TRENTO – I problemi iniziano già con il nome: “io non ne posso più di questo ‘bollicine‘” sbotta Enzo Vizzari (L’espresso): “se penso alle bollicine mi viene in mente l’acqua minerale gassata, poi altre bibite colorate….”. Spumante fa pensare all’Asti, l’operazione Talento è miseramente naufragata, Champenois non si può usare, Metodo Classico è troppo accademico e non sa comunicare. Proviamo con “bollicine d’autore”, propone Licia Granello (La Repubblica) che però oltre a suonare alquanto radical-chic ha l’impiccio diplomatico di dover chiarire se comprende o no i prodotti fatti rifermentare in autoclave (leggi Prosecco) che hanno un successo e punte qualitative di tutto riguardo. Comunque, per semplificare, limitiamoci al panorama disegnato da chi fa rifermentare in bottiglia, e ai suoi principali territori, in ordine alfabetico Franciacorta, Oltrepo Pavese, Trentino. Questo il punto di partenza del convegno “Dialoghi sulle bollicine, evoluzioni e tendenze di mercato” svoltosi nella Camera di Commercio di Trento in occasione della manifestazione Bollicine su Trento, una lunga serie di incontri, laboratori, degustazioni anche itineranti per i locali della città dolomitica con punto di ritrovo il bel Palazzo Roccabruna, sede dell’Enoteca Regionale.
Innanzitutto uno sguardo a quello che accade fuori ce lo fornisce Giles Fallowfield, grande esperto di Champagne ed osservatore del mercato, in particolare di quello inglese, che evoca subito il fenomeno Prosecco, in crescita sugli scaffali britannici del 3% in volume e dell’8% in valore a fronte di un generale calo del consumo di vino dell’1% in volume e del 3% in valore, dove riesce a piazzare anche bottiglie da 13 sterline superando la fatidica soglia delle 10. Scaffali dove la fa da padrone naturalmente lo Champagne che si è trovato comunque coinvolto nei cambiamenti climatici con diminuzioni di acidità e anticipi di vendemmia di due settimane. Altri dati rilevanti, il boom della tipologia Rosé in crescita del 20% per sei anni consecutivi (dal 2000 al 2006), come pure un maggiore orientamento del gusto verso gli extra-brut e i “non dosati”.
Conviene ragionare a questo punto di fronte a qualche numero: Trento Doc, 8 milione di bottiglie prodotte, 70 milioni di euro di fatturato; Franciacorta Docg, 9,5 milioni di bottiglie, 140 milioni di fatturato, Champagne, 293 milioni di bottiglie (che erano arrivate a oltre 330 milioni prima della crisi, 6 milioni esportate in Italia), 3700 milioni di euro di fatturato. Insomma, sul campo non c’è solo una questione di brand (dallo Champagne faticosamente costruito a prezzo di sforzi ed investimenti) ma anche di effettiva capacità numerica dei territori e quindi di impatto sul mercato.
Champagne (o Cava) e bollicine d’autore italiane appaiono quindi due realtà notevolmente diverse, anche nei numeri, e di questo si deve tenere conto per una strategia commerciale. Allora che fare? Una possibilità è puntare sul mercato interno, battersi perché questi vini diventino quotidiani, lavorare per la “destagionalizzazione” (non solo il botto di capodanno!), convincere gli italiani a tenere il vino sempre in frigo e berlo a tutto pasto più che cercare di sfondare in mercati lontanissimi dove siamo peraltro già alquanto in ritardo. E magari, perché no, pensare ad un aumento della produzione ampliando i vigneti e quindi la forza del proprio impatto: le potenzialità ci sono, per il Trentino e per la Franciacorta, ma soprattutto per disegnare un grande vigneto preappenninico di pinot nero in Oltrepo.
A questa tesi, espressa con convinzione da Vizzari, si oppone un Marco Sabellico in partenza per la Russia (ed altri del Gambero Rosso andranno ad Hong Kong), per portare il messaggio del vino italiano verso le frontiere e i mercati più lontani e promettenti per il futuro. L’Italia ha dalla sua una forza evocativa che pochi altri nel mondo possono mettere in campo. È vero, I numeri sono piccoli, il Trentino può anche essere un luogo misterioso, ma se ci si inventa slogan efficaci come potrebbe essere “Trento Doc, il respiro delle Alpi”, volete che la forza della suggestione non possa colpire anche il lontano buyer orientale?
Le Dolomiti, le montagne, lo chardonnay d’altura effettivamente sono punti di forza dell’orgoglio trentino che si sente di non aver saputo ancora fare sistema anche perché i trentini nascono contadini e stanno faticosamente negli anni trovando la strada dell’imprenditoria, l’esatto contrario dei rivali franciacortini che immersi in un contesto imprenditoriale si sono fatti vignaioli. L’altra grande risorsa da usare assolutamente è una scuola come quella della scuole enologica di S. Michele all’Adige che forma valentissimi tecnici e che potrebbe essere un serbatoio di sapere, di modernità con la quale aggiornare la tradizione. I progressi si vedono e vanno aspettati con pazienza anche dai produttori stessi, sotto la guida dell’ammiraglia Ferrari dei fratelli Lunelli, che dovranno sempre impegnarsi al massimo piegandosi alle regole della “politica” e credere in un Consorzio che conta ora 34 produttori ed ha le potenzialità di arrivare a 50.
E la speranza è che, magari già l’anno prossimo, al tavolo di un dibattito come questo, si possa trovare anche un esponente della Franciacorta per iniziare il cammino per un unico distretto spumantistico italiano, o magari semplicemente per scambiarsi informazioni, disegnare strategie e crescere tutti insieme in mercati che cambiano con grande velocità.
Nelle foto: Licia Granello, Giles Fallowfield, Enzo Vizzari, Marco Sabellico, Mauro Lunelli con la figlia
[…] splendido spaccato della realtà odierna. Un evento che abbiamo seguito anche in passato nei suoi momenti di riflessione e dibattito, nelle degustazioni di vecchie annate, come in quelle in uscita. La storia invece ci riporta alle […]
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