VERONA – Terzo e ultimo giro di giostra pugliese, in compagnia di vignaioli e cantine di diversa fatta e provenienza, piccole e grandi, sconosciute e non, di vocazione accertata o di giovanile aspirazione alla crescita. A ben vedere, tutte orgogliose della loro identità e della loro terra: un qualcosina che non si regala e in cui val sempre la pena credere. Per le precedenti puntate leggi qui e qui
AGROFERTIL – NONNO VITTORIO
Per inciso l’attività vitivinicola (10 ettari di vigna a predominante nero di Troia nell’agro di Trinitapoli e San Ferdinando di Puglia, in provincia di Barletta-Andria-Trani) è recentissima. I fratelli Prattichizzo però dimostrano volontà, determinazione, e i primi risultati non tradiscono graziaddeo impulsi velleitari, fondando il loro stile su una immediata piacevolezza, propiziata da un calore alcolico sempre controllato, da una enologia senza sbavature, da un frutto dichiarato ma mai fuori misura.
Certo che avere a che fare con l’uva di Troia non è proprio un gioco, e lo sanno bene in famiglia, da che l’approccio al vitigno si traduce, nelle sue declinazioni in rosso, in blend ai quali concorrono di volta in volta merlot o cabernet franc. Un percorso in itinere dunque, dove l’approdo al monovarietale sarà l’obiettivo futuro e dove nel frattempo si vanno testando alcune versioni “di avvicinamento”, che poggiano da un lato sulla morbidezza e sulla dolcezza tannica (Macchione), dall’altro sulla freschezza speziata e la profilatura (Baronale). A sparigliare, un simpatico vino rosato, Radiosa, compassato e piacevole, “pietroso” e inappuntabile.
E così, da terreni argillosi di medio impasto con innesti calcarei costituiti dalle tipiche “croste” dell’alto Tavoliere di Puglia, disposti a 150-200 metri slm non lontano dal mar Adriatico, ci proviene Baronale ’09 ( nero di troia 70%; cabernet franc 30%), il vino probabilmente più riuscito in termini di focalizzazione, caratterizzazione e dinamica; da par suo, Macchione 2009 ( nero di Troia 70%; merlot 30%) appare fin troppo conciliante verso una fisionomia di rosso mediterraneo tutta virata su dolcezza di frutto e morbidezza, ponendo poco in risalto il contributo dell’acidità e lasciando in un angolino le evidenze peculiari del connubio terroir-vitigno, come gli umori di cenere, liquirizia e grafite.
LA VIGNA DEI BARONI MARTUCCI
Intanto, piena corrispondenza fra messaggio ( richiami alla tradizione, orgoglio di una antica storia familiare), forma (le etichette old fashioned) e sostanza (i vini), tutti convergenti verso un certo classicismo stilistico, ben inquadrabile nella selezione in rosso della casa, che non rinuncia ad una innata, alcolica opulenza (magari un po’ refrattaria alle ragioni della tensione gustativa) per tratteggiare vini di territorio mai banali o banalizzati.
Infine lui, Axa ’09 (Salice Salentico doc), il più spigliato ed espressivo del gruppo: focalizzato nella componente aromatica (amarena, spezie, brace di camino spento), equilibrato e grintoso nello sviluppo gustativo, apre ad un orizzonte nuovo, in cui le trame alcoliche e fruttate ritrovano il contrasto atteso e una più percettibile, intrigante “coloritura” austera.
CANTINA SAMPIETRANA
Le uve del Brindisi Riserva 2008 (negroamaro, montepulciano) provengono da tipici alberelli disposti su terreni argillo-calcarei, in zona ventosa. Se parli di vino invece, il coté affumicato è dichiarato, al punto da ovattare il resto. Giocato sul fascino della evoluzione, si snoda placido ed accomodante su note di sottobosco e ciliegia confit. Già risolto e dispiegato nelle trame, l’alcol ne arrotonda gli spigoli, il tempo ne va smussando la freschezza.
Più intrigante appare il Salice Salentino Riserva Vigna delle Monache 2006, dagli originali profumi di more di rovo, erbe aromatiche, selva e tapenade. E anche se al palato non realizza la corrispondenza attesa (contrazioni & asciugature), la fisionomia che traspare è quella di un vino schietto, verace e sincero.
Lo Squinzano Riserva 2007 (negroamaro, malvasia nera) è un rosso più rifinito, netto, preciso, ma non nel senso della chirurgia estetica: di impalcatura solida e austera, vagamente old fashioned ma senza sbracature, assume un passo serioso ed accenti speziati, mostrandosi sicuro nel portamento e riuscendo ad allacciare un dialogo più stretto con il carattere, argomento di buon auspicio per il futuro che viene.
CANTINA DIOMEDE
Il giovane enologo Luca Pugliese (di nome e di fatto) mi invita all’ascolto di alcune etichette, tutte incentrate sull’uva di Troia. Ed è così che alla consistenza dolce e “confetturata” di Canace 2010 e al roverizzato Troia 2007 , ho preferito la franca immediatezza del Lama di Pietra 2009, e ancor di più la schiettezza, la leggibilità e il ritmo di Ripe Alte 2010, in cui il rilievo dell’acidità e il puro registro fruttato sono in grado di innestare quella marcia in più che porta a una piacevole immedesimazione, senza nulla perdere in termini di dettaglio e di articolazione.
ALBERTO LONGO
Così, di fronte alla forza espressiva dei vini di Alberto, che in ragione di una decisa presa sul palato non sacrificano sfumature o persistenza, conta poco l’evidente cura formale e il cesello enologico di cui si avvalgono. Materie prime di livello, adeguatamente selezionate, costituiscono le fondamenta di un percorso nuovo, futuribile, che già ha regalato all’enologia pugliese autentiche chicche, e che sul cammino è andato progressivamente bilanciando la tendenza estrattiva (apportata soprattutto dai legni) delle prime edizioni, lasciando lo spazio dovuto al naturale fluire dei vini ed esaltandone in modo più spontaneo l’innata loro visceralità.
Infine i due alfieri della casa: da un lato Le Cruste, dedica liquida alla terra di Daunia e all’uva nero di Troia, rivisitate qui in chiave moderna: primattore, sfaccettato, potente ed espressivo nonostante il contributo generoso del rovere nella versione 2009. Dall’altro 4.7.7, un esplosivo Syrah che ha la particolarità di non richiamare affatto alla mente il Rodano (e ci mancherebbe!) ma neanche l’Australia, bensì di disegnare una traiettoria a sé. Inarrestabile per progressione nella edizione 2008, è vino ricchissimo, potente, dettagliato, speziato e minerale; la sua masticabilità non va a detrimento della succosità e della beva, realizzando l’incantesimo di un equilibrio fondato su alti parametri e ispirando il meglio che c’è per un futuro on his side.
DUCA CARLO GUARINI
E la vena minerale che innerva il Primitivo Vigne Vecchie 2009 gioca il suo bel ruolo da protagonista nel propiziarne scorrevolezza e contrasto, sia pur a fronte di un finale più svagato e incerto. Infine, Boemondo 2008 (primitivo affinato in legni piccoli; 30% delle uve appassite) apre a vibrazioni sapide e alla reattività, nonostante l’insistenza fruttata e confit. Pur senza toccare abissi di profondità, grazie ai dettagli speziati e alle sottili increspature delle erbe aromatiche, scava un solco prezioso di sana e consapevole territorialità.