Flashback: schegge di assaggi indietro nel tempo:un contenitore prezioso di momenti importanti, da raccontare e condividere, a tu per tu con bottiglie che restano e che, per una ragione o per l’altra, non si dimenticano. Insomma, di quando il passare del tempo conduce ad un “vecchieggiare” baldanzoso e stimolante, ché quasi il tempo non lo sente più.
Champagne Brut Millesime 2002 – Fernand Hutasse et Fils (Ristorante In Vernice, Livorno)
Vera e propria sorpresa. Da una cantina pressoché sconosciuta, fiutata da un naso buono per scoprire Champagne “via dalla pazza folla” quale quello dell’amico Claudio Corrieri di Livorno, ecco un millesimato ampio e caratteriale che si lascia ben ricordare, taglio paritario di pinot nero e chardonnay provenienti da Bouzy e Ambonnay, maturato per 9 anni sui lieviti e sboccato nel 2014. Qui le note evolutive appaiono efficacemente amalgamate e non sfrangiano le trame, mentre è un intrigante ventaglio di erbe aromatiche ad accoglierti , con le nuances floreali e di noisette incorporate in una chiosa più dolce e mielata, di sinuosa polposità, senza che la bolla perda di tono e l’acidità di forza propulsiva. Uno Champagne vinoso, coinvolgente e piacevolissimo, ad un prezzo che non ti “spettina”.
Mâcon-Pierreclos Tri de Chavigne 2008 – Guffens Heynen (Mama Florence, Firenze) Uno ci può girare attorno quanto vuole, e domandarsi se sia lecito o meno scomodare termini tanto chiacchierati e ad alto tasso di fraintendimento: ma un vino lo vuoi più minerale di così ? Sopra e sotto questa autentica pulsazione minerale (ribadisco: minerale!) si fondono armoniosamente doti strutturali certe con altre più “dinamiche e snellenti”, a rendere il sorso sostenuto, propositivo, mutevole. Un sussulto, questo è, ricco di contrasti e di cambi di passo. Sempre attraente, bicchiere dopo bicchiere, incantevole per grip, intensità e capacità di dettaglio, c’è un rovere nobile super maritato e una acidità succulenta ch’è tutto dire. Beva deliziosa. IL Mâcon per eccellenza, con i ricami floreali, le erbe di campo e la zesta di lime. Lo ricorderai a lungo. Ma potresti anche attenderlo al varco più in là negli anni: saprà il fatto suo.
Chassagne-Montrachet 1er cru Clos de La Boudriotte 2006 – Ramonet (Mama Florence, Firenze)
E se un grande bianco di Ramonet si era già preso la scena in un recente flashback, davvero consigliabile appare questo rosso della casa, il celebre Clos de La Boudriotte, che “scalfisce” da par suo il mito “bianchista” di Chassagne per ricordarci che in quella zona tradizione voleva che un tempo imperasse il pinonuar. Un Pinot Noir qui trasposto con dovizia di particolari grazie soprattutto ad un naso esplosivo che ti inchioda all’ascolto e che ha poco da invidiare ad un Grand Cru: un naso tutto “suo”, personale e ineludibile.
Elegante e carnoso, con quei richiami alla terra, al cuoio e alla liquirizia che tanto giovano al carattere aromatico, si offre in un modo viscerale quanto seducente, ben scandito nei dettagli, intenso negli accenti, puro nella sostanza. In bocca è setoso e avvolgente, con un pelo di calore in esubero, ciò che tende ad allargare (e ad addolcire) leggermente la trama. Uno sbuffetto alcolico insomma, che ci rammenta un’annata non certo memorabile in Borgogna, anche se le hanno “toccate” di più i bianchi. Ma le potenzialità del cru non vengono di certo disattese dal particolare conseguimento, figlio di una sensibilità interpretativa eccezionale che, se possiamo facilmente rubricarla fra le prime della classe per quanto attiene i bianchi, non sembra scherzare affatto neanche al cospetto dei rossi, dimostrandosi a dir poco a proprio agio con la materia del contendere.
Pomerol Château Trotanoy 1970 ( collezione privata)
Bellissimo colore, tonico e invitante. E in piena forma se lo bevi: infiltrante, balsamico, sensualissimo, profilatissimo…… Sciorina tutto il repertorio “classico” della fisionomia “classica” bordolese, quella dei bei tempi andati. Con un timbro vegetale perfettamente integrato, un naso sfaccettato e un portamento regale, senza inutili ridondanze, appena solcato da stimoli selvatici nient’affatto spiacevoli. Chiede solo aria per respirare, e ne ha ben donde, dopo oltre quarant’anni di bottiglia.
Speciale e diffusa la salinità, reattivo il tratto gustativo, che si muove su seducenti “cadenze” di eucalipto, agrume candito, spezie fini, cuoio e incenso. Saporito e profondo, di invidiabile nonchalance e ammirevole bilanciamento fra le parti, non ha bisogno di urlare la sua presenza perché arriva dove deve arrivare, e anche più in là. Sì, pure i Merlot, a volte, nel loro piccolo si incazzano!
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