Libero Rillo, Fontanavecchia e la Falanghina da invecchiamento

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di Fabio Cimmino

Devo fare una premessa: non mi piace degustare un vino dopo aver letto una brochure aziendale oppure ascoltato i proclami dell’addetto stampa di turno, tantomeno i commenti di chi già l’ha degustato. Ho sempre paura che in qualche modo possa essere condizionato. E se proprio mi devo confrontare con qualcuno, preferisco dialogare direttamente con il produttore, almeno sono sicuro che ricevendo informazioni di prima mano (e dando per scontata la massima serietà e sincerità da parte di quest’ultimo nel fornirle) potranno servire solo a chiarire eventuali dubbi e perplessità. Purtroppo in questo caso non ci sono riuscito perchè pur invitato dallo stesso alla presentazione del suo nuovo vino (la foto si riferisce alla serata in questione), non mi è stato, fisicamente, possibile intervenire. La bottiglia è, comunque, arrivata, per vie traverse, fino a me e tenendo fede al mio impegno a non leggere né chiedere nulla a nessuno riguardo al vino in questione mi sono bevuto questa Falanghina, semplicemente, condividendola insieme a due cari amici. Ebbene occorre, adesso, una seconda premessa.

Perchè la necessità di presentare un vino come “Falanghina da invecchiamento”?! Ho capito che si tratta di un 2001 e che non è da tutti (anche se ci sono altre aziende come I Pentri che fanno un discorso di questo tipo già da anni) immettere su di un mercato, soprattutto quello “dopato” della ristorazione, da sempre alla ricerca affannosa dell’annata, se possibile, ancora da venire. Si sarebbe potuto, però, benissimo chiamarla “riserva” in barba ai disciplinari oppure, aggirando l’ostacolo, usare in luogo della parola riserva, qualora non fosse stato legalmente possibile, un altro appellativo: edizione speciale, cuvee d’antan, … la fantasia sappiamo bene che in questi casi non ha limiti…

Conosco il produttore Libero Rillo quel tanto per permettermi di dirgli che lui la Falanghina da invecchiamento l’ha sempre fatta sia nella versione affinata in legno che nella base. Chiunque abbia avuto la fortuna e la possibilità di bere qualche sua vecchia bottiglia di falanghina sono certo che sarà rimasto sorpreso dalla capacità di resistere nel tempo pur senza essere progettata (che brutta parola) per la longevità. Ma entriamo nel bicchiere. Ripeto, scrivo quello che ho pensato senza avere riscontri di alcun tipo. Macerazione sulle bucce, lieviti indigeni, legno. Nell’ordine in cui li ho elencati. La macerazione sulle bucce oltre che dal colore mi è sembrata evidente al naso, ricco, concentrato, dolce, buccioso, appunto. I lieviti indigeni sono certo che anche se affiancati da quelli selezionati proprio a seguito della macerazione pellicolare abbiano voluto e siano riusciti, alla fine, ad imporsi. Il sentore selvatico, o meglio selvaggio, animale, ne è una sensibile riprova. Infine il legno, dolce, speziato, non eccessivo sia chiaro, ben integrato, almeno al naso, ma abbastanza percepibile.

Fin qui tutto bene, non voglio dire che ero entusiasta ma sicuramente ero rimasto interessato, affascinato da quel complesso, originale ed intenso profilo olfattivo. Poi la delusione: entra al palato voluminoso come mi aspettavo ma segnato da un finale di chiara matrice zuccherina. Di solito con i bianchi macerati sulle bucce accade spesso il contrario. Dopo aver sentito una naso dolce e zuccherino ci si ritrova di fronte ad una palato, secco, asciutto, talvolta astringente per il tannino estratto dalla buccia. In questo caso la corrispondenza naso bocca, però, gioca a sfavore della prova d’insieme. Il finale più che dolce è dolciastro, con lo zucchero che rimane slegato dalla sensazione verde, vegetale, acido-sapida, tipicamente varietale della falanghina. Abbinamenti gastronomici difficili da immaginare ma anche bianco da meditazione piuttosto pesante da digerire. Insomma per dirla in breve il bicchiere non vien voglia di svuotarlo ed un altro vino bianco stappato in contemporanea, un Fiano del 1994, si lascia decisamente preferire. Ho impiegato, per capirci e farvi capire, più o meno lo stesso tempo per bere un bicchiere di Falanghina per mandarne giù ben tre, forse addirittura quattro, di Fiano.

Sperimentare è importante. In questo senso è sicuramente apprezzabile lo sforzo di Libero ma bisogna anhe capire dove si vuole andare, cosa si vuole ottenere o dimostrare. Falanghina da invecchiamento sì, ma senza perdere di vista la bevibilità, la freschezza e la piacevolezza, caratteristiche imprescindibili di questo fantastico vitigno.

Fabio Cimmino

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