PREMESSE
Un appuntamento iniziatico e ludico-cultural-pagano per comprenderne più a fondo la personalità e la cifra stilistica. Per respirarne il prezioso anelito passando a debita distanza da notarili dissertazioni analitiche atte a classificare. E per onorare la memoria di Jean Louis Foucault, detto Charly, assieme al fratello Bernard (Nady) il vero artefice di certi miracoli liquidi. Indubbiamente, l’aver incontrato sul cammino un promotore attento e generoso come Claudio Corrieri, palato finissimo, collezionista giudizioso e valente ristoratore in quel di Livorno e Rosignano Solvay (leggi In Vernice e Lo Scoglietto), ha agevolato e di molto le cose.
Ora, il mondo è pieno di ovvietà. Anzi, il mondo si nutre di ovvietà. E così, in piena coerenza con questo rachitico asserto, sono solite muoversi le consapevolezze e le infatuazioni in materia enoica. Per tale motivo la storia di Clos Rougeard e dei suoi vini non riguarda né potrà mai riguardare i bevitori di etichette, ma solo e soltanto i veri appassionati.
Se ci interroghiamo quindi sulle attenzioni maniacali cui sono stati fatti oggetto recentemente i vini di questa cantina, con il conseguente fenomeno dei prezzi impazziti, l’inquietudine affiora. Sui mercati secondari scontano fino a cinque volte il prezzo all’origine! La loro reperibilità -per noi umani- va facendosi sempre più residuale e difficile. Un qualcosa che stona e infastidisce, come un noise. Perché lontano anni luce dalla sensibilità e dalla saggezza “antica” dei fratelli Foucault. Perché avviene loro malgrado. Perché questi gioielli si stanno definitivamente allontanando dal poter essere considerati un privilegio condivisibile. Ma c’è poco da fare: tirature limitate e domanda “esplosa”, in questo mondo di scambi ineguali, lasciano spesso primeggiare l’insensatezza.
Perché la vicenda di Clos Rougeard e dei suoi protagonisti contiene in sé tutti gli ingredienti giusti per scardinare ogni remora emozionale e portarti alla fascinazione. Una “rivoluzione silenziosa” la loro, come qualcuno intelligentemente l’ha chiamata. Vissuta nel segno dell’unicità, aggiungo io. Unicità di storia, di luoghi, di gesti e di pensiero. Fortunatamente, unicità di vini.
I LUOGHI
Nel Saumurois le AOC di riferimento si chiamano Saumur e Saumur-Champigny, e si distinguono per un fatto: Saumur è prevalentemente sinonimo di vini bianchi a rigorosa base chenin; Saumur-Champigny invece è una denominazione prepotentemente “rossista”. Una enclave particolare in cui le speciali condizioni pedologiche e climatiche hanno propiziato la crescita e la diffusione di una varietà a bacca rossa che ha trovato qui uno dei pochi posti al mondo in cui potere esprimersi da protagonista. Stiamo parlando del cabernet franc, localmente detto bréton. Che a Saumur-Champigny è divenuto nei secoli il vino-vitigno per eccellenza, così come nelle limitrofe AOC di Bourgueil e Chinon, e siamo già in Touraine.
Ebbene, in questa zona climatica a suo modo selettiva il clima, pensa un po’, è temperato. Oddio, già il nome della denominazione – dal latino campus ignis, les champs du feu, i campi infuocati- potrebbe far presagire qualcosa. E infatti a Saumur-Champigny registriamo la pluviometria più bassa di tutta la valle della Loira e, di contro, le temperature medie più alte! Non di rado assistiamo ad estati secche e siccitose. Questa particolarità, che di per sé favorirebbe la crescita e la maturazione di una varietà a vocazione tardiva come il cabernet franc, potrebbe presentare delle insidie, se non fosse che ci viene in soccorso il suolo.
Da questi suoli, come sempre, ne discendono inoltre la consistenza e la grana del tannino, soprattutto la sua straordinaria qualità, ciò che si riflette nella valenza dei vini del territorio, assai distintivi se raffrontati con tipologie simili, sia in termini di profondità che di spessore gustativo.
L’ultimo lascito di un mare che si è ritirato è costituto invece da conglomerati argillosi e/o silicei, depositatisi sopra gli isolotti tufacei. Ed è proprio in ragione della “tessitura” di questi conglomerati che nascono le differenze fra i vari registri aromatici riscontrabili nei vini. La natura sabbiosa di Les Poyeux per esempio (quantomeno le parcelle possedute da Clos Rougeard) si traduce in una fine aromaticità dalle venature floreali e speziate e in un gusto leggero, sollevato. La marcatura tannica è come un soffio, tanto che la versione proposta dai fratelli Foucault viene spesso apparentata ad un Pinot Nero, per flessuosità e garbo espositivo.
La natura più sentitamente calcarea della mitica parcella Le Bourg (assai sottile lo strato superficiale di argilla) rende una carnosità e una densità maggiori nel vino omonimo, assieme ad una stratificazione tannica più importante e ad una tessitura setosa, piena di sève.
I GESTI E I PENSIERI
Una “evoluzione all’indietro” proiettata nella contemporaneità, la cui guida etica può farsi discendere dal grande rifiuto opposto dal nonno e dal padre di Charly e Nady di fronte all’avvento della chimica, ed eravamo negli anni ’60 del secolo scorso. In quei frangenti la chimica incontrò terreno fertile anche e soprattutto lì, