Voglio, altresì, dedicare questo scritto ad un carissimo amico cui voglio molto bene, e senza del quale probabilmente avrei già mollato da tempo, smettendo di interessarmi pubblicamente di vino per relegarlo alla sola sfera della mia intimità. Sto parlando del mio “compaesano” Mauro Erro, illuminato enotecaro, animatore del blog Il Viandante Bevitore nonchè collaboratore Slow Wine. Sono ormai anni che calpesta le vigne della Campania Felix alla scoperta di giovani, e meno giovani, talentuosi vignaioli, che siano non solo validi interpreti ma soprattutto possano assurgere al difficile quanto indispensabile ruolo di sentinelle del territorio. Il suo lavoro, come quello di molti altri bravi degustatori della nuova generazione, rimane troppo spesso nell’ombra, offuscato, talvolta oscurato, da sterili e pretestuose polemiche di bottega. Senza di loro questo nostro amato-odiato mondo del vino, credetemi, non sarebbe lo stesso.
Un grazie lo devo anche alla mia amica Robbin Gheesling. Il mio giro fra i vini irpini che seguonoè stato realizzato, infatti, in una simpatica improvvisata collaborazione con la sua neonata Vineyard Adventures. Robbin si è trasferita, da qualche tempo, dagli Stati Uniti in Campania dove organizza e guida dei tour enogastronomici riservati al pubblico di lingua inglese. La nostra prima tappa è stata, per me, un vero e proprio tuffo al cuore, catapultandomi indietro nel tempo quando ero agli inizi del mio girovagare tra filari e cantine della mia regione. Di alcuni di quei primi incontri il ricordo si è fissato indelebile nella mia mente. Ero all’inizio e mi sentivo una spugna desiderosa di assorbire nozioni e segreti, di imparare tutto e subito, ma soprattutto di capire quanto più mi era possibile. Alla fine, però, di quelle primissime scorribande enoiche ciò che mi colpiva più di ogni altra cosa erano i personaggi che incontravo.
Negli anni a seguire ho avuto modo di riassaggiare i vini di questa cantina provando sempre le stesse sensazioni positive senza mai, però, poter far finta di non notare quegli “errori di distrazione”, come a me piace chiamarli. Fino a quando non c’è stata l’inattesa svolta verso l’eccellenza ad opera di un giovanissimo e promettente enologo. Luigi Sarno, classe 1983, ha preso in mano le redini dell’azienda paterna e con grande intelligenza ha deciso di interpretare al massimo il potenziale delle sue uve senza mai rinunciare al piglio naturale, spontaneo, di quei vini che l’avevano preceduto ma semplicemente apportando quell’attenzione e quella accuratezza che fino a quel momento gli facevano difetto. I risultati non sono tardati a venire. Nel frattempo l’Aglianico ed il Fiano di Avellino base sono stati affiancati da un Taurasi e da una selezione di Fiano. Ed è quest’ultima che vi invito a cercare ed assaggiare. La “Particella 928” (reimpiantata con un diverso sesto d’impianto e una migliore esposizione nel 2001), del millesimo 2010, si presenta in tutta la sua istintiva complicità aromatica di pesca gialla, albicocca e nocciola. Impreziosita da delicate note floreali, erbe aromatiche, sensazioni iodate e leggera speziatura. Al palato mostra maggior volume di quanto il naso faccia pensare, pur conservando la giusta necessaria tensione gustativa. Sale e freschezza accompagnano il finale. Una combinazione di forti elementi identitari, riuscita espressione di varietale e terroir tradotti in un bianco dalla beva disinvolta, genuina ed accattivante. Complimenti a Luigi, il nuovo volto (che ci piace) del Fiano.
Le percezioni sulfuree sono oggi il timbro distintivo dei migliori Greco prodotti nella zona. Subito dopo l’imbottigliamento l’effluvio di zolfo dal bicchiere è talmente forte ed insistente da poter risultare quasi fastidioso ai degustatori più intransigenti. Col tempo lascia sempre più spazio ad una maggiore complessità di sensazioni, senza mai perdere la mineralità distintiva impressa nel dna del vitigno e del suo terroir. Le annate 2009 e 2010 di Cantina dell’Angelo (Angelo Muto appunto) sono allo stesso tempo estremamente didattiche e rappresentative. Fiori, frutta gialla, spezie a fare da contorno. Al palato alcol, sale e freschezza si rincorrono in un precario equilibrio spostato, almeno in gioventù, sull’ultima voce. L’acidità servirà nel corso del tempo a preservare il vino ed assicurarne la longevità. Greco riparte da qui, da Tufo, per riscoprire e riappropriarsi delle sue origini, del significato stesso della sua ragion d’essere ed esistere. Finchè ci saranno persone come Angelo, in grado di preservarne l’anima più autentica, il Greco di Tufo, a Tufo, non correrà pericoli.
Può capitare così che il Taurasi 2007 sia ancora in botte a maturare alla ricerca dei giusti equilibri mentre il 2008 è già pronto per il successivo affinamento in bottiglia. Due le etichette da tenere a mente: un aglianico, il Gioviano, commercializzato dopo circa un anno e mezzo di invecchiamento tra barrique e grandi botti di castagno e rovere, e il Taurasi Nero Né -in versione anche riserva- nelle annate che lo suggeriscono. Il Gioviano 2007 è il vino da cercare in questo momento, probabilmente il migliore finora uscito dalle cantine di Montemarano e che, considerato il prezzo, rappresenta, davvero un buon affare. Frutto, succo, spezie e mineralità, alcol robusto, corpo e sostanza, tannini risolti, freschezza acida, finale saporito e lungo. Nel tardo Medio Evo il Cancelliere era colui al quale veniva affidato il compito di custodire il sigillo ufficiale di un comune. A Romano è toccato quello di Taurasi.