Su Cotarella che dire? Ha un curriculum vitae da paura, vanta consulenze prestigiose in tutto il mondo e i vini a sua firma hanno raccolto i maggiori premi nazionali ed internazionali. E’ anche però uno dei professionisti più discussi del paese, accusato dai detrattori di adottare un approccio troppo “interventista”, dove la confezione del vino e uno standard di gusto un po’ “international” hanno spesso la meglio su naturalezza espressiva ed imprevedibilità. E’ per questo che affiancarlo a Noro e all’antroposofia biodinamica mi viene proprio…”innaturale”! Eppure proprio a questi due professionisti si rivolse il vulcanico Peppino Pagano, albergatore di successo della costa di Paestum, quando qualche anno fa decise di “tornare” al vino.
A qualcuno quella di Peppino potrebbe apparire come la classica storia dell’arricchito che superata la cinquantina decide di costruirsi un giochino per la vecchiaia. Ma basta parlarci pochi minuti per capire che nelle sue vene scorre una passione autentica che fa da volano ad una capacità imprenditoriale fuori dal comune. Un mix di energia, curiosità e chiarezza di idee che lo rendono un personaggio senz’altro interessante. Ecco le parole che mi disse qualche mese fa quando andai a conoscerlo.
La cosa era complicata perché gli appezzamenti buoni erano pochi, piccoli e molto frazionati. Mi giunse voce di una tenuta di 33 ettari in vendita a Stio, nell’entroterra a 450 metri d’altitudine, nel cuore del Parco Nazionale del Cilento. Decisi comunque di andare a vederla e mi trovai di fronte ad una sorta di paradiso incontaminato, con vallate verdi ed una luce incredibile. Sembrava la Svizzera! Me ne innamorai subito. Le vigne erano state espiantate negli anni Sessanta e Settanta, con l’esodo dalle campagne verso le città, ed erano rimasti solo pini neri da carta. Ma ero convinto che in quel luogo, circondato da boschi, campi di patate, fagioli, olivi ed ortofrutta, si potessero fare anche grandi vini ed iniziai allora una impegnativa opera di bonifica che durò ben quattro anni.
Ora che avevo trovato il terreno mi serviva qualcuno che mi aiutasse a fare il vino. Avendo però già più di 50 anni e volendo impegnarmi col pieno delle mie forze in questo progetto non avevo molto tempo a disposizione. So bene che i tempi della vite e del vino sono lunghi, e un errore te lo paghi negli anni. Io non potevo permettermi di sbagliare e quindi avevo bisogno di un professionista ai massimi livelli, uno di grandissima esperienza che mi permettesse fin da subito di ridurre al minimo i rischi. E’ così che arrivai a Cotarella. Lo invitai da me per parlargli del mio progetto e ci volle poco a convincerlo: quando vide Stio mi disse subito che lì avremmo potuto fare un grande vino ma le condizioni erano “estreme” e mi consigliò di cercare anche qualche terreno più “facile” per allargare la gamma produttiva. L’occasione venne nel 2007 quando rilevai dei terreni nel comune di Capaccio, in una zona pedemontana che Cotarella aveva indicato come esempio da “manuale della grande vigna”: mare di fronte, spalle protette dal monte, terreno argilloso e calcareo, pendenza ed esposizioni ideali. E così alla fine del 2008 avevo le mie due vigne impiantate e pronte a produrre.
Con Noro e Lorenzetti ad impostarmi il lavoro in campagna, e Cotarella quello in cantina, mi sentivo in una botte di ferro. Poco importa se tra di loro non si sono mai parlati! Cotarella, al di là di presunte posizioni ideologiche, è senza dubbio una persona molto intelligente e se uno gli consegna uve sane, perfette, da una terra pulita e vitale, lui è il primo ad esserne contento!>>
Il resto è storia recente, anzi recentissima, visto che i primi vini sono sul mercato da non più di tre anni. La linea di produzione prevede due rossi a base aglianico (di cui uno, quello più ambizioso, dedicato a Gillo Dorfles, critico d’arte, pittore e filosofo, uno dei padri dell’estetica in Italia, ultracentenario che ancora si può incontrare di tanto in tanto in vacanza nell’hotel di Paestum dell’amico Peppino), un rosato e tre bianchi, a base fiano e greco (più una falanghina che però è imbottigliata da uve acquistate nel Sannio).
L’altro vino che vi segnalo è il Greco Calpazio, prodotto dai vigneti più in basso: fresco e ricco allo stesso tempo, con profumi invitanti, di mela e limone, che poi lasciano spazio ad una mineralità decisa. In bocca ha sapidità da vendere, è secco ed equilibrato, e si fa bere come pochi. Un vino che è stata un po’ la scommessa personale di Peppino (<<A Paestum mi pareva assurdo non fare un greco!>>), il quale, a giudicare da questi primi assaggi, ha avuto ancora una volta l’occhio lungo!
Oggi oltre a produrre vini di qualità, bisogna investire anche nel marchio e l’azienda San Salvatore ci è riuscita benissimo.
Ottimi vini e cura dei prodotti a 360 gradi. Il mio preferito è l’aglianico di Paestum, Jungano.