Evidente traccia minerale, invidiabile freschezza, propulsione prodiga di minuzie. E una spazialità che irradia sapore fin negli anfratti, propiziata da un profilo dinamico e al tempo stesso sostanzioso. A commento, un’elegante dote di frutto, una integrità di forme a tutto tondo, l’evocativo conforto del fiore e delle spezie.
Due o tre cose, pescate a caso fra le tante, a rimarcarne il passaggio: le indubbie potenzialità del vigneto Scanni, sia pur rinnovato da poco con vecchio materiale genetico ricavato da selezione massale; l’importanza di una annata come la 2016 in Chianti, che non ce n’è per nessuno; la capacità di mischiare brillantemente due sensazioni in apparenza dicotomiche: la flessuosità, il candore, l’armonia di un fraseggio sottile da un lato, la robustezza, il tono muscolare e la fisicità dall’altro.
E’ matrimonio d’amore. E uno dei migliori Sangioveto (grosso) dei ricordi miei.
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Fara Bartòn 2015 – Gilberto Boniperti
Oggi peraltro in versione “antidoto contro la calura”.
Dissetante, ecco, dissetante. Un alito continuo di freschezza. Come brezza.
Tutto digrada sfumando, nessuna asserzione, solo slancio. E profondità sottese. Ed eleganza pura. E sfida perenne alle leggi gravitazionali. Il nebbiolo (con la vespolina) che ha imparato a volare.
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Colli di Luni Rosso Riserva Terrizzo 1997 – La Colombiera
Ora, identificare il territorio dei Colli di Luni con un vino rosso parrebbe uno sgarbo, da che non usa, non sta. Perché è la patria del vermentino quella, ed è il vermentino che resta e resterà a fondamento di una identità e di una storia condivisa. Pur tuttavia il piccolo grande Terrizzo rappresenta una storia a sé, che ha accompagnato la vitivinicoltura della zona nel corso del traghettamento dagli anni della ingenuità a quelli della consapevolezza. Lo ha fatto disegnando eloquenti, a volte straordinarie, traiettorie espressive.
Ed oggi infatti è ancora qui, saldo sulle proprie gambe, fremente di vita, a sorprenderci. Carnoso, sensuale, intenso, volenteroso. Ha da dire, e te lo dice.
La conoscenza di questo vino la debbo a mio padre, che lo ha amato fin dagli esordi. Correvano gli Ottanta. Per questa ragione, fra i vini di Luni e dintorni, è quello a cui sentimentalmente sono più legato. Non saprei dirvi se sia in assoluto il miglior rosso di Luni, o se quantomeno lo sia stato, ma so per certo che in etichetta riporta da sempre una statua-stele di origine preistorica, messaggio al futuro di coloro che della Lunigiana furono considerati i padri. E’ solo un segno, e tanto basta.
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Scasso dei Cesari 1994 – Tenuta di Valgiano
Un’etichetta che oggi non c’è più ma che allora segnò uno scarto in avanti nelle possibilità e nelle consapevolezze della vitivinicoltura lucchese. La vigna da cui tutto è partito. E poi il sangiovese dei vecchi ceppi, retaggio e testimonianza di una antica cultura contadina che già aveva preso dimora a Valgiano.
L’annata derelitta (1994) stasera è in subordine: questo vino mi emoziona, ha sentimento, forza espressiva, profondità. Evoca e sorprende. E fa miracoli.
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Chianti Classico Riserva 1988 – San Giusto a Rentennano
Nei vini identitari si nasconde la strada, e qui la strada era stata bell’e che tracciata.
Indimenticabile.
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Chianti Classico Riserva 1970 – Badia a Coltibuono
Perché ancora oggi in lui vi rintracci una stupefacente anima chiantigiana, fatta di colori tenui e luminosamente trasparenti, di uve bianche a corredo, di acidità portanti (quelle acidità che oggi io mi guardo in giro e non le trovo più), di vendemmie fuori orario, di struggente naturalezza. Anche di ingenuità.
Eppure lo slancio, l’ariosità, la scioltezza e il nitore (nessuna lordure aromatica dovuta a legni incerti, nessuna rugosità di trama) appaiono doti incrollabili di fronte alle quali il tempo nulla ha potuto.
L’ossidazione ricopre i profumi di un velo, la vita che pulsa quel velo lo straccia.
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Immagine di copertina: ” Postumi di sbornia” ( Henry de Toulouse-Lautrec, 1887)