Era proprio il periodo in cui passavo dall’astemia alla passione per il vino, alle prime degustazioni, ai primi lavoretti nel settore. Rivedere per caso un frammento di una di quelle trasmissioni (“che differenza c’è tra un film di Zeffirelli e una maglia di lana? nessuna: la trama è grossolana, e poi…irrita”) ha fatto riaffiorare molti ricordi assortiti. Di cui uno davvero sorprendente, a ripensarci adesso.
Ovvero la partecipazione a una degustazione più unica che rara. Con bottiglie antiche e venerabili, dal costo iperuranico allora, figuriamoci oggi. Peraltro del tutto gratis et amore dei, ospitato in un albergo in Svizzera. Avendo come dirimpettaia di tavolo – insieme ad altri esperti illustri – nientemeno che la diva della critica Serena Sutcliffe.
Non riesco quasi a crederci, a distanza di ventotto anni. Io, un ragazzetto ignorante che aveva appena iniziato a mettere vagamente a fuoco la differenza tra un Bordeaux e un furgoncino Ape Piaggio, in un consesso di dotti capaci di discettare sulle sottili differenze tra il Lafite-Rothschild del 1848 e quello del 1858. Impensabile.
Esagero? Ecco l’elenco dei vini stappati quella sera (nei punti in cui non appare il produttore è perché l’etichetta non permetteva di risalire alla casa vinicola):
Vini bianchi
Château Grillet 1894
Hermitage 1870
Hermitage Marquis de la Tourette 1899
Johannisberg 1899
Montrachet 1899
Vini rossi
Château Pontet Canet 1899
Château Léoville Las Cases 1899
Château Léoville Poyferré 1878
Château Cos d’Estournel 1895
Cornas 189?
Château Lafite Rothschild 1891
Chambertin 1899
Vini da dessert
Moscatel Colmenares Solera 1868
Malaga Cartameno Solera 1817
Malaga San Martin 1780
Distillato finale, tanto per gradire: Larios Gran Reserva 1866.
Generoso ospite della serata, Paolo Badaracco, delle cantine omonime di Melano. Attualmente di proprietà giapponese, credo; se ancora esistono.
Mi sorprese e mi sorprende ancora, nel ricordo, la compostezza dei presenti. Come se stessero bevendo – con tutto il rispetto – uno Zinfandel australiano, e non dei sopravvissuti introvabili. Io ero invece come percorso da una scossa elettrica, almeno finché il resto del canuto alcol ottocentesco non mi ha fatto svenire sul letto in albergo.
Ma il vino ha questo di straordinario, e insieme di ordinario: parla a tutti, che si tratti di un Premier Cru bordolese vecchio di cent’anni o di un umile Dolcetto sfuso. Che si tratti di un degustatore eccelso o di un ragazzotto ignaro. Anzi, a costo di rotolarmi nella retorica vischiosa: spesso parla di più ai semplici che ai sapienti. Come in Matteo 11, 25: “In quel tempo Gesù prese a dire: io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli”.
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PS un ringraziamento de core a Michele Alesiani, storico ristoratore marchigiano, antesignano dell’importazione di bottiglie pregiate in terra italica, palato finissimo, che era presente quella sera e che mi ha mandato una foto sbiadita dell’invito (perso da tempo nel mio disordinato archivio).