Recensione/”Diario di un lavapiatti di campagna”, di Romano Tamani

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diario-lavapiatti-campagna-tamaniIl futuro può essere sorprendente, ma lo può essere anche il passato. Ci puoi trovare modi di vedere il mondo, attitudini, sentimenti oggi perduti e dunque sconosciuti, ma che rivivono nelle pagine di questo libro autobiografico scritto nella forma di pensieri più o meno sparsi e rapsodici da Romano Tamani, grande chef della glorioso ristorante Ambasciata di Quistello, nel mantovano.

Per spiegare di cosa si sta parlando, prendiamo per esempio le righe finali (il potenziale lettore ci perdonerà ma non è un giallo né un racconto con qualche forma di suspance): “Sono un lavapiatti di campagna nato per servire e la mia gioia più grande è servire felicità. Di più non posso desiderare. Perché più di questo non c’è.” Nato per servire! In un tempo, il nostro, in cui la massima ambizione è costruirsi un piccolo o grande potere per farsi servire e diventare immediatamente arroganti con chi lo fa, quale concetto può essere più sorprendente, anzi rivoluzionario di questo?

E allora, se avete avuto la giusta dose degli chef superstar chini sui piatti come se fossero al microscopio elettronico e che scrivono libri che al confronto “Essere e tempo” è Liala, qui avrete invece le riflessioni di un nonno saggio e come talvolta accade un po’ brontolone, di cui magari per un attimo ci si stufa per essere poi subito dopo irrimediabilmente attratti dalla profondità e la saggezza di uno spunto o di una riflessione.

“Diario di un lavapiatti di campagna” è un libro intriso della nostalgia della vita nei campi, dove ci si alzava alle quattro del mattino per tornare a casa alle otto ed iniziare a “tirare la sfoglia”. Una vita fatta di cose semplici, anche da mangiare: pane, pasta, polenta (quella avanzata anche nel latte a colazione), Parmigiano (che sta bene pressoché dappertutto) e naturalmente tutto quello che viene dal maiale. La stufa accesa, la puzza di stalla che impregnava gli abiti per tutto l’inverno…

Fra pensieri sparsi e piccoli racconti, prendono forma la vita e la carriera: già in quarta elementare Romano accende la stufa della cucina e si ferma a mangiare all’albergo dell’Angelo di Quistello. Poi lava piatti e pentole, ed iniziano a mandarlo al mercato per comprare le verdure. C’è la perdita di tempo del servizio militare, poi va lavorare a Modena da Fini, seguono le stagioni faticose a pulire “quintali di vongole” nella riviera romagnola.

Ma talvolta il progresso e l’emancipazione nascono dalla contraddizione: il giovane Romano sceglie di distaccarsi radicalmente dalla atmosfera idilliaca e fiabesca della amata vita di campagna e di partire, andandosene lontano. A metà del libro arriva infatti la svolta della vita con la decisione di andare a Londra, dove nei primi anni ’60 accadeva tutto e che era davvero il centro del mondo; viene resa bene l’epicità dell’impresa, fra tristezze famigliari e diffidenze per una scelta cosi drastica. Dieci ore di treno solo per andare da Quistello a Milano, una notte per arrivare a la gare Du Lyon, poi a Calais a mangiare lumache.

Le tappe sono il Quo Vadis ed il Café Royal a Regent Street, il Savoy nello Strand. A trent’anni il ritorno in patria, nel paese d’origine a gestire un bar, poi il grande passo: aprire un ristorante. E siccome Adolfo Alessandrini, un ambasciatore originario di Quistello e gourmet, aveva seguito i lavori fin dall’inizio incoraggiando i giovani fratelli Tamani, alla fine il ristorante si chiamò Ambasciata. La fama crebbe, i riconoscimenti anche, finché Sirio Maccioni aprì loro le porte del magico mondo di Le Cirque a New York.

Insomma, siamo in presenza di una vera testimonianza della antica ed autentica cucina italiana, raccontata con un orgoglio che rifiuta contaminazioni o fusion, e Tamani non le manda certo a dire contro certi piatti vuoti con porzioni scarse e solo ornamentali, contro la banalità del pollo al curry, contro gli inflazionati crudi di pesce dove non si capisce quale sia l’impegno del cuoco. E così via, senza compromessi: prendere o lasciare.

E alla fine, il messaggio è chiaro: il compito della grande ristorazione è tendere a riprodurre il più fedelmente possibile il paradiso perduto dei sapori intensi di una volta, della pasta tirata con le uova appena deposte: sapori oggi irrimediabilmente perduti. Una filosofia che a qualcuno potrà sembrare “passatista”, ma che ci sembra interpreti bene il pensiero di molti dei cuochi delle ultime generazioni, e in definitiva le tendenze di quella che è stata definita la “nuova cucina italiana”.

Ps: qua e là c’è qualche ricetta, per esempio del famoso zabaione, o dei tortelli di zucca (senza amaretto, ma con mele campanine, arancio e scorza di limone.)

Romano Tamani
Diario di un lavapiatti di campagna
Bompiani editore (settembre 2014)
228 pagg. – 17 euro – ebook 9.99 euro

Riccardo Farchioni

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