Sottozona/cru: Canosa di Puglia – Alta Murgia (Barletta – Andria – Trani)
Uvaggio: moscato bianco
Data assaggio: dicembre 2010
Il commento:
La bocca è tutta silhouette, slancio e dinamismo. Morigeratamente alcolica (12,5% recita l’etichetta), sentitamente equilibrata, più sapida che fruttata, mantiene coerenza con l’orizzonte aromatico ma è notevole la sensazione salmastra, stimolante la sua mineralità. Sapete quei dettagli preziosi che portano dritti alla terra, e alle radici che la scavano?
Leggero, spigliato, naturalmente espressivo, a 9 euro o giù di lì Jalal è uno stimolo continuo alla beva e al ripensamento. Sì, al ripensamento, a proposito della presunta pesantezza dei vini pugliesi.
La chiosa:
Jalal si muove leggero fra le pieghe del piacere, sorseggiarlo è una delizia, la beva si fa ipnotica e coinvolgente, proprio come le danze vorticose dei dervisci, la confraternita sufi fondata dal grande poeta mistico persiano Jalal al-Din Rumi nel 1300, poeta a cui Nicola e Fabrizio Rossi -ossia le anime di Cefalicchio– non fanno mistero di essersi ispirati nel dare un nome a questo vino.
Non so dirvi se lo stato meditativo generato dal mio bicchiere di oggi abbia pretese nirvaniche o meno. Anzi, sicuramente vola più basso. Ma ho sperimentato in un vino della Murgia l’innata capacità di non farti pensare troppo. E negli ultimi giorni di un anno che cambia non sapete quanto mi faccia bene ritrovare vuoti di pensiero, angoli poco affollati di memoria da poter finalmente riempire con cose realmente diverse e realmente inattese. Come una passione nuova. O un luogo comune che muore. O un vino che danza.