Alle volte si fanno incontri che non si dimenticano. Capita soprattutto incontrando artisti, artisti in senso ampio. Come artisti del gusto, dell’accoglienza, del mestiere di far star bene la gente attorno al tavolo. Della sera di un paio d’anni fa all’Osteria Storica Morelli (Canezza di Pergine Valsugana, Trentino), conservo la sensazione forte di un posto unico, creato e mantenuto da veri artisti. Non è una semplice osteria, ma un’ambasciata del gusto trentino. Il patron e chef, Fiorenzo Varesco, seleziona e dà visibilità a tanti produttori e allevatori della Val di Fiemme, della Val di Cembra, della Valle dei Mocheni… Ne nascono piatti che sono racconti, percorsi che parlano di un’attenzione fortissima verso la terra.
Per tenerne un ricordo tangibile, quella sera portai a casa un po’ di vini consigliati da Fiorenzo – l’Osteria ha una carta meraviogliosa fatta di cuore e di territorio – e riposi lo scatolone in cantina.
Oggi ne estraggo una perla: Paolina Bianco 2010 Vigneti delle Dolomiti IGT (10,5%), Fratelli Pelz (Cembra)
Dieci gradi e mezzo di alcol, un miraggio di leggerezza ottenuto da una rarità, l’uva paolina, di cui la carta dei vini di Morelli racconta: “il grappolo dell’uva paolina è gigantesco, ricorda gli enormi e simbolici grappoli dei bassorilievi greci e romani. I suoi chicchi, anche se prodotti tra luoghi assolati sono carichi di acidità e poveri di alcool. […]. Ne risulta un simpatico vino dal basso grado alcolico con una nota di freschezza e di mineralità che ricorda i grandi bianchi del nordeuropa.”
“Simpatico” è un aggettivo azzeccatissimo per questo vino, ma il grado alcolico e il tappo a vite non inducano a credere che sia un vino leggerino da prendere sottogamba: basta accostare il naso al bicchiere e ci si rende conto che parla chiaro e forte. A tre anni dalla vendemmia, il naso è freschissimo, ha note intense e sapide, bilanciato tra una gran mineralità e il ricordo floreale dei prati. Il sorso non è da meno, e si sviluppa sapidissimo, diritto, appagante. Giureresti, senza vedere l’etichetta, che i gradi sono di più, ma il suo bello sta qua: i suoi attributi non sono nella cilindrata, ma nell’agilità scattante, nel “telaio”. Incredulo, ho continuato a aspirarne l’odore, a trovare inutili le parole per elencarne i descrittori (agrumi? sentori minerali? varietali che ricordano il sauvignon? fiori bianchi? certo, ma molto più e molto altro!). Il bello di questo vino è la sorpresa, il suo sapore è una verità non strombazzata ma concretissima. Me lo immagino con carni come il coniglio, o con formaggi di media stagionatura. Chissà, con pecorino e fave…
Tra l’altro questo vino della Val di Cembra (che costa in enoteca intorno ai 10 euro) fa parte del progetto “I vini dell’Angelo“, che riunisce vari produttori ed è dedicato al recupero dei vitigni trentini “prefillossera” (nel 1883 l’Istituto agrario di San Michele all’Adige censiva 56 vitigni trentini, oggi ne restano una ventina, di cui solo 5 o 6 quntitativamente rilevanti).
A due anni di distanza non mi resta che ringraziare di nuovo Fiorenzo Varesco, anima dell’Osteria, che mi ha fatto scoprire cose meravigliose sia con la sua tavola, sia con le scelte dei suoi vini. Anzi, adesso che è primavera, chi può passare da quelle parti, sappia che è il momento dei fiori all’Osteria. I fiori di campo, (nasturzi, trifoglio e tanti altri) vengono impiegati nelle preparazioni dei piatti, non per decorazione, ma per regalare gioia concreta al palato.
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