Matteo Baldin: “Il vino, nel mio caso, è più questione di fisica che di chimica”

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Matteo BaldinDi Matteo Baldin, per gli amici Teo, spicca la franchezza scanzonata, pari pari al suo vino. Al telefono mi dice: «Beh, sono un produttore talmente piccolo… non ho una cantina attrezzatissima; nel mio caso, gli interventi sono più questione di fisica che di chimica!» Va benissimo così. Sabato sono lì da te, gli dico. «Ma Lozzolo, dov’è?», mi chiedo. Guardo la cartina. Alto Piemonte: da Gattinara verso Biella, il primo paesino a destra. Quindi Gattinara… «No, no, Lozzolo non rientra nel Gattinara, ma nel Bramaterra», precisa Matteo. L’ultimo baluardo verso est del Bramaterra, poi iniziano i contrafforti collinari di Gattinara.

Arrivo a Lozzolo e non c’è da cercar molto: Matteo è lì che mi aspetta, all’ingresso del paese. La sorpresa è il suo quartier generale, una vecchia casa contadina, con i fiori ai balconi e una stanzetta per gli assaggi che sa di casa dei nonni, con la stufa, i mobili dei tempi andati, un piccolo tavolino e le sedie che ti riportano indietro nel tempo. Sa di concretezza, di zero svolazzi, di umiltà e fierezza di un produttore giovane, con le idee ben chiare.

Matteo avevo avuto l’occasione di conoscerlo durante le edizioni 2011 e 2012 di La terra trema, fiera di vignaioli “resistenti” del Leoncavallo di Milano. Al colorito stand di tre amici, che si fanno chiamare “Quat Gat” (in realtà sono in tre: oltre a lui la formazione annovera Luca Caligaris e Franco Patriarca) mi aveva stregato un vino: la vespolina Reys di Baldin, vino molto interessante che meritava un approfondimento.

Parla del suo lavoro con trasporto, ed emergono le sue scelte di fondo, ad esempio per le Doc: a parte il Bramaterra, tutti gli altri vini che produce li etichetta come “vino da tavola”. «Sì, mi sto sganciando dal discorso delle Doc. Mantengo quella storica di questi luoghi, il Bramaterra, ma per il resto credo che stiano perdendo di valore. Da quando è nata la Doc Piemonte, poi, un contenitore senza storia e senza significato dove può entrare di tutto, anche vini del tutto sganciati da un territorio… Non  ne vale la pena. Preferisco che i miei vini siano giudicati semplicemente per quello che sono, al di là di una denominazione».

Per Matteo, anche la modifica del disciplinare del Bramaterra (minimo 80% di nebbiolo con la croatina resa facoltativa) è uno stravolgimento della tradizione. «Il Bramaterra si distingue da tutti gli altri vini del nord Piemonte proprio per la croatina: un 20% di croatina aggiunta al nebbiolo dà infatti al vino  colore, tannini incisivi, retrogusto amarognolo…  Certo, è un vino meno commerciale ma è unico. Dal mio punto di vista, per avere un Bramaterra elegante e tipico, non bisogna stravolgerne la forma: bisogna lavorare sui tempi di maturazione ottimali di ognuna delle uve».

Per il Bramaterra Matteo fa vinificazioni separate e poi un taglio molto accurato in cantina: «Ogni annata è diversa, a volte produce più il nebbiolo, altre la croatina… se metti insieme le parcelle in fase di vendemmia non sai più in realtà quanto nebbiolo e quanta croatina hai nel vino finale… Certo, così ci vuole più tempo, non puoi permetterti di fare una vendemmia unica, ma diverse microvendemmie. Io ad esempio faccio tre vendemmie scalari, e ogni anno ho sempre i soliti vendemmiatori, che sanno cosa voglio che raccolgano».
Matteo coltiva due ettari e mezzo di vigne in tutto, con cui riesce a vivere. Del suo vino, è fiero soprattutto del fatto che si riconoscano le diverse annate. Nel bene e nel male, come ad esempio la 2003, vendemmiata anticipatamente al 17 settembre, o la 2002, con vini acidi e non perfetti, ma anche la 2005, annata perfetta nel Bramaterra, con vini ottimi.

