Fatta eccezione infatti per le poche cantine operanti sul territorio da lungo tempo, nella maggior parte dei casi trattasi di realtà recenti, di giovane costituzione, da non più di due o tre vendemmie alle spalle (parlo almeno di quelle imbottigliate in proprio nel caso di ex conferitori di uve). Un panorama variegato reso talvolta particolarmente difficile da interpretare a causa della estrema variabilità di microclimi, esposizioni, altitudini, sistemi di allevamento (non tutti possono vantare il classico alberello), età degli impianti e, non ultimo, degli stili adottati dai singoli produttori. Insomma, un territorio ancora work in progress, tutto da scoprire, che suggerisce di mantenere la giusta prudenza nelle valutazioni evitando giudizi affrettati, stante il rischio di giungere ad errate e devianti conclusioni.
L’azienda del barone Nicolosi possiede 16 ettari di vigna, per la maggior parte dedicati all’uva Carricante, e dunque di chiara impostazione (ed ispirazione) bianchista. Siamo immersi nei boschi della campagna di Milo, a 700 metri sul livello del mare. In cantina Marco, figlio di Carlo, si avvale della consulenza di Luigi Moio. La cosa che mi colpisce dei bianchi che nascono sul vulcano è la loro estrema personalità anche nelle versioni più semplici ed essenziali. Una riconoscibilità invidiabile, non facile da riscontrare con molte altre uve, pur blasonate, della nostra penisola. Il frutto non è quasi mai dominante, prevaricante o invadente. Sono i fiori a prevalere, su un impianto aromatico segnato costantemente da una mineralità dal timbro dichiaratamente (e come potrebbe essere altrimenti?) “vulcanico”, di ceneri, fumi e polvere da sparo. Questo bianco è esemplificativo in tal senso. Non che, dal punto di vista olfattivo, possa vantare picchi di complessità né tantomeno ambisca a raggungere chissà quali abissi di profondità, ma nella sua scarna essenzialità si rivela una riuscita combinazione espressiva di varietale e territorio. Al palato poi trova apprezzabile coerenza in un finale sapido e saporito.
In contrada Allegracore, Chiara Vigo conduce 13 ettari di vigna dove dimorano un numero importante di vecchissimi alberelli. L’annata d’esordio, la 2007, ci aveva quasi entusiasmato e le aspettative per la 2008 erano decisamente più che positive, ma purtroppo qualche limite già annotato nell’annata precedente è sembrato, piuttosto che scomparire, addirittura amplificarsi. Mi riferisco, nello specifico, all’ intelaiatura del vino, apparsa un po’ fredda e “incordata”. Una rigidità confermata da un finale asciugante più del previsto. Sia ben chiaro: stiamo comunque parlando di un ottimo rosso, dal profilo serio e rigoroso, austero e riservato nei profumi, solido e severo nella struttura. Continueremo a seguirlo con immutata fiducia e coi migliori auspici: sono certo che non ci deluderà.
Antonio Vivera e sua figlia Loredana conducono la tenuta Linguaglossa acquistata nel 2002 tra Piano Arrigo e Martinella. Dodici ettari di vigna appena rinnovati ed affiancati da una cantina di nuova costruzione. Il bianco Salisire ha offerto una prova davvero confortante. Il naso è caratterizzato da un’intensa aromaticità agrumata, resa più complessa e “voluminosa” dal percepibile affinamento sur lie. Corpo e struttura che ritroviamo al palato, senza nulla togliere in termini di piacevolezza e scorrevolezza della beva. Il finale è supportato dalla giusta freschezza, chiudendo in un allungo equilibrato d’impronta salina. Coinvolgente.
Andrea Franchetti, come molti ma forse non tutti sanno, è il deus ex machina della toscana Tenuta di Trinoro e ormai, da diversi anni, anche di questa bella realtà del quadrante nord del vulcano. Oggi sono quattro le diverse declinazioni di nerello proposte, che prendono nome dai quattro migliori cru identificati all’interno del suo stesso vigneto. Il Porcaria è probabilmente il più importante in termini di concentrazione ma anche interessante, soprattutto, in rapporto all’altitudine e alla particolare composizione dei terreni. Il naso è un amalgama di sensazioni contrastanti: da un lato l’immediatezza di un frutto nitido e carnoso, dall’altro l’intransigente fermezza “prospettica” dei risvolti minerali: una chiara luminosità, sotto la quale brucia l’anima del vulcano. Al palato conferma la sua armatura integra e decisa, impreziosita da tannini vellutati e dalla necessaria tensione gustativa. Sono molto curioso di seguire l’evolversi che avrà questa bottiglia negli anni a venire.
Etna Rosato Doc Amore e Psiche 2009 – Terre dell’Etna
L’unica vera delusione del parterre che, a dire il vero, navigando su internet ho notato non essere stata solo mia. Per alcuni il disappunto è dipeso dal fatto che il vino sia stato premiato da una nota guida con il massimo riconoscimento, mentre nel caso mio (che non sapevo del premio e che dei premi, chi mi conosce lo sa, non mi interessa molto) l’insoddisfazione è nata, semplicemente, dalla scarsa performance del vino nel bicchiere. Un rosso ben confezionato, corretto, ben eseguito ma assolutamente privo di quella espressività riconducibile al varietale e al territorio. Il naso offre un profilo dal frutto un po’ vago e sfocato, così come al palato, che pur non mancando di tensione procede linearmente senza regalare sussulti o vibrazioni degni di particolare attenzione. Un rosso in crisi d’identità. Quando invece da un vino etneo ci si aspetta sicuramente un carattere più forte e determinato.
Prima di congedarmi concedetemi qualche considerazione a margine. Ritengo che questo bellissimo territorio continuerà a regalarci, sicuramente, nei prossimi anni, tante belle sorprese e tanti bei vini. Forse sarebbe solo il caso di rivedere le aspettative (ed i prezzi) un attimino al ribasso, nel senso di non esagerare e di non esasperare. L’Etna non è la Borgogna d’Italia (nonostante sia innegabile il riscontro di numerose similitudini) e ho dei dubbi che possa mai diventarlo. E’ una splendida zona cha va valorizzata per la sua diversità e specificità, evitando paragoni fuorvianti che alla lunga potrebbero rivelarsi persino un pericoloso e clamoroso autogol. Infine un piccolo suggerimento: ultimamente ho notato concentrarsi sempre più l’attenzione, in particolare da parte della critica, sui rossi, distogliendo interesse dalla produzione bianchista. Ciò che io, invece, trovo veramente notevole per temperamento e personalità. Cerchiamo magari di non dimenticarcene.
Sicilia felix a tutti!
La prima immagine è tratta dal sito agronotizie.imagelinenetwork.com
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