Flashback: schegge di assaggi indietro nel tempo: un contenitore prezioso di momenti importanti, da raccontare e condividere, a tu per tu con bottiglie che restano e che, per una ragione o per l’altra, non si dimenticano. Insomma, di quando il passare del tempo conduce ad un “vecchieggiare” baldanzoso e stimolante, ché quasi il tempo non lo sente più.
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Albicocca candita, pietra, caprifoglio e menta disegnano i confini aromatici di un bianco espressivo, verace, schietto, fibroso, sorretto da un frutto di perfetta maturità e caratterizzato da un palato avvolgente, ampio, cremoso, ancora affascinante. Non brilla, as usual, per acidità ma la “cristallizzazione” di un frutto così integro gli consente di vivere alla grande l’età più matura. Sì, è vino personale, artigiano nell’anima, bello da masticare.
Elegante, sensuale, di una dolcezza trattenuta e coinvolgente, profuma di viola, ribes, liquirizia, spezie fini, e ti conquista per candore ed ampiezza, esaltandosi negli allunghi grazie alla straordinaria salinità. Un Barbaresco coi fiocchi da un terroir coi fiocchi: la Martinenga, l’alleato ideale se ti prefiggi di arrivare al cuore di tutti gli amanti del Nebbiolo d’autore.
Gran Sangiovese di razza: terroso, caffeoso, boscoso, tutto –oso. Coriaceo e tenace come l’acciaio, di ficcante lama acida ed integrata tannicità, non ti peserà poi tanto il fatto di non trovarlo profondissimo o complessissimo. Al gusto resta comunque salato e reattivo, e ti regala una beva assolutamente ragguardevole. E questo, a ben vedere, basta e avanza.
Elegante, anzi raffinato, pieno, voluttuoso, dal tatto nobile e vellutato e dalle invitanti sfumature ferrose e minerali. L’allure di erbe selvatiche e cassis trasuda balsamicità, la souplesse e la scioltezza al gusto ne affermano gioventù e vitalità. Profumi freschi ch’è tutto dire, di contro gusto morbido e avvolgente, felpato direi. Nessuna forzatura nell’aere, suggestivo, ineludibile.
Colore e limpidezza impressionanti per nitore e tenuta nel tempo. Non gli manca niente a questo piccolo grande Chianti Classico d’antan, se non fosse per quei legni “d’epoca” che tendono a screziarne il quadro aromatico e gustativo con le loro scorie infiltranti e fastidiose. Ma frutto, sapidità e piacevolezza restano assicurati. Nel finale si allarga, quello sì, non preme sull’acceleratore, non allunga, risultando gradevomente rotondo e confortevole. Ma il miracolo sta nell’aver domato il tempo con assoluta dignità, pur essendo un vino proveniente da una zona e da “un’era” in cui l’enologia appariva oltremodo essenziale e l’agronomia non propriamente spinta sul versante della qualità.
Ma a San Felice, è pur vero, ci hanno ben abituati a precorrere i tempi in fatto di impegno, studio sul campo e innovazione. Da una azienda un tempo leader nella vasta galassia chiantigiana, ecco il testimone sincero di un percorso virtuoso, che se da un lato non scomoda l’eccellenza dall’altro ci ricorda quantomeno chi eravamo, da dove siamo partiti e chi è arrivato per primo.