A pensarci bene, l’imponente Viale dei Cipressi che conduce a Bolgheri, mirabilmente cantato dal poeta, è quasi fuorviante, perché rimanda ai paesaggi di un’altra Toscana, quella apollinea delle colline modellate fin dal tempo degli etruschi e codificate in tanti sfondi pittorici. Invece qui è diverso. Superata Livorno, è la macchia mediterranea a riempire lo sguardo con il suo verde scuro e impenetrabile, mentre sono i pini marittimi a puntare verso il cielo. L’equivoco però dura effettivamente poco, perché poi voltando a destra poco prima di arrivare nel borgo si imbocca la via Bolgherese, ed è proprio questo il contesto che si ammira, accompagnato magari dal suono delle cicale e dalla luce del Tirreno che filtra. Le Macchiole sta qui, al confine con i vasti possedimenti degli Antinori di Guado al Tasso.
Però non ci sono né antiche famiglie di vinattieri né ricchi investitori. C’è una di quelle aziende che per prime hanno sfidato il “mistero di Bolgheri”, quello di un territorio inventato alla viticoltura pressoché da zero che si segnalava solo per un rosato e dove si era cominciato a piantare di tutto, barbera compresa, dopo che la Tenuta San Guido del Marchese Incisa aveva tracciato la strada. Poi erano venuti Ornellaia, San Martino, Michele Satta, e fu allora che Eugenio Campolmi volle ascoltare la voce della sua passione dando inizio alla storia di una azienda che prese il nome da uno spaccio di alimentari, poi diventato trattoria. Una storia che andò avanti, grazie anche al talento dell’enologo Luca D’Attoma, misurando bene ogni passo, reinvestendo utili. E rinunciando magari, come racconta CinziaCampolmi, anima attuale de Le Macchiole, al progetto di produrre un vermentino da affiancare al Paleo Bianco (sauvignon e chardonnay) perché in quel momento era più opportuno acquisire un nuovo vigneto che sistemi refrigeranti.
Dietro la cantina c’è il corpo dei vigneti, una ventina di ettari in tutto. La densità di impianto su aggira sui 7500 piante per ettaro (ma si va anche oltre) dalle quali si traggono 130mila bottiglie rispetto ad una potenzialità di 250mila. Le basse rese sono la cosa più difficile da ottenere in un luogo dove è fin troppo facile fare vino e dove le viti, sempre accarezzate da un vento leggero in forma di “minivortici” di bassa quota che le asciugano liberandole dalle muffe, tendono però all’iperproduttività e subiscono una sorta di invecchiamento precoce, con ceppi che hanno vent’anni ma ne dimostrano il doppio. Qui, e non sorprende da queste parti, il sangiovese è uscito di scena nel 2008, espiantato dopo la vendemmia.
Dal 2002 si è scelto di adottare i metodi dell’agricoltura biologica, e il discorso si intreccia con il privato e con quello che Bolgheri era una volta. Si, perché in un passato non lontano in questa zona non c’erano vigne ma tanti alberi da frutta, soprattutto peschi, ed era un inferno di pesticidi e diserbanti. A questo è stato detto basta, senza essere interessati a certificazioni, ma per rispetto di chi lavora la terra e in memoria di Eugenio, portato via improvvisamente da una malattia.
In cantina, dove naturalmente dominano le barrique, la direzione scelta è quella dell’uso del cemento per i vini più semplici, nonché quella di diminuire la quota di legno nuovo per gli altri. La storia delle etichette della casa vede la nascita di Paleo Rosso nel (lontano) 1989, dello Scrio (syrah) e del Messorio (merlot) nel 1994. Il Paleo, che ha trovato il suo equilibrio finale fra forza ed eleganza nell’uso esclusivo di cabernet franc, potrà rientrare nella Doc Bolgheri Rosso Superiore dopo l’ultima recente modifica del disciplinare, che ha riammesso la possibilità dei monovitigni.
Bolgheri Rosso 2009
Prodotto in 90mila bottiglie, ha un impatto deciso al naso e un analogo carattere “di peso” al palato, dove mostra una bella compattezza e una beva progressiva, dall’espressione importante di frutto maturo.
Paleo Rosso 2008
Conquista subito con un olfatto profondo ed elegante, per poi coniugare in bocca concentrazione e freschezza, tensione e linearità nell’andamento di beva.
Scrio 2008
Elegante e speziato al naso, è spesso e allo stesso tempo succoso al palato, equilibrato e siglato da un finale non lunghissimo ma impreziosito dalla grande finezza del tannino.
Messorio 2008
Bella potenza che si sviluppa anche in ampiezza, con larghe ondate saporite, e una grande fragranza a contrastare ancora una volta bene una notevole densità e ricchezza di materia.
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