Ho conosciuto il miele prima del vino. Me lo fece amare tanti anni fa un’ex fidanzata. Mi raccontava le sue proprietà, favoleggiava sulla sua longevità, superiore a molti esseri viventi, forse addirittura immortale (il miele ritrovato nelle piramidi egizie). Rimasi affascinato dai suoi colori, dai suoi profumi, dal suo sapore, dal suo tatto ora fluido ora granuloso, dalla purezza del suo gusto. È stato il primo contatto organolettico con il mondo varietale: acacia, tiglio, castagno, girasole, arancio, rosmarino, tarassaco, sulla… Era una ricerca continua del più raro, del più esotico, del più buono. E poi la scoperta della meravigliosa melata. Il miele non è più uscito dalla mia vita.
È stato dunque un piacere conoscere un apicoltore di talento come Andrea Paternoster di Mieli Thun e poter assaggiare alcuni dei suoi mieli. Sono magnifici. Quello di erica, soprattutto, ha il colore del grano o della senape, una texture favolosa che ricorda il mou, un sapore di rara caratterizzazione. Ma anche quello di abete, con il suo colore scuro e il sapore forte e amaro, un po’ come il miele di castagno. O la fragranza del rododendro. Andrea li chiama quintessenze e non è per presunzione. Sul sito https://www.mielithun.it si possono leggere i principi di una poetica e la dichiarazione d’amore per il mondo del miele, considerato “puro ingrediente”, cui ha addirittura dedicato un manifesto futurista e un atlante cromatico.
Il primo è un dizionario fondamentale che racchiude l’identità del miele attraverso sedici lemmi: territoriale («Ogni luogo produce mieli con caratteristiche fisiche e organolettiche specifiche inerenti l’area e il momento di produzione»); vegetale («Pur essendo delle api, i mieli sono un prodotto vegetale, sono il frutto più prezioso delle piante e rivelano il profumo del fiore d’origine»); crudo («Nessuna trasformazione è necessaria per consumare e conservare il miele»); salutare («Minerali, enzimi, biodisponibilità, etnofarmacopea, sono parole che vengono associate in maniera naturale agli utilizzi dei mieli e alle loro proprietà»); naturale («Ape fa rima con vita. Segnala senza equivoco la salute di un ambiente, feconda i fiori della maggior parte delle specie angiosperme, garantendone la biodiversità»); essenziale («Nulla è aggiunto e nulla è tolto al miele. Ecco dove risiede la sua essenzialità. Spesso la prova più difficile è l’esercizio dell’umiltà, capire i nostri limiti e permettere che i magici equilibri tra mondo vegetale e animale facciano il loro corso naturale»); dolce («Ha la magica composizione zuccherina della frutta. La ricchezza di ventitré tipi di zuccheri diversi lo distinguono dagli altri dolcificanti»);
Il secondo è il caleidoscopio cromatico, denominato mielicromia, di cui si nutre la sostanza e la natura del miele: i gialli, gli arancioni, i marroni, i rossi lungo decine di gradazioni, riflessi, variazioni… Una gioia per lo sguardo. Come nei vini, specialmente quelli dolci (dolci come il miele, appunto), il colore non è mero attributo decorativo, ma, a saperlo guardare, leggere, interpretare, è specchio della sostanza e stato di salute dell’alimento (è limpido, è opaco, è cristallino, è ossidato?), preludio alla sua natura olfattiva e gustativa.
Andrea, cinquantaquattrenne della Val di Non, è un apicoltore per tradizione familiare (lo erano il padre e il nonno) e per vocazione. «Ho studiato agraria e fatto comprare a mio padre quattro ettari di terra, ma avevo l’irrequietezza delle api addosso. Un giorno ho deciso di cavalcarle come fossero un tappeto volante per ridare dignità a uno dei prodotti italiani più nobili. Pratico l’apicoltura nobile con 50 fioriture in tutto il paese, 18 monofloreali su 60 siti nazionali. Siamo figli inconsapevoli di una botanica esclusiva: metà del patrimonio botanico europeo dimora in Italia. Le api sono state la mia vita e il mio intento è sempre stato quello di sollevare le sorti del miele dallo stato di commodity industriale. Dico a tutti di usare il miele quando si sta bene, non quando si ha il mal di gola. Il miele è gioia, è vita».
Ma Andrea Paternoster non è solo un apicoltore, è anche uno sperimentatore febbrile, un visionario che coltiva l’inaspettato. «Ho iniziato i primi abbozzi di fermentazione nel 2001, continuate nel 2003 con piccole produzioni e l’obiettivo di fare un aceto di miele e uno sfrido, un figlio del destino che diciassette anni dopo prenderà il nome di Sintesi. Poi nel 2013 gli ossidati versione beta e nel 2017 il primo “metodo classico” a base di miele e acqua di fonte, L’esuberante».
L’Idromiele Sintesi è invece un unicum, un fermentato del 2003 di miele di abete e di agrumi con acqua di fonte alpina, affinato in botti di rovere scolme per quasi 15 anni, nato per essere una base per gli aceti di miele e che, dimenticato in un magazzino, ha assunto un’altra identità. Colore ambrato intenso; naso di lacche dolci, di noci, di ossidazione nobile, di pasta di mandorle, di frutta secca, di legni antichi; palato dolce, morbido, suadente, a metà tra una Marsala e un Vin Santo, un Vin Santo che diventa secco, ecco gli arbusti, la frutta secca, il mallo di noce nudo, il crinale di un palato dolce/non dolce, volatile e dolcezza in unisono, lunghissimo.
Quella di abete ha analogo colore bianco assoluto, un naso di uva passa e muschio, con sentori finali di miele e abete. Grande soffio alcolico, purezza di alambicco, allungo aromatico di potente ariosità. Lunghissimo, con note di miele e tante altre cose (susina, prugna, ciliegia e altri frutti rossi). In chiusura sempre lui, il miele.
Gli aceti, infine. Di miele, naturalmente. Agrumi e abete. E il metodo Amici Acidi concertato insieme ad Andreas Widmann di Baron Widmann, Josko Sirk di Sirk della Subida, Andrea Bezzecchi della Acetaia San Giacomo e Mario Pojer di Pojer & Sandri.
Quelli di Andrea, benché derivino dal miele, non sono per nulla dolci, come uno potrebbe immaginare, ma secchi e acidissimi.
Nulla qui è prevedibilità.
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Le foto di Andrea Paternoster sono state gentilmente concesse (copyright Mieli Thun)
Grande Andrea: passione e creatività infinite!