di consulente enologico, ho apprezzato stili diversissimi, che vanno dai vini in cui si ricerca la maturità e l’evoluzione a vini connotati da una freschezza tutta giovanile. Come ho detto però, in tutti emerge la territorialità data dai suoli (porfidi, sabbie, argille…) e la filosofia aziendale data dal vignaiolo. Sicuramente, in questo caso, merito anche dell’approccio discreto e rispettoso alla terra e alla storia di ogni singola azienda che Garella ha dato. È la via migliore perché un territorio in forte ascesa possa crescere in maniera bilanciata, senza slogan, senza mode del momento, senza inutili accelerazioni. Il territorio parla da solo.
La Prevostura: freschezza e vitalità
Muntacc 2016 ha maggiore dolcezza rispetto al ventoso Garsùn, ma con una spinta di acidità e sapidità splendide.
Il Lessona 2015 mostra discrezione e pacatezza, e un incedere da grande vino. C’è signorile lentezza, respiro marino, dolcezza, sapidità, un’agile lunghezza. C’è tutto quello che serve per raccontare la bellezza.
“Oddio, che vino ha fatto Boniperti col 2015!” Hai presente quando qualcosa ti si para davanti ed è DAVVERO un livello più su? Quasi lascia spaesati, il Fara Bartòn 2015 di Boniperti. Tocca corde che non pensavi d’avere, sveglia papille inutilizzate da anni, è una cosa che dal mondo fisico si trasferisce senza mediazioni al mondo dell’interiorità.
Quasi inutile parlare della classe immensa che ha fisicamente questo vino, dell’incedere ampio, del suo tessuto finissimo, della fusione perfetta del tannino, della lunghezza ricca, del bilanciamento totale delle componenti in gioco. La Pietà Rondanini? No, più compiuto. La Pietà di San Pietro? No, più verticale. Puro stupore.
Luca Caligaris: un percorso di crescita
Vi ho trovato maggior finezza, una trasparenza nebbiolesca più rasserenata, una pulizia e signorilità nuove.
L’assaggio del Gattinara Riserva 2012, 100% nebbiolo integralmente ricavato dalla vigna Osso, conferma questa impressione: qui ritrovo l’impostazione più materica e ” di peso” dei vini di Luca, con note terziarie che vanno al cuoio al cioccolato, e tanto calore alcolico. Ben venga quindi la mano più aerea del 2015. Avanti così!
Incontro inaspettato e piacevolissimo, quello con Gianni Bonino e la figlia, a presentare i vini della loro Cascina Preziosa. Impianti giovani (prima vendemmia nel 2013), terroir tutto da scoprire: si tratta delle ultime propaggini a sud delle sabbie marine di Lessona; siamo a Castellengo, frazione di Cossato, su dolci colline che rappresentano l’ultima ondulazione prima della vasta pianura della Baraggia, patria di grandi risi. Il terreno è sabbioso misto ad argilla.
Interessantissima la vespolina Ilmore 2017: naso che fa ingolosire con il pepe bianco e il gran bilanciamento, in bocca è vivo, quasi esplosivo, squillante, godurioso, lungo. Molto interessante l’assaggio di questa vespolina coltivata su sabbia, per capire le differenze con le la vespolina da argille moreniche ad esempio di Ghemme o di Fara. In questo caso, la sabbia sembra dare un quid in più di polposità. Bel vino anche il Coste della Sesia Castleng 2016, 100% nebbiolo. Unghia calda, che vira al mattone, naso che si bilancia tra il cuoio e la ciliegia amarasca. È succoso, vivamente tannico, importante. Bei vini per un terroir dalle grandi potenzialità.
Come nel caso del Fara Bertòn 2015 di Boniperti, fai un assaggio, ti blocchi, capisci che hai davanti qualcosa di grandissimo. Nella fattispecie, mi ha colpito al cuore il Coste della Sesia 2016 100% nebbiolo. Sapore, frutto, sale, purezza. Non voglio dire altro, è qualcosa di impressionante. Di pregevole livello anche il Bramaterra 2015 (70% nebbiolo, 20% croatina, saldo di vespolina e uva rara). Anche qui regna una sensazione di integrità del frutto, di croccantezza proprio. Il tannino picchia eccome, ma si tratta di un Bramaterra ancora giovane, astenersi quindi amanti del velluto!
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