Girona, cittadina spagnola e catalana scalo di una notissima compagnia aerea low cost, sta vivendo una nuova giovinezza turistica grazie a chi non vede l’ora di calpestare le vicine ramblas di Barcellona ma decide lo stesso di passarvi una mezza giornata per dare un’occhiata al piacevole centro storico, alle graziose le case colorate che si affacciano sul rio Oñar e magari per salire a visitare l’imponente duomo che le sovrasta, alto voluminoso e squadrato.
Per il viaggiatore goloso Girona ha un fascino in più, ed è la galassia visibile ad occhio nudo dell’alta cucina catalana: qui ci sono i recenti tristellati di Spagna, gli amatissimi fratelli Roca del Celler de Can Roca; ad un’ora in direzione nord c’è Roses e la Cala Montjoj di El Bulli di Ferran Adrià (ormai ci si va anche solo per guardarlo da fuori); con lo stesso tempo, verso sud, si arriva a Sant Celoni dove si può far visita a quello che da amico è diventato l’anti-Adrià, il paladino della cucina della tradizione, descritta in salsa filosofica ne “La cocina al desnudo” (urgerebbe traduzione in italiano), ossia Santi Santamaria ed il suo Can Fabes.
Se poi ci si sa accontentare, oltre ai cocineros estrella con una ventina di chilometri si può arrivare a Banyoles ed incontrare un signore tranquillo, ma che racchiude tanta cultura gastronomica condensando con la sua formazione le due cucine più outstanding di Spagna e sapendone citarne adeguatamente altre. Si chiama Pere Arpa, ed è originario proprio di questo borgo che si segnala per una Plaza Mayor dai bassi porticati e, a leggere i cartelli stradali, addirittura per un parco neolitico.
Proveniente da una famiglia di ristoratori, catalano dunque non solo di nascita ma anche di formazione, gli si innesta una solida vena basca grazie all’anno trascorso nel Bodegón Alejandro, il ristorante di famiglia nel centro di San Sebastian di Martin Berasategui, altro tristellato e divulgatore molto televisivo. Il tempo di tornare a Banyoles, e apre con il fondamentale aiuto della moglie il Repost d’un Pere, piccolo locale fra l’altro apprezzato da Sergi Arola, ennesimo catalano di scuola “adriána” trapiantato a Madrid che infatti lo segnala come posto del cuore ne “La Guia Secreta, donde comen los cocineros”. Nel giro di qualche anno il Repost con i suoi 15 coperti diventa stretto, ed arriva il salto con questo ristorante-hotel (nove camere), il Ca L’arpa. Colore predominante il bianco accostato al legno chiaro, enoteca a vetri, ed ambiente a formare una L con il lato lungo che costeggia la cucina a vista dove si osserva la tranquilla e rilassante precisione dei gesti che compongono piatti spesso personalmente portati al tavolo.
Il menu degustazione costa 60 euro (quello di stagione 43) e si può aprire con una entrada dove spiccano buonissime butifarra blanca y negra (con il sangue), e con pistacchi ed uvetta, accompagnate da un morbido e saporito pan de agua. Poi arriva un omaggio-trasfigurazione della cucina dei crostacei di un’altra regione del nord, la Galicia, un piatto con una base composta dalla polpa del buey de mar, alla quale si è sovrappongono una crema di bogavante con avocado; il tutto accompagnato da un crostino con burro aromatizzato al coral, la ghiotta sostanza che si trova all’interno della testa di alcuni crostacei. Al palato si avvertono diverse gradazioni di cremosità fino ad una “rottura” della consistenza dovuta alle uova di trota. Ad accompagnare, il penetrante ma equilibrato Mas Aurò, locale olio extravergine d’oliva da varietà Arlequina, autoctona di Catalogna.
La sequenza assai felice di piatti è turbata solo da troppo sapide sardine marinate che la purea di ceci e la confettura di pomodoro non riescono a riequilibrare; straordinaria invece la ventresca di tonno cotta con le acciughe, di impareggiabile morbidezza. La cucina di carne supera brillantemente la prova con un favoloso burroso cocinillo agli agrumi.
Se non si vuole attingere dalla corposa carta dei vini, il tutto può essere accompagnato da ben consigliati assaggi di vini locali, delle denominazioni Peñedes, Costers del Segre (dove si utilizzano le varietà del Cava) o della vicina Empordà-Costa Brava, e in particolare da uno Chardonnay 2006 di Castillo Monjardin dalle spiccate sensazioni di cedro candito.
Accompagnati da quella indecifrabile sovrapposizione di cortesia, formalismo e improvvisi toni familiari, così spagnola e diversa dalla più spontanea ed ammiccante simpatia italiana (quando c’è…), si esce contenti e d’accordo con gli ispettori Michelin che da anni assegnano a questo locale la loro stellina.
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