«Dopo gli studi, lavoravo da Travaglini, che in Gattinara è stato un faro per tutti. È stato mio padre ad incoraggiarmi a prendere in mano i terreni di famiglia. Lui aveva la passione per la vigna, mi ha dato forza per fare il grande passo. Oltre alle vigne allevo animali da cortile… insomma, cerco di fare l’agricoltore a tutto tondo. due ettari e mezzo credo siano il limite che una persona da sola riesce a coltivare».
Il lavoro da Travaglini è stato per Matteo molto importante, «È stata una scuola “sul campo”: Travaglini aveva assimilato tutte le novità enologiche. Poi nel 2003 ho conosciuto Maurizio Forgia, enologo giovane e pieno di curiosità, molto dinamico, che ha un’idea di chimica… diversa da quella in voga. Lui lavora più sull’analisi preventiva. Poi lavora molto nel vigneto, è scrupoloso, pignolo…»
Sul tavolo, con semplicità, due grissini e un po’ di formaggio, e quattro bottiglie che meritano grande attenzione. Come detto, si stratta di quattro vini da tavola, più il Bramaterra Doc.

I VINI

Leti vino bianco, 13% (annata 2012, non dichiarata in etichetta)
Essendo vino da tavola, non può riportare in etichetta l’annata e il vitigno. Si tratta di un erbaluce in purezza, vendemmia 2012, da uve provenienti dalla vigna dell’amico e collega Franco Patriarca. Da 4 anni Matteo vinifica le uve erbaluce, per creare questo vino semplice e piacevole che porta il nome della sua bambina, Letizia. Come mi aveva anticipato al telefono, non è certo un vino tecnologico: la temperatura viene tenuta controllata in fase iniziale di fermentazione grazie a boccioni di ghiaccio, in modo da mantenere il mosto a 18-20 gradi. «Sì, è un sistema abbastanza empirico, pensa che per 2-3 giorni devo alzarmi la notte per controllare e cambiare i boccioni!». Il vino resta sui suoi lieviti fino a febbraio, con batonnages frequenti e un solo travaso dopo la fermentazione. Nel 2012 sono state prodotte 1000 bottiglie di questo erbaluce, contro le 1700 del 2011. Purtroppo ci hanno pensato i cinghiali, sempre più presenti nelle vigne, a sfoltire la produzione…
Paglierino chiaro, naso floreale, elegante, con sentori di frutta secca (mandorla). In bocca risalta una spiccata sapidità bilanciata dalla morbidezza. Ha alcunio tratti “ruspanti” (forse un po’ chiuso), che svaniscono con un po’ di ossigenazione nel bicchiere. Buona la lunghezza, grazie all’acidità e alle note agrumate sul finale. Prezzo ai privati in azienda: 7 euro.

Reys vino rosso 13,5% (annata 2011, non dichiarata in etichetta)
Da uve vespolina in purezza vinificata in acciaio. Poco più di un migliaio di bottiglie prodotte, dei pochi filari di vespolina che Matteo ha. «Per vendemmiare la vespolina, siamo in due: io e mio padre. Sono vigne miste, all’antica, e abbiamo piante di vespolina sparse qua e là, bisogna ricordarsi dove sono. La vespolina è la prima delle uve rosse a essere vendemmiata; poi viene la croatina e per ultimo il nebbiolo».
La versione 2011 (adesso è in vendita anche la 2012) sfoggia un naso vinoso e morbido che sa di ciliegie amarasche e more. Davvero fruttatissimo. Ha una beva giovane, tesa, di buona rotondità, sapida e minerale, con una bella tensione che lo porta verso un finale lungo e ancora fruttato. Tannini discreti e di ottima fattura. Come dice Matteo: «…quei vini che ti viene voglia di continuare a berli , non stufano… sono quelli ideali per accompagnare il pasto». Con il tempo e l’ossigenazione migliora ulteriormente, sempre più integrato tra parte olfattiva e gustativa. Coerente, morbido, bevibile… ma sempre con un tocco ruspante che parla dello stile tipico di Matteo. A 7 euro in cantina.

