Ecco allora una serie di temi, a volte seri a volte faceti, per ricavare qualche suggestione e qualche dritta – speriamo utile – compilata da un non-milanese purosangue come il sottoscritto. Che il Manzoni mi perdoni se ogni tanto vado fuori dal seminato…
Siamo su Acquabuona.it: iniziamo dal bere
Il vino di Milano
Esiste un vino di Milano? Si, anzi, ce ne sono due. Fino a pochi anni fa San Colombano al Lambro ricadeva in provincia di Milano, e poteva quindi fregiarsi del titolo di unica appellazione vinicola milanese. Oggi invece è in provincia di Lodi, e il titolo di vino di Milano (nel senso di vigne più prossime al capoluogo) lo deve spartire per motivi geografici con i colli di Montevecchia, in Brianza.
Ecco quindi il derby enologico della Madonnina:
-San Colombano: 45 km di distanza da Piazza Duomo, una morbida collina morenica lasciata in mezzo alla pianura da un antico ghiacciaio. Regno di barbera, croatina, uva rara e merlot per le uve rosse, di verdea, malvasia e vitigni francofoni per le bianche. Produttore da tenere a mente: Az. Agricola Banino, di Antonio Panigada. Due etichette? Banino rosso giovane (frizzante, “el vin che el büscia”, in milanese, ottimo anche raffrescato, con gli affettati) e Banino vigna La Merla, dal muscolo giusto per mandar giù l’ossobuco.
-Montevecchia: 36 km dal cuore di Milano, provincia di Lecco, rientra nella Igt Terre Lariane. Ripida collina su substrato di arenarie. Sta riemergendo dopo anni di oblio con alcune aziende che hanno ripreso in mano un discorso di qualità. Vitigni storici non ce ne sono, è in larga parte vitata con varietà francofone. Il terreno esalta una spiccata sapidità. Aziende da tener presenti: La Costa (in particolare il loro Brigante, merlot affinato in acciaio, piacevolissimo) e Terrazze di Montevecchia (da provare il Terrazze brut, sorprendente metodo classico da sauvignon e viognier).
Un indirizzo per bere bene a Milano
… proseguiamo col mangiare
Due dritte mangerecce
1) La concretezza, l’accoglienza, il calore di un posto che funge come rifugio quando si cerca qualcosa di confortante. Sto parlando dell’Osteria dell’Acquabella. Trattoria tradizionale milanese, dove si va a mangiare la raspadüra, i nervetti, il risotto con l’ossobuco, dove il menù fa minimi ritocchi giusto tra estate e inverno – col freddo domina la cassoeula e la bistecca del magütt (chiedete in giro cos’è, se non lo sapete), con la bella stagione ci si “alleggerisce” per modo di dire con la rustisciada… Una bella carta dei vini per concedersi un rosso frizzante fresco quando si ha voglia di riposarsi, o un bel vinone quando si ha voglia di consolarsi. Ma il plus del locale è nell’oste: Renzo è unico, ha l’espressività dell’attore navigato ma la discrezione della lunga esperienza messa bene a frutto. El so mestée Renzo lo sa far bene, non c’è dubbio. I prezzi? Onestissimi. Via San Rocco, 11 zona Porta Romana.
Bonus: avevo detto due indirizzi ma… questo non posso non dirlo: volete stupirvi per il più sorprendente dessert che vi possa arrivare al termine di un pasto ottimo, di cucina creativa, in un locale di altissime professionalità? Andate in via Monte Grappa 6 ed entrate a Il Liberty, il locale dello chef Andrea Provenzani. Mangerete benissimo sia che siate in cerca d’innovazione, sia che siate in cerca di sicurezze. Ma al momento di ordinare il dessert, pronunciate una sola parola: “Smoke”. Non ve ne pentirete.
Gelato-gelato!
Misciolgo: assai fuori mano, verso il quartiere Bovisa, devi andarci di proposito perché non è un luogo di passaggio. Ma dopo non puoi fare a meno di tornare. Le origini e lo stile sono siciliane; vi si va per le imperdibili varietà di cioccolato, per la mandorla irresistibile, la grandissima nocciola, il pistacchio, la ricotta siciliana… I gusti frutta sembrano parimenti eccezionali ma… ci credete che non sono mai riuscito a distrarmi dalle creme? Via Varchi, 4, zona Bovisa.
Giova: nome breve, gelateria piccolissima, pochi gusti ma di una perfezione magistrale. Tra l’altro, se siete fortunati, lì trovate il gusto pinolo più buono a livello planetario. Mai assaggiata una cosa simile. Passione, competenza, saper fare, grandissimi ingredienti. In una parola, Giova. Corso Indipendenza, 20 (zona est, vicino Corso XXII Marzo)
Un po’ di storia
Milano romana
Curiosità
I fenicotteri in giardino!
Una banca da veri sciuri
Siete mai entrati in un caveau di quelli da film americano, con porte in acciaio spesse mezzo metro e le manopoline delle combinazioni? Bene, recatevi in Piazza della Scala, ed entrate nelle Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo. Niente paura, è gratuito (offrono i correntisti Intesa, tra cui io). Entrate, e ammirate lo spettacolare salone con gli sportelli in legno e marmo. Immaginate cent’anni fa i sciuri con panciotto e cilindro che si aggiravano qua dentro… Adesso, prima di iniziare la visita dei quadri (Tre Donne di Boccioni da solo vale il viaggio), con la scusa di andare in bagno, scendete i gradini che portano al caveau: eccolo là. Basta vedere quella porta blindata spessa mezzo metro e piena di meccanismi, che si torna bambini.
