San Salvatore 1988: un vulcano di nome Pagano

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pagano-dorflesAmici enoappassionati siate sinceri: vi viene in mente un accostamento più improbabile di quello tra l’agronomo Carlo Noro, punto di riferimento del movimento biodinamico, e l’ultra-ricercato e “chiacchierato” enologo Riccardo Cotarella? Confesso che è stato proprio questo strano incrocio a farmi avvicinare all’azienda San Salvatore 1988, nuova realtà produttiva dell’alto Cilento, che si sta rapidamente facendo conoscere grazie ad una batteria di fiano, greco ed aglianico molto interessanti.

Su Cotarella che dire? Ha un curriculum vitae da paura, vanta consulenze prestigiose in tutto il mondo e i vini a sua firma hanno raccolto i maggiori premi nazionali ed internazionali. E’ anche però uno dei professionisti più discussi del paese, accusato dai detrattori di adottare un approccio troppo “interventista”, dove la confezione del vino e uno standard di gusto un po’ “international” hanno spesso la meglio su naturalezza espressiva ed imprevedibilità. E’ per questo che affiancarlo a Noro e all’antroposofia biodinamica mi viene proprio…”innaturale”! Eppure proprio a questi due professionisti si rivolse il vulcanico Peppino Pagano, albergatore di successo della costa di Paestum, quando qualche anno fa decise di “tornare” al vino.

A qualcuno quella di Peppino potrebbe apparire come la classica storia dell’arricchito che superata la cinquantina decide di costruirsi un giochino per la vecchiaia. Ma basta parlarci pochi minuti per capire che nelle sue vene scorre una passione autentica che fa da volano ad una capacità imprenditoriale fuori dal comune. Un mix di energia, curiosità e chiarezza di idee che lo rendono un personaggio senz’altro interessante. Ecco le parole che mi disse qualche mese fa quando andai a conoscerlo.

<<Mio padre era originario di Bosco Reale, un paesino alle falde del Vesuvio, dove coltivava e vendeva uva e olio. Dopo il suo infarto l’attività di famiglia fu abbandonata ed io e mio fratello ci dedicammo all’attività di albergatori. In pochi anni, sulla scia del boom turistico di Paestum, realizzammo alcuni dei più belli hotel della zona. Un’attività redditizia e piena di successi che mi ha dato molte gratificazioni. Ero a pieno impegnato nella gestione di questo business quando, qualche anno fa, durante una visita alle cantine Ruffino nel Chianti, fui sopraffatto da una specie di “fuoco” dentro: all’improvviso tornò alla luce quel ragazzino che ogni giorno al mattino prima di andare a scuola e la sera dopo il Carosello andava in cantina a smuovere il mosto. Decisi allora di tornare al vino ed iniziai a cercare terreni idonei in zona.

La cosa era complicata perché gli appezzamenti buoni erano pochi, piccoli e molto frazionati. Mi giunse voce di una tenuta di 33 ettari in vendita a Stio, nell’entroterra a 450 metri d’altitudine, nel cuore del Parco Nazionale del Cilento. Decisi comunque di andare a vederla e mi trovai di fronte ad una sorta di paradiso incontaminato, con vallate verdi ed una luce incredibile. Sembrava la Svizzera! Me ne innamorai subito. Le vigne erano state espiantate negli anni Sessanta e Settanta, con l’esodo dalle campagne verso le città, ed erano rimasti solo pini neri da carta. Ma ero convinto che in quel luogo, circondato da boschi, campi di patate, fagioli, olivi ed ortofrutta, si potessero fare anche grandi vini ed iniziai allora una impegnativa opera di bonifica che durò ben quattro anni.

Ora che avevo trovato il terreno mi serviva qualcuno che mi aiutasse a fare il vino. Avendo però già più di 50 anni e volendo impegnarmi col pieno delle mie forze in questo progetto non avevo molto tempo a disposizione. So bene che i tempi della vite e del vino sono lunghi, e un errore te lo paghi negli anni. Io non potevo permettermi di sbagliare e quindi avevo bisogno di un professionista ai massimi livelli, uno di grandissima esperienza che mi permettesse fin da subito di ridurre al minimo i rischi. E’ così che arrivai a Cotarella. Lo invitai da me per parlargli del mio progetto e ci volle poco a convincerlo: quando vide Stio mi disse subito che lì avremmo potuto fare un grande vino ma le condizioni erano “estreme” e mi consigliò di cercare anche qualche terreno più “facile” per allargare la gamma produttiva. L’occasione venne nel 2007 quando rilevai dei terreni nel comune di Capaccio, in una zona pedemontana che Cotarella aveva indicato come esempio da “manuale della grande vigna”: mare di fronte, spalle protette dal monte, terreno argilloso e calcareo, pendenza ed esposizioni ideali. E così alla fine del 2008 avevo le mie due vigne impiantate e pronte a produrre.

