La Cuzziol Grandi Vini è ospitata in un ampio e polivalente spazio a Santa Lucia di Piave, un’ex fabbrica di ferri da stiro acquistata nel 2014 dopo lo “split” tra Cuzziol Spa, che vende bevande, e l’attuale società che si occupa esclusivamente della distribuzione di vini nazionali e internazionali da 14 regioni italiane, 9 francesi e altrettanti stati esteri (Austria, Germania, Portogallo, Slovenia, Spagna, Armenia, California, Argentina, Nuova Zelanda).
C’è una sala degustazione per ospiti, una per le cene dei gruppi, una sala gastronomia con cucina, una sala terroir con le mappe e i terreni delle principali denominazioni italiane e francesi, decine di locali climatizzati per lo stoccaggio, con codice ottico per ogni palette per la tracciabilità della filiera di ogni lotto. Alla formazione degli agenti è dedicato almeno un incontro al mese con investimenti importanti in termini finanziari.
Di seguito la carrellata degli assaggi. Prima puntata dedicata ai bianchi, la seconda ai rossi e ai vini dolci/liquorosi.
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Riesling e dintorni
La cantina Emrich-Schönleber di Monzingen, nella Nahe, è stata fondata nel 1960, ma la tradizione viticola della famiglia risale almeno a due secoli prima. La famiglia Schönleber conduce venti ettari vitati, tre quarti dei quali piantati a riesling. «È tra i produttori di spicco della zona, ancora più radicati sul territorio rispetto a un Dönnhoff. Sia Werner, il padre, che Frank, il figlio, parlano poco l’inglese, solo tedesco. La vigna è gestita come un giardino, il lavoro è meticoloso. Ho scelto due vini. Entrambi del 2016». Il Riesling Lenz 2016 ha colore paglierino giovane e brillante. Profumi di agrume fresco, di minerali e pietrischi, di zucchero filato: bel respiro aromatico-varietale. Palato succoso e tonico, di bella lama minerale ed elegante zucchero, sale e acidità a braccetto, grande equilibrio, buccia fresca di lime, con vibrazione minerale in chiusura. Il Riesling Halenberg Spätlese Grosse Lage 2016 ha colore paglierino brillante, un olfatto in fascinosa riduzione minerale (pietra focaia, erba tagliata). Palato analogamente asciutto, teso, embrionale, sprezzature acide e vibrazione minerale, laminato, tagliente, con verve limonosa nel finale. Da conservare in cantina.
«La vendita del vino tedesco è anomala rispetto a quello italiano o francese. Il 60%-70% viene venduto in Germania ai privati. Quello che rimane alla ristorazione tedesca e, in misura minore, fuori dal paese», continua Luca. «Sono arrivato al Riesling per caso. È il 2006, l’anno del Mondiale azzurro, e sono da Dominique Lafon. Arrivo con una cassa di Prosecco, lui mi fa prelevare una caraffa di vino bianco direttamente dalla vasca, scoprendo poi che era il suo Montrachet 2000… Per terra c’era un cartone di Riesling. “Questo è il futuro del vino”, mi dice: è bianco, ha poca gradazione alcolica e con il cambiamento climatico sarà sempre più difficile anche qui da noi fare vini freschi. Apre una bottiglia di Schieferterrassen di Heymann-Löwenstein. Il giorno dopo sono da Jean-Michel Deiss. Apre un’altra bottiglia di Heymann-Löwenstein. Evidentemente era destino. Così è cominciata l’avventura con Reinhard Löwenstein. Oggi siamo il suo più importante mercato estero». Nel tempo questo produttore della Mosella è diventato un piccolo oggetto di culto. Non sempre però i suoi Riesling mi entusiasmano. Il Riesling Schieferterrassen 2017 ha naso in riduzione minerale e un palato succoso, aspro, introverso, con note di pietra focaia ed erbe tagliate, marcatori delle vertiginose terrazze vitate su suoli d’ardesia che caratterizzano le vigne di questo produttore e della sua denominazione. «Usa tappi di sughero con chiusura a ceralacca nera, che tuttora vogliamo al posto del tappo a vite. Reinhard è un rivoluzionario, ha deciso di vinificare i Riesling della Mosella in modo diverso, con meno zucchero e più alcol. Il suo stile non è comparabile a quello degli altri. Un po’ come Marco Parusso in Langa, che vinifica a graspo intero».
