I vini del mese e le libere parole. Novembre 2019

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Stella Flora 2014 – Maria Pia Castelli

Mamma mia che nobilità.
E sì che i vini di Maria Pia Castelli ed Enrico Bartoletti me li ricordavo più irrequieti e selvatici, indiscutibilmente caratteriali ma dotati di una dialettica tanto spontanea quanto “selettiva”.

Oggi mi trovo davanti questo Stella Flora ’14 ( uvaggio di pecorino, passerina, trebbiano e malvasia di Candia provenienti dalle basse colline di Monte Urano, in provincia di Fermo) e resto basìto: per il suo naturale fluire, per l’eleganza d’espressione, per l’incrocio virtuoso dei sapori e per i seducenti profumi, che mi portano là dove avrei voluto essere trasportato.

E se da un lato ti racconta con minuzia di particolari tutta la fibrosa consistenza che sola attiene a certe terre marchigiane, dall’altro si esalta nel felice connubio con l’elevage in rovere, che lo va ad apparentare ad un Borgogna di alto lignaggio sfiorandone gli umori, accarezzandone lo spirito.

No, non ho difficoltà ad annoverarlo fra i migliori bianchi dell’anno.

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Brunello di Montalcino Vigna Schiena d’Asino 2015 – Mastrojanni

A conquistarti è la spazialità, il modo in cui si diffonde, in ampiezza e in profondità. Lo fa con impagabile grinta minerale, lì dove la proverbiale scorza austera resta scandita da una impronta tannica tridimensionale che canta da baritono e ha pure l’eco incorporato. E poi c’è quella salinità grondante, ad allungare il sorso a dismisura.

Il presente gli sta stretto, lo vedi e lo senti. Ma non per questo scalcia sguaiatamente al punto tale da non farsi desiderare. Perché lo berresti anche adesso, che ancora è lontano il tempo di uscire sui mercati, per il piacere di sentirti irretito e travolto da quell’onda di sapore che non è mai irruenza.

Lui però guarda al futuro, e non lo teme. E’ un vino di razza, distintivo, riconoscibile, vive di contrasti e ha sposato per amore la reattività.

Non lo fermi, e vince sempre lui.

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Flaccianello della Pieve 1999 – Fontodi

Sull’etichetta c’è ancora scritto Dino e Domiziano Manetti; le uve sangiovese, a quel tempo là, provenivano da una sola vigna; il tenore alcolico si attestava provvidenzialmente sui 14 gradi, in stagioni particolarmente generose come questa.

Da lì a poco le cose sarebbero cambiate: i nomi in etichetta sarebbero divenuti quelli dei figli, la vigna avrebbe ceduto il posto ad una selezione di uve provenienti da diversi appezzamenti, il temperamento alcolico si sarebbe fatto più evidente.
Rimane un punto fermo, la “sua” Conca d’Oro, assieme all’amore incondizionato di una famiglia intera a prendersi cura di lui.

Oggi, di fronte a cotanta prova di orgoglio e determinazione, abbiamo compreso un po’ meglio cosa significhi la parola intensità, e fin dove possa arrivare.

E’ una scia lunghissima di sapore in cui la potenza scivola nell’interiorità. E’ un cuore che si snuda, proprio sotto la corazza.

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Bolgheri Sassicaia 1999 – Tenuta San Guido

Questo è uno di quei casi (rari casi?) in cui devi metterti l’anima in pace, abbandonare ogni pregiudizio, liberare la mente dalle sovrastrutture e offrirti a lui con animo purificato. Dopodiché ben presto ti accorgerai come Sass ’99, nel travalicare ogni possibile aspettativa, sia in grado di annientare i pregiudizi a suon di bellezza.

Noi oggi non abbiamo “bevuto un’etichetta”, abbiamo potuto godere di una esperienza unica, perdipiù in formato magnum: un’esperienza magnum, ecco.

Magnetico, profondo, contrastato, vitale, infinito, più che un vino è uno spartiacque.

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Pauillac Grand Cru Classé Château Lynch Bages 1989

Già dal colore rende una idea di irruenza, a tradire una gioventù che se stai alle insegne non dovrebbe appartenergli più. E invece è saldo, vivo, scuro, ciò che va a tradursi in un sorso energetico che altri non è se non pura attrazione sessuale: violenta, libera, selvatica, insopprimibile. Quegli istinti che nessuno te li sa spiegare, men che meno la scienza, dopo tutto questo tempo.

Alla profondità balsamica ci lega la visceralità, e un frutto turgido, e una trama incalzante che svicola il cesello formale per scuoterti dentro, fino a far vibrare le corde della fisicità.

 

 

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Pauillac Grand Cru Classé Château Pichon Longueville 1981

Pichon Longueville 1981 è il momento esatto in cui senti di aver incontrato la donna (o l’uomo) che amerai per sempre da lì in poi nella tua vita.

Lui è quell’effetto lì; è quando ti senti fragile e forte al tempo stesso, e la tua sensibilità diventa elettrica.

E’ quando hai i brividi sotto pelle e non ci puoi fare niente, perché hai già deciso dove si indirizzerà il tuo amore.

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Immagine di copertina:  “Mio padre e lo zio Piacsek con vino rosso (József Rippl-Rónai, 1907)

 

FERNANDO PARDINI

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