Kros vino rosso (annata 2012 non dichiarata in etichetta)
Taglio di croatina (30-40%), nebbiolo (30-40%), barbera, uva rara (chiamata bonarda novarese, diversa da quella d’Oltrepo Pavese). È il vino “locale” che ricalca il gusto del vino di Lozzolo, più orientato verso un mix di vitigni. Color porpora intenso, dall’unghia violacea. Il naso è giovanile, tra sentori morbidi derivati dal passaggio in legno, frutta (ciliegia amarasca, ribes…) e un guizzo ruspante, da vino non  addomesticato. In bocca è un’esplosione di sapidità e frutto: vino pieno, intenso, dall’acidità pimpante. Un rosso da bere con gli amici, un vino conviviale per eccellenza. Non è un vino da concorso, è un vino da convivio, da arrosti, salsicce, carni in umido. I tannini sono evidenti e non fanno nulla per nascondersi, non si preoccupano d’essere setosi, e non lo vogliono essere! 5 euro ben spesi.

Bramaterra DOC 2009 13%
Uvaggio di Nebbiolo al 70%, croatina 20% e vespolina 10%, da vigne a un’altitudine intorno ai 300 metri. Affinato in barrique per circa 24 mesi. Rubino profondo con unghia che vira verso il mattone.  Appena aperto è un po’ scontroso, ha bisogno di un certo tempo di ossigenazione per potersi esprimere al meglio. Il naso è ancora leggermente influenzato dalle note del legno, ma avendo la pazienza di attenderlo, si notano belle note di ciliegia, frutti di sambuco, sottobosco. In bocca è deciso, pimpante grazie all’acidità e ai tannini ancora ben evidenti; il corpo non è amplissimo, ma non è questo che va chiesto a un vino così. Chiedetegli invece sapidità, succulenza, e quel giusto di ruvidità che ne fanno un compagno ideale per carni in umido, stufate e ben grasse; con queste, andrà sicuramente a segno. 10 euro il prezzo in cantina, davvero favorevole.

Iubire vino rosso (2008, anno non dichiarato in etichetta)
«Questo vino è una cosa tutta mia, è una specie di “Bramaterra vecchio stile”, con molta più croatina, 42 mesi di legno, nessuna filtrazione. È un 2008, e non ho voluto iscriverlo alla DOC. Si tratta di un vino “mio”, affinato in tonneau per 40 mesi. Qui ho voluto dimostrare che se il vino ha la capacità di domarla, la barrique non prevale»
Rubino intenso, intatta l’unghia che non mostra cedimenti. Naso avvolgente, nobile, vinoso, con il fruttato di ciliegia fresca e ribes. In bocca si presenta ancora giovane, nervoso ma sapido e minerale, dotato di gran carattere e buona lunghezza. La croatina è al 35% , il resto è nebbiolo. Per la croatina si tratta di una vecchia vigna d’anteguerra, è un clone con grappoli più piccoli, dal peduncolo piccolo e rosso, una varietà ormai introvabile. Anche le poche bottiglie prodotte sono pressoché introvabili, riservate agli appassionati dei piatti casalinghi della cultura agricola locale.

Quando lo chiamo a fine agosto per avere alcune informazioni aggiuntive, mi risponde dalla vigna: la grandine ha fatto il suo passaggio nei giorni precedenti. Adesso c’è da fare un paziente lavoro di pulizia dei grappoli colpiti. Ma non c’è ansia o tensione nella sua voce, si sente la sua serena passione per il lavoro della terra, che può dare ma anche togliere. Della vendemmia che verrà, in questo 2013 un po’ atipico, prevede di raccogliere l’erbaluce e la vespolina (e una vigna di barbera, per un nuovo esperimento) verso il 20 di settembre, mentre nebbiolo e croatina andranno senz’altro a inizio ottobre.

 

Matteo Baldin
Via Avondo 3, Lozzolo (Vercelli)
Telefono: 333 7995490
aziendagricolabaldin@libero.it

 

GALLERIA FOTOGRAFICA

 

Paolo Rossi

Paolo Rossi (p.rossi@acquabuona.it), versiliese, laureato in lettere, lavora a Milano nel campo editoriale. Nel vino e nel cibo ricerca il lato emozionale, libertario, creativo. Insegue costantemente la bottiglia perfetta, ben contento che la sua ricerca non sarà mai appagata.

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