Il Riesling Röttgen Grosse Lage 2014 ha colore paglierino intenso e vivo. Olfatto di pietra bagnata, di pietra focaia, di riduzione minerale. Palato succoso, ferroso, salato, grande polpa e grande energia, taglio minerale trasversale, vibrazione sapida, acido e tenace, sprigiona sale e pietra, profondo e persistente, con allungo asciutto, quasi salato. «Il terreno dove nasce questo vino ha macchie di ferro, è il suo bianco più tannico, lo abbiniamo al carré d’agnello».
Ancora più rivoluzionario è stato Jean-Michel Deiss, nipote del fondatore Marcel Deiss, che nel secondo dopoguerra ha fondato la cantina che tuttora ne porta il nome. La sede è a Bergheim, a nord di Colmar, gli ettari vitati 27 sparsi in 9 comuni. «Jean-Michel è l’uomo della “complantation”, il “domaine de la rêverie”, del sogno. C’è anche il nostro zampino in questo progetto: anni fa parlavamo di come aumentare il percepito alsaziano, gli ho consigliato di fare meno vini». La “complantation” prevede la vendemmia congiunta e la conseguente vinificazione delle diverse varietà comprese in un singolo vigneto, in modo che ognuna bilanci, “compensi” l’altra, esprimendo l’essenza di un terroir. La conduzione è rigorosamente biologica. «Jean-Michel venne denunciato per avere vinificato tutto il vigneto nello stesso giorno, poi è diventato presidente dell’AOC alsaziana. Un uomo di grande coerenza».
L’Engelgarten Cru d’Alsace 2016, da uve riesling, tre pinot (gris, beurot, noir) e muscat da terreni magri e ghiaiosi ha colore paglierino intenso, un naso tardivo, aromatico, e un palato succoso, contrastato, tardivo-aromatico, floreale, tonico, molto asciutto. «Un’uva parla con l’altra e insieme si armonizzano. Per noi questo vino rappresenta il primo livello della “complantation”, e come tale va spiegato. Siamo il primo mercato estero per Deiss con 10.000 bottiglie all’anno». Lo Schoenenburg Grand Cru 2013 (antico “lieu-dit” solatio di Riquewihr, terreni calcarei, microclima favorevole per lo sviluppo della muffa nobile, predominanza di riesling da vecchie vigne) ha colore paglierino dorato, grande lignaggio aromatico, e un palato succoso e sciolto, dal frutto maturo e tardivo, l’eleganza di essere bilanciato e bevibile nonostante il residuo zucchero: mantiene il sale accanto allo zucchero, ha sapore e allungo, sviluppo notevole, davvero di classe. Luminoso, magicamente equilibrato, seducente, di bella purezza. C’è prima il terroir del vitigno.
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Deux Chenins Blancs de l’Anjou
Il Saumur Blanc Brezé Clos De Midi 2018 è brillante nel colore, ha un olfatto limpido ancora in via di sviluppo, e un palato maturo, polposo, alcolico, ma anche tonico, sapido. Poco lineare, dunque fascinoso, dal finale spiccato di sottobosco (terriccio, tartufo). «È stata una delle scoperte migliori sul piano dell’appeal commerciale. Arnauld è giovane, bio ma non estremo, ha delle vigne bellissime comprate ancora dal padre quando i prezzi erano abbordabili, con suddivisione del terroir alla borgognotta. Oggi è più facile proporre un produttore per il suo terroir che per la sua notorietà».
A Bellevigne-en-Layon, la collina di Juchepie rappresenta il cuore del Coteaux-du-Layon, zona vocata per la produzione degli omonimi vini dolci a base di chenin blanc, capostipiti della tipologia in Loira e tra i più originali di Francia. Convinti che il loro terroir potesse esprimersi anche con bianchi secchi, Eddy e Mileine Oosterlinck-Bracke hanno intrapreso questo nuovo corso con il loro Domaine de Juchepie, fondato nel 1986. «Ho assaggiato i loro vini per la prima volta a Vinexpo 2013, o per meglio dire nel salone off di Vinexpo, La Renaissance du Terroir, ospitato in una vecchia fabbrica. Due coniugi belgi che si erano innamorati della Loira, una storia romantica. Facevano come tutti dei vini moelleux serviti in grandi ampolle che mi piacevano poco. Li ho ritrovati nel 2015 che producevano un bianco secco e poi nel 2017 i loro vini erano tutti secchi: ho pensato che si poteva cominciare a venderli. Sono “vin de garage”, vini di pancia, vini fuori dalle mode, che non vogliono stare a tutti i costi in un catalogo vendite. Sono produttori puri ma non estremi, interpreti naturali non alternativi, gente che deve per forza stupire: questo è molto interessante dal mio punto di vista, perché oggi in molti tendono a sfruttare un canale commerciale per poi sbroccare. Vini difficili da vendere, ma ne vale la pena». Le Jarre de Juchepie Sec 2015, proveniente da terreni scistosi, con vigne orientate a mezzogiorno e un solo passaggio di vendemmia (21 settembre), è un’interpretazione radicale, uno chenin blanc più selvaggio dove si respira quasi l’aria della Jura, con i suoi sentori di mandorla sbucciata, di noce, di iodio, di arbusti. Palato succoso e contrastato, molto contrastato, asciutto e salino, note di noci, mandorle tostate, terra bianca. Grande rigore, grande sapore, grande allungo.
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Due tappe in Borgogna
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Francia del sud e del sud-ovest
Nelle terre dei grandi vini dolci francesi si producono anche affascinanti bianchi secchi. Succede nel bordolese, succede in Loira, succede nel sud e anche nel sud-ovest. A Jurançon, ad esempio, zona di uno dei più squisiti moelleux nazionali. Sulle colline di Monein, tra Biarritz e Lourdes, Henri Ramonteu è uno dei principali interpreti del petit manseng. Lo Jurancon La Canopeé 2014 Cauhapé, da uve raccolte a metà novembre, esibisce un colore giallo dorato brillante e un cespuglio di fiori al naso, tra menta, petali assortiti, ginestre e acacie, comprensive del loro miele. Palato pieno, maturo, ricco, tardivo, lungo, complesso, davvero persistente: buccia d’agrume, zafferano, arbusti, argille e terricci, note quasi empireumatiche. «È un vino di spessore. Sono stato un paio di volte da Henri. È arrivato al vino dalla proprietà terriera. Ha sempre fatto il moelleux comprendendo che il futuro andava in un’altra direzione, e oggi produce dei grandi bianchi paragonabili a quelli della Loira e dell’Alsazia».
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Due bianchi fuori dal coro
Parlerò di Karl Fritsch nella prossima puntata. A questo giro mi limiterò a riportare gli elementi fondamentali del Materia Prima 2017, un particolarissimo e ambizioso vino che è difficile definire solamente bianco, non fosse altro per il suo colore che vira decisamente all’arancio intenso. Proviene da un uvaggio alla pari di traminer e grüner veltliner, da vigne di 35 anni che giacciono su terreni calcarei derivanti dai depositi glaciali di löss, ovvero: «Nome tedesco dato a depositi eolici di colore giallo chiaro e costituiti essenzialmente da granuli di quarzo finissimi e per lo più arrotondati con carbonato di calcio, idrossidi di ferro e poca argilla, poroso se non rimaneggiato dall’acqua» (Enciclopedia Treccani). Fermentazione spontanea in botti di rovere usate da 500 litri con macerazione per due settimane. Successivo affinamento in botti da 700 litri per dodici mesi e in vasche ovoidali di cemento. Chiuso in una speciale bottiglia nero-opaca di ceramica con tappo in sughero naturale. Profuma di albicocca, tè, fiori secchi, frutti rossi. Ha un palato strutturato, ferroso, tannico senza eccessi, e un carattere roccioso, indomito: l’ho assaggiato e riassaggiato lungo più di due mesi, fuori dal frigo, dentro nel frigo. Non si è smosso di un’unghia. Siamo nel Wagram, zona a est della Wachau, considerata il “Piemonte dell’Austria”.
Continua…..