Chissà, forse sarà stato questo suo andare “in direzione ostinata e contraria”, questa sua austera presenza con l’orgoglio di un passato mai rinnegato che mi ha fatto apparire più bella la sensazione di trovarmi di fronte a qualcosa di speciale. Poi, una volta ancora, mi sono fermato un attimo a pensare e ne ho realizzato che non c’é “contro-corrente” che tenga: l’incontro ravvicinato con il Marsala secondo Florio ha partorito bellezza di per sé, senza che ti vengano in soccorso ipotetiche certezze, partiti presi od ingenui romanticismi. Ne ho realizzato cioé che a brillare fosse la forza interiore di quel vino, non altri; un vino che non ha che da mostrare orgogliosamente se stesso e le sue peculiarità, senza timori riverenziali nel mettersi a nudo. Perché quella sua silhouette “chiaroscurale”, “arsa”, altera e rigorosa, a ben vedere fa esplodere in un visibilio di cose buone e cangianti le contraddizioni solo apparenti di un lungo affinamento “ossidativo”, avvenuto in botti mantenute invariabilmente scolme, dove per incanto la vituperata ossidazione, in altri ambiti feroce testimone del tempo che passa e sentenzia, trova qui le ragioni e la forza per regalarci il privilegio di un vino individuo: sì, un Marsala, o meglio un grande Marsala, non hai timore di “perderlo” nel tempo. Perché un Marsala, o meglio un grande Marsala, realizza l’illusione bella di annullarlo quel tempo. E il tempo, in ossequioso rispetto, di lui pare non curarsi, al punto da farci gioire del regalo più caro: una innata fragranza e una sorprendente freschezza dentro bottiglie che hanno sulle spalle 60 o 70 anni! E la consapevolezza di come sia proprio il tempo ad amplificarne, anziché attutirne, gli umori e la complessità aromatica, e insieme decretarne il portamento del vino sognatore, con il tratto felpato e setoso che sta alla piena maturità.
Fra le varie tipologie, ecco che il Marsala Vergine prevede soltanto l’aggiunta di acquavite di vino o alcole di origine vinica per rafforzarne il grado alcolico, e in questa sua veste rappresenta ancor oggi il Marsala delle origini, quello cioé che l’estroso mercante inglese John Woodhouse scoprì per caso – correva l’anno 1773 o giù di lì – da quando ebbe l’idea di adottare questa soluzione per consentire un trasporto più sicuro al vino ed avere una maggiore certezza che questi sarebbe arrivato integro alla meta, lungo le rotte che dalla Sicilia portavano i bastimenti in Inghilterra. Quindi per i Marsala Vergine niente mosto cotto (colui che veicola certi colori più ambrati o certe note empireumatiche e tostate), niente mosto concentrato o mistella. I Vergine si differenziano in etichetta a seconda del periodo minimo di invecchiamento in legno: la dizione Vergine o Soleras sottintende periodi di almeno 5 anni; la dizione Vergine Stravecchio o Riserva ci racconta di affinamenti di almeno 10 anni.
Fra i Marsala cosiddetti “conciati”, di gran lunga oggi i più frequenti, a seconda della speciale miscela aggiunta si arriva a tre classificazioni fondamentali, che decretano poi le varie dizioni presenti in etichetta: in base agli zuccheri residui, in base al colore, in base all’invecchiamento. Le molteplici combinazioni percorribili fanno sì che si possano incontrare 27 tipi di Marsala differenti in commercio! Tanto per stringere, sulla base del residuo zuccherino si distinguono Marsala Secchi, Semisecchi o Dolci; sulla base del colore si parla di Oro (senza aggiunta di mosto cotto), Ambra (almeno 1% di mosto cotto aggiunto) e Rubino (senza aggiunta di mosto cotto; in quest’ultimo caso chiaro l’impiego prevalente di vini rossi); sulla base dell’invecchiamento si parla di Fine (invecchiati almeno 1 anno dalla concia, di cui almeno 8 mesi in legno), Superiore (invecchiati almeno 2 anni in legno), Superiore Riserva (invecchiati almeno 4 anni in legno).
Infine, assai più intimo, il piccolo resoconto che troverete qui sotto vuole racchiudere – forse illudendosi – le sensazioni suscitate da 7 Marsala di casa Florio assaggiati nel corso di una affascinante, caleidoscopica escalation temporale avvenuta a Massa nel mese di dicembre 2007, in compagnia dell’enologo e direttore tecnico Carlo Casavecchia. Fra le cose che ho imparato c’è la natura “slow” di questo vino, che fa sì che l’arte del “centellinare” non solo ritardi – benevolmente- il distacco da una cosa buona, non solo ci avvicini ad un vino “impegnativo” come il Marsala in modo corretto, ma ci renda altresì consapevoli di quanto quella cosa buona sia in grado di evolvere all’aria senza nulla perdere in compiutezza, armonia e stimolo sensoriale. Di questo, e di altro ancora, è doveroso non dimenticarsi.
Terre Arse 1998 (Marsala Vergine)
Baglio Florio 1993 (Marsala Vergine Riserva)
Targa Riserva 1840 1998 (Marsala Superiore Riserva Semisecco)
Questo è il primo esempio di Marsala “conciato” della serata. Anche qui base esclusiva di uve grillo raccolte a maturazione avanzata dalle vigne ad alberello della fascia costiera di Petrosino, da suoli silicei con presenza di “terre rosse”. La concia consiste nell’aggiunta di mosto cotto, distillato di vino e mistella (un composto di mosto e alcole vinico e/o distillato di vino che sostanzialmente ne rende più dolce il profilo) ed il risultato è un Marsala Semisecco (percentuale di zuccheri fra il 4% e il 10%) che si è fatto oltre 7 anni di botte grande. Il nome vuole sottolineare l’eredità di una riserva storica di famiglia, nata nella seconda metà dell’800, chiamata Riserva Inghilterra. Bel profilo aromatico, composto, delineato, dal sottile e gradevole sfondo caramellato, leggermente brulée; bella silhouette se lo bevi, dove la seduzione tattile ed il sapore armoniosamente amaricante disegnano i confini di un Marsala corposo ed intrigante, in cui la proverbiale introversione trova all’aria compimento e modulazione.
Donna Franca (Marsala Superiore Riserva Semisecco affinato oltre 15 anni in legno)
Targa Riserva 1840 1986 (Marsala Superiore Riserva Semisecco)
Praticamente lo stesso protocollo di produzione del Targa Riserva 1998, dove naturalmente cambia l’annata e dove soprattutto riusciamo a farci una idea di cosa conceda il tempo a questi vini: il colore è ambrato di una certa consistenza, al naso ci trovi datteri, uva passa e prugna caramellata; è un naso forte questo qua, sostenuto, forse non caleidoscopico ma certamente efficace. La bocca gioca di equilibrio e prestanza, non una ruga apportata dal tempo. Il finale, caldo e lungo, sa di liquirizia e salmastro.
Riserva Storica 1948 (Marsala Superiore Riserva Semisecco spillato da botte)
Pezzo raro in cui, come da tradizione, l’anno riportato in etichetta, contrariamente ai Marsala di casa Florio post 1987, non rappresenta quello della vendemmia (che è sicuramente antecedente) ma corrisponde all’anno della concia, secondo quanto recita il verbale di lavorazione, datato appunto 5 settembre 1948. Le uve, immancabilmente grillo, provengono ancora dalla fascia costiera di Petrosino e la massa riposa da oltre 55 anni in botti di varie dimensioni (da 300 a 1800 litri). Il colore dominante è ambra scuro, ma questo bicchiere non rinuncia a qualche vibrazione smeraldina; i profumi di sprezzante audacia mineral-salmastrosa decretano classe pura e fissano il tempo. Meglio, non lo sentono. Ti lasciano però con la voglia di annusare ancora e ancora; la scia balsamico-officinale nel frattempo si fa seducente, il caramello dolce e integrato. Al palato conserva un tratto morbido e sensuale per uno sviluppo teso e profilato, integro e vitale, profondamente “pietroso”, da cui trapelano una eleganza sottile e una millimetrica precisione. Lungo lungo, ti rende impossibile la dimenticanza.
Riserva O.G.S. 1932 (Marsala Superiore Riserva Semisecco)
La degustazione è avvenuta nel mese di dicembre 2007, in compagnia dell’enologo di casa Florio Carlo Casavecchia.
Nelle foto, fra calici di Marsala colti sotto varie angolazioni, una foto ritrae l’ambiente, con il profilo del celebre Burton Anderson e quello, meno celebre ma più caro, del nostro Vincenzo Ramponi. Infine, in primo piano, Carlo Casavecchia.