Palermo – “La Sicilia non è una regione, è un continente.” Non mi ricordo bene chi l’abbia detto, non è di certo mia comunque. Il biglietto da visita è il blu del mare che scorgo dall’oblò, un blu profondo che si riflette nell’anima come una pietra preziosa. E poi la luce. Una luce obliqua, che allunga le ombre come ad esser sempre pomeriggio. Sceso dall’aereo l’impatto è subito forte. Il mio sguardo viene catturato da una scritta: “ Aeroporto Falcone e Borsellino“, promemoria di un passato-presente che involontariamente respiri.
L’aria del sud mi investe e mi porta via con sé fin da subito. Dal bus che mi conduce in città colgo colori nuovi e il calore della terra mi parla. Ho trovato un “giaciglio” perfetto stavolta, abbastanza lontano dai saloni della Zisa per ritornare a piedi e smaltire i fumi “eno-liquidi” e per perdersi nel centro storico di Palermo e dei suoi rioni, cosa che faccio immediatamente lanciando il bagaglio in camera.
L’anima della città mi chiama e io non so resistere. E’ da poco passato il meriggio e bighellonando mi avvio verso la parte vecchia seguendo le stradine più vissute. Sampietrini impregnati di umanità ci raccontano di popoli navigatori. La Sicilia è ancora ben integrata in un periodo storico che va dai fenici ai greci fino agli angioini e agli aragonesi, passando per i bizantini, i musulmani, i normanni. La Sicilia vive in una dimensione spazio-temporale che racchiude un passato presente di cui Palermo ne rappresenta una visione a sé stante.
Te ne accorgi quando cammini per le strade. Per caso svolto in un vicoletto e mi ritrovo nel bel mezzo del mercato del Capo, uno dei tre più famosi della città. Sono investito dai colori e dall’energia. Nuovi suoni, nuovi odori, nuovi gesti. Ne rimango stordito. Tutto è improvvisato, lasciato al caso ma con un senso logico e un’armonia perfetta. L’effige della Santa di Palermo è presente su ogni muro. Ogni strada omaggia con il proprio stile la “madrina” come fosse una Dea antica. O forse inconsciamente lo è. La Sicilia non va educata, va lasciata libera di esprimersi.
Proseguo verso il mercato della Vucciria, un desiderio che si avvera. Lo trovo decadente, vissuto fino all’estremo, fagocitato. Leggo i muri e le strade intrise di fatica, negozi e bancarelle che stanno in piedi con la sola forza dell’entusiasmo e del cuore, un cuore che qui abbonda. Mi siedo a far merenda e chiacchiero. Alcuni avventori, intuendo l’estraneità nel suono delle mie parole, mi raccontano che non è più il mercato di riferimento del palermitano, salvo di sera. Alla notte cambia di nuovo anima e diventa il punto di riferimento della movida cittadina. Ci passerò.
Cartina alla mano mi oriento verso i cantieri culturali della Zisa, un pò per la curiosità e un pò per anticipare la registrazione che avrei fatto il giorno successivo. La Zisa è un esempio di architettura industriale che un manipolo di “sovversivi” è riuscito ad utilizzare e a risistemare realizzando nell’ordine: Centro sperimentale di cinematrografia, Accademia di belle arti, Centro internazionale di fotografia, Filmoteca regionale. Ospita l’Istitut francais de Palerme, e ovviamente spazi espositivi, rassegne di cinema, musica, teatro.
Involontariamente mi ritrovo a parlare con uno dei responsabili nonché mente del progetto, Filippo Pistoia. Figura longilinea, occhi azzurri e carnagione chiara, esempio di una genia probabilmente normanna. “ Ci siamo battuti tanto per questo spazio. Negli anni il progetto è diventato involontariamente una sorta di polmone sano del quartiere. I ragazzini vengono qui, si sentono al sicuro e noi, a nostro modo, li tuteliamo da quello che purtroppo c’è fuori. Palermo è anche quello che tu lo sai. Sembrava impensabile poter costruire una dimensione di aggregazione, di collaborazione ed avere un posto dove far esprimere i talenti umani e sociali. E invece guarda, ne siamo felici. ” Hai capito ‘sti “sovversivi”? Gentaccia!
Una persona discreta e attenta Filippo, attenta nel cercare di trasmettere l’impegno e il senso civico che alberga in tutto ciò che fanno. Un senso civico che diventa la pietra angolare su cui fonda l’intero progetto dei Cantieri Culturali. La mia propensioone idealista trova conforto nelle parole di Filippo, che non mi nasconde le grandi difficoltà che vivono tutti i giorni e i drammi di una città come Palermo. Lo fa in maniera dignitosa e composta di chi, come la perseveranza della gocciolina, prima o poi ne scava la roccia. Mi sto accorgendo che questa rassegna non sarà come le tante orami frequentate e viste. Il vino non è al centro, il vino è un agente catalizzatore per un messaggio sociale, una sorta di rivendicazione di terra e libertà.
La sostanza delle parole di Filippo mi accompagna sulla via del ritorno e inizio a guardare il tutto in modo diverso. Comincio a respirarne i drammi, le prepotenze, i riscatti, i sogni. Comincio a vedere, al di là dei canti dei mercati, la cruda realtà ma anche il diamante umano che sta nel fatto di non arrendersi. Mi dirigo nuovamente al mercato della Vucciria per vedere la movida. Le taverne, al pomeriggio chiuse, ora traboccano di gente. La vitalità siciliana, quasi fosse un rito ancestrale di purificazione, offre il meglio di sè. Ancora una volta tornano a sorprendermi le inflessioni dialettali e la musica che, come una nota sola, sento provenire da questa immensa fonte di energia.
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Sublime! grazie Marco per questa tua intensa e profonda descrizione della mia città. Me la fai amare ancora di più!
Caro Marco, non saremo stati i primi di sicuro, ma almeno in argomento vinoso fummo noi a descrivere la Sicilia come un continente, nel lontano 2004!
https://www.acquabuona.it/rassegne/annocinque/siciliaenprimeurdegu.shtml