Nel frattempo, forse anche a causa di una serie di “disgrazie” di salute in famiglia, avevo sviluppato un forte interesse verso il concetto di sano e di naturale. Un principio che cerco di seguire sempre anche nella mia attività di albergatore, perché so bene che “siamo quel che mangiamo”. Sono infatti convinto che tutto parte dalla cura della terra e che la pianta non può che essere specchio fedele del terreno che gli da vita: io volevo quindi che le mie viti fossero cresciute in un ambiente il più possibile sano e incontaminato. Sviluppai fin da subito un ostracismo completo verso l’uso della chimica ed iniziai a studiare i dettami dell’agricoltura biodinamica, che mi affascinarono ed incuriosirono. Contattai allora per una consulenza Carlo Noro e Michele Lorenzetti, considerati tra i massimi esperti in materia. Vennero a vedere i terreni, li supervisionarono e mi dissero che erano ben preservati e sufficientemente vitali per poter pensare ad un approccio agronomico tutto naturale. Nel frattempo, avevo acquistato anche un allevamento di bufale, che da una parte con il latte mi permetteva di avere subito un flusso di cassa con cui finanziare i vigneti, e dall’altra mi avrebbe fornito il letame necessario per i preparati biodinamici, visto che con i loro zoccoli amalgamano naturalmente paglia e letame e ci permettono di ottenere un concime biologico sano ed altamente nutritivo.

Con Noro e Lorenzetti ad impostarmi il lavoro in campagna, e Cotarella quello in cantina, mi sentivo in una botte di ferro. Poco importa se tra di loro non si sono mai parlati! Cotarella, al di là di presunte posizioni ideologiche, è senza dubbio una persona molto intelligente e se uno gli consegna uve sane, perfette, da una terra pulita e vitale, lui è il primo ad esserne contento!>>

Il resto è storia recente, anzi recentissima, visto che i primi vini sono sul mercato da non più di tre anni. La linea di produzione prevede due rossi a base aglianico (di cui uno, quello più ambizioso, dedicato a Gillo Dorfles, critico d’arte, pittore e filosofo, uno dei padri dell’estetica in Italia, ultracentenario che ancora si può incontrare di tanto in tanto in vacanza nell’hotel di Paestum dell’amico Peppino), un rosato e tre bianchi, a base fiano e greco (più una falanghina che però è imbottigliata da uve acquistate nel Sannio).

Tra i due Fiano mi intriga molto quello proveniente da Stio. Le vigne sono giovani e devono ancora esprimersi al massimo, ma il vino che ne esce mostra già caratteri peculiari: è un bianco verticale e snello, molto fresco e sapido, in cui la componente fruttata si esprime con delicate note di agrumi. Un vino che quando sarà maturo promette grande longevità e grandi soddisfazioni.

L’altro vino che vi segnalo è il Greco Calpazio, prodotto dai vigneti più in basso: fresco e ricco allo stesso tempo, con profumi invitanti, di mela e limone, che poi lasciano spazio ad una mineralità decisa. In bocca ha sapidità da vendere, è secco ed equilibrato, e si fa bere come pochi. Un vino che è stata un po’ la scommessa personale di Peppino (<<A Paestum mi pareva assurdo non fare un greco!>>), il quale, a giudicare da questi primi assaggi, ha avuto ancora una volta l’occhio lungo!

Franco Santini

Franco Santini (santini@acquabuona.it), abruzzese, ingegnere per mestiere, giornalista per passione, ha iniziato a scrivere nel 1998 per L’Ente Editoriale dell’Arma dei Carabinieri. Pian piano, da argomenti tecnico-scientifici è passato al vino e all’enogastronomia, e ora non vuol sentire parlare d’altro! Grande conoscitore della realtà vitivinicola abruzzese, sta allargando sempre più i suoi “confini” al resto dell’Italia enoica. Sceglie le sue mète di viaggio a partire dalla superficie vitata del luogo, e costringe la sua povera compagna ad aiutarlo nella missione di tenere alto il consumo medio di vino pro-capite del paese!

1 COMMENT

  1. Oggi oltre a produrre vini di qualità, bisogna investire anche nel marchio e l’azienda San Salvatore ci è riuscita benissimo.
    Ottimi vini e cura dei prodotti a 360 gradi. Il mio preferito è l’aglianico di Paestum, Jungano.

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