Milano “a ufo”
Una spigolatura, una chicca: conoscete l’origine dell’espressione “fare una cosa a ufo”, nel senso di “a sbafo”, senza pagare? La cosa è molto saporita. Ai tempi dell’edificazione del Duomo, i blocchi di marmo per la costruzione venivano estratti nelle cave di Candoglia e portati a Milano sulle chiatte lungo il Naviglio Ticinese. All’ingresso della città c’era il pagamento del dazio, ma tutto quello che era destinato alla Fabbrica del Duomo era esentato. Per questo, la Fabbrica faceva scrivere: Ad Usum Fabricae Operis (ad uso della fabbrica dell’Opera del Duomo) sui propri carichi. Che poi veniva abbreviato in Ad U. F. O. Naturalmente, qualcuno non tardò a capire che con un pizzico di creatività se ne poteva trarre vantaggio… Morale della favola, i barconi ad U.F.O si moltiplicarono esponenzialmente, e da lì nacque l’espressione che ancora oggi è usata per intendere di fare una cosa a sbafo.
Architetture
Architetture in bicicletta
Poco distante (via Lepanto), compaiono delle strane costruzioni a igloo, o a zuccotto, se preferite. Ne vennero costruite 12 nel 1946 dall’architetto Mario Cavallè secondo principi di uso dello spazio che arrivavano dagli Stati Uniti. Oggi ne rimangono 8.
Per gli appassionati di architettura razionalista, la visita alla Maggiolina non può concludersi senza passare ad ammirare le case rosa del quartiere Mirabello (via Vassallo e via Frignani). Costruite nel 1939, sono 12 palazzine in stile razionalista, dall’impatto visivo davvero coinvolgente. Ancora oggi appaiono modernissime.
Portaluppi chi?
Piero Portaluppi, architetto di roboanti costruzioni di regime (sua la progettazione del pesante Arengario in Piazza Duomo, dove ora è il Museo del Novecento) ma anche di splendide costruzioni civili. Merita la visita, proprio vicino ai fenicotteri, la Villa Necchi Campiglio (via Mozart 14). Bellissima villa anni Trenta, oggi tenuta aperta dal FAI, è un vero concentrato di innovazioni tecniche e di raffinatezza progettuale. Da visitare il giardino (gratis) e l’interno (a pagamento, ma vale la pena).
Sempre di Portaluppi, e qui totalmente gratis, la casa-museo Boschi-Di Stefano (via Giorgio Jan, 15). Qui grazie al Comune, proprietario della casa, e al Touring Club che permette l’apertura con i suoi volontari, è possibile visitare questa dimora completamente rivestita in ogni angolo di quadri d’autore. I Boschi-Di Stefano ne vollero fare un vero museo abitato. Tanto per intendersi: vi troverete opere di Boccioni, Birolli, Savinio, Soffici, Sironi, Morandi, Manzù, Fontana, Casorati. Visita gratuita, scusate se è poco.
Il gotico nella pianura
Arte
La sala XXIV o la sindrome di Stendahl
La sala XXIV in questione è quella della Pinacoteca di Brera. Varcate l’ingresso, entrate nell’atrio e non fatevi distrarre dal famoso sedere napoleonico della statua del Canova; salite, salite su e entrate in questo scrigno. Ce ne sono di cose memorabili. Il Cristo Morto del Mantegna, ad esempio o la Pietà del Bellini, o Tintoretto… Ma tra tutte, la stanza XXIV è quella a mio avviso più pericolosa per gli attacchi della sindrome di Stendahl. Tutti insieme, a fronteggiare il visitatore, Cristo alla colonna di Bramante, lo Sposalizio della Vergine di Raffaello, La flagellazione e la Madonna col Bambino di Luca Signorelli e infine la Vergine con Bambino e Santi di Piero della Francesca, detto anche la Madonna dell’uovo. Qui si perdono le parole, non c’è modo di dire niente. Pura bellezza enigmatica. Andateci.
Quale Novecento?
Certo, il Museo del Novecento (Piazza Duomo) è un po’ pesante da affrontare tutto insieme. Fate così: limitatevi a uno dei dipinti più carichi di significato che ci siano in Italia. Entrate, salite una rampa, voltatevi a sinistra e… avrete davanti il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo. Se non siete dei cuori di pietra, quel dipinto vi prenderà l’anima e ve la strizzerà come una spugna.
Paesaggi
Tangenziali e risaie, ovvero il riso in città
Le montagne
I navigli
Imperdibile una passeggiata nella Darsena appena rimessa a nuovo; un’occasione per vedere Milano sotto un’altro punto di vista. Sembra d’essere quasi in una città d’acqua, e si capisce meglio come i canali un tempo avessero per Milano una funzione vitale di comunicazione. Ma ci sono anche altri scorci che valgono la pena. Come ad esempio il naviglio della
Questa la Milano che mi piace; quieta, discreta, in cui la vita scorre tra lavoro e riposo, tra bellezza e viadotti ferroviari. Buon Expo a tutti!
ciao,
bellissimo articolo ricco di notizie e curiosita` sconosciute anche a chi e` della zona come me.
Solo una precisazione: il comune di San Colombano al Lambro continua tuttora ad essere in provincia di Milano (una vera e propria enclave dentro la provincia di Lodi). Per conferma controllare wikipedia e il sito ufficiale del comune
ciao,
Giuseppe