Per spiegare di cosa si sta parlando, prendiamo per esempio le righe finali (il potenziale lettore ci perdonerà ma non è un giallo né un racconto con qualche forma di suspance): “Sono un lavapiatti di campagna nato per servire e la mia gioia più grande è servire felicità. Di più non posso desiderare. Perché più di questo non c’è.” Nato per servire! In un tempo, il nostro, in cui la massima ambizione è costruirsi un piccolo o grande potere per farsi servire e diventare immediatamente arroganti con chi lo fa, quale concetto può essere più sorprendente, anzi rivoluzionario di questo?
E allora, se avete avuto la giusta dose degli chef superstar chini sui piatti come se fossero al microscopio elettronico e che scrivono libri che al confronto “Essere e tempo” è Liala, qui avrete invece le riflessioni di un nonno saggio e come talvolta accade un po’ brontolone, di cui magari per un attimo ci si stufa per essere poi subito dopo irrimediabilmente attratti dalla profondità e la saggezza di uno spunto o di una riflessione.
“Diario di un lavapiatti di campagna” è un libro intriso della nostalgia della vita nei campi, dove ci si alzava alle quattro del mattino per tornare a casa alle otto ed iniziare a “tirare la sfoglia”. Una vita fatta di cose semplici, anche da mangiare: pane, pasta, polenta (quella avanzata anche nel latte a colazione), Parmigiano (che sta bene pressoché dappertutto) e naturalmente tutto quello che viene dal maiale. La stufa accesa, la puzza di stalla che impregnava gli abiti per tutto l’inverno…
Fra pensieri sparsi e piccoli racconti, prendono forma la vita e la carriera: già in quarta elementare Romano accende la stufa della cucina e si ferma a mangiare all’albergo dell’Angelo di Quistello. Poi lava piatti e pentole, ed iniziano a mandarlo al mercato per comprare le verdure. C’è la perdita di tempo del servizio militare, poi va lavorare a Modena da Fini, seguono le stagioni faticose a pulire “quintali di vongole” nella riviera romagnola.
Ma talvolta il progresso e l’emancipazione nascono dalla contraddizione: il giovane Romano sceglie di distaccarsi radicalmente dalla atmosfera idilliaca e fiabesca della amata vita di campagna e di partire, andandosene lontano. A metà del libro arriva infatti la svolta della vita con la decisione di andare a Londra, dove nei primi anni ’60 accadeva tutto e che era davvero il centro del mondo; viene resa bene l’epicità dell’impresa, fra tristezze famigliari e diffidenze per una scelta cosi drastica. Dieci ore di treno solo per andare da Quistello a Milano, una notte per arrivare a la gare Du Lyon, poi a Calais a mangiare lumache.
Le tappe sono il Quo Vadis ed il Café Royal a Regent Street, il Savoy nello Strand. A trent’anni il ritorno in patria, nel paese d’origine a gestire un bar, poi il grande passo: aprire un ristorante. E siccome Adolfo Alessandrini, un ambasciatore originario di Quistello e gourmet, aveva seguito i lavori fin dall’inizio incoraggiando i giovani fratelli Tamani, alla fine il ristorante si chiamò Ambasciata. La fama crebbe, i riconoscimenti anche, finché Sirio Maccioni aprì loro le porte del magico mondo di Le Cirque a New York.
Insomma, siamo in presenza di una vera testimonianza della antica ed autentica cucina italiana, raccontata con un orgoglio che rifiuta contaminazioni o fusion, e Tamani non le manda certo a dire contro certi piatti vuoti con porzioni scarse e solo ornamentali, contro la banalità del pollo al curry, contro gli inflazionati crudi di pesce dove non si capisce quale sia l’impegno del cuoco. E così via, senza compromessi: prendere o lasciare.
E alla fine, il messaggio è chiaro: il compito della grande ristorazione è tendere a riprodurre il più fedelmente possibile il paradiso perduto dei sapori intensi di una volta, della pasta tirata con le uova appena deposte: sapori oggi irrimediabilmente perduti. Una filosofia che a qualcuno potrà sembrare “passatista”, ma che ci sembra interpreti bene il pensiero di molti dei cuochi delle ultime generazioni, e in definitiva le tendenze di quella che è stata definita la “nuova cucina italiana”.
Ps: qua e là c’è qualche ricetta, per esempio del famoso zabaione, o dei tortelli di zucca (senza amaretto, ma con mele campanine, arancio e scorza di limone.)
Romano Tamani
Diario di un lavapiatti di campagna
Bompiani editore (settembre 2014)
228 pagg. – 17 euro – ebook 9.99 euro