di Leonardo Mazzanti
D’altronde Vini di Vignaioli lo fanno lì e, a chi come me sta nella costa toscana, tutto sommato va più che bene, sempre meglio di Verona, Milano, Torino o Merano che sono le altre città ospitanti manifestazioni di questo genere: vini biologici o biodinamici ma fondamentalmente “sani” per l’uomo. Il fatto che la scelta della location sia ricaduta in un paesino alle pendici dell’Appennino tosco-emiliano, lontano dai riflettori di altri famosi eventi o dal richiamo delle grandi città, mi ha sempre incuriosito. Il motivo, oltre il forte legame alla zona degli organizzatori, trova ragione anche nel numero inizialmente esiguo di produttori che, per un semplice momento di ritrovo e confronto costruttivo tra vignaioli sulla stessa linea di pensiero come nella filosofia della manifestazione, non richiedeva aree particolarmente vaste e attrezzate.
Vini di vignaioli nasce nel 2002 sul modello di manifestazioni francesi già da tempo consolidate, divenendo così capostipite del genere in Italia. All’origine erano 10 produttori francesi e 10 italiani per poi arrivare all’attuale tetto di circa 65 con predominanza italiana; ogni anno le richieste di partecipazione sono ben maggiori ma, volendo mantenere orgogliosamente lo spirito “rurale” dell’evento, i produttori vengono selezionati attentamente. Questo per garantire al pubblico la qualità ed un rapporto umano con dei vignaioli che si identificano con i loro vini, che li curano con le proprie mani in tutte le loro fasi, dalla vigna alla vendita finale, ed ai quali si illuminano gli occhi quando fanno assaggiare il frutto del proprio lavoro.
Questa aria di festa solidale, respirabile anche dal pubblico intervenuto e cresciuto esponenzialmente nel corso degli anni, risulta essere il valore aggiunto di questa manifestazione. La stessa Christine Cogez-Marzani, in sintonia con il resto dello staff ed avvalorata da alcuni produttori amici in seguito interpellati in proposito, ha voluto sottolineare l’importanza di tale aspetto, la forza e l’energia di questa ragion d’essere. Riguardo al futuro ha escluso tassativamente un allargamento del numero dei produttori (semmai una rotazione degli stessi per promuoverne di nuovi) ed ha ribadito il mantenimento della struttura così piacevolmente näif.
Entrando nel vivo degli assaggi ho trovato una qualità media dei vini piuttosto elevata, probabilmente dovuta alla selezione effettuata per poter accedere alla manifestazione, ed alcuni prodotti che, per qualità o particolarità di cui desidero raccontare, hanno destato la mia attenzione, contando nella benevolenza dei tanti produttori trascurati perché già noti o per raggiunti limiti fisici di degustazione.
Domaine de Gressac, La Rousse 2006 (roussane 80%, grenache blanc 20%): un bianco che si fa ben valere in mezzo ai rossi certamente più famosi nella zona della Languedoc/Roussillon, vino asciutto, dai sentori delicati ed eleganti ma con una struttura, sapidità e mineralità che ne determinano una profondità notevole.
Podere Pradarolo, Vej 2005 (malvasia di candia): 90 giorni di fermentazione sulle bucce! Colore ambrato scuro ma vivido e trasparente, al naso e in bocca si rivela una vera bomba aromatica con sentori di rosa canina ben distinguibile. Vino molto intrigante e dal non facile abbinamento, l’ideale per palati smaliziati. Velius 2005 (barbera 90%, bonarda 10%): a differenza dei vitigni solitamente usati per vini giovani e talvolta mossi, si presenta fruttato e vinoso senza tralasciare delicati sentori terziari; un vino di corpo e rotondo grazie a tannini fini.
Le Petite Domaine de Gimios, Rouge Fruit 2006 (16 vitigni autoctoni): ancora un vino della Languedoc/Roussillon, come Arlecchino (per il numero di vitigni impiegati) si muove delicato tra il naso ed il palato solleticando con note fruttate e floreali molto eleganti; in bocca richiede attenzione per non perdere un evolversi di sensazioni dovute all’apporto dei singoli vitigni e all’età delle vigne che raggiungono anche i 100 anni. Buon finale leggermente astringente.
Champagne Raymond Boulard, Les Rachais (chardonnay): pur non amando i blanc de blancs questo vino mi ha colpito per i sentori di fiori bianchi, di frutta fresca di mela cotogna ed albicocca oltre ai sentori tipici di frutta secca; uno champagne versatile. Cuvée Petraea (60% pinot noir, 20% pinot meunier, 20% chardonnay): champagne vinoso, un mélange di sentori e sensazioni al naso come in bocca che dimostrano un equilibrio notevole, lo stesso avvertito tra morbidezza e acidità. Un vino elegante e persistente godibile a tutto pasto.
In conclusione invocherei uno standing ovation per due produttori che più di ogni altro mi hanno emozionato.
Infine Domaine Binner, azienda alsaziana di Ammerschwihr tra il Reno e la catena dei Vosgi, prima ti stordisce con un ventaglio di prodotti (14 su una produzione di circa il doppio) ben rappresentativi del territorio – riesling, auxerrois, muscat, pinot gris e gewurztraminer nelle varie tipologie – poi ti stende definitivamente con un uno-due fatto da Riesling Kaefferkopf 1997 (un monumento al riesling, una goduria per aromaticità, struttura, equilibrio e persistenza) e Muscat Kaefferkopf Selection de Grain Noble (un passito che già nel nome è tutto un programma, molto dolce ma sempre ben equilibrato).
Nonostante tutto sono riuscito a tornare a casa in condizioni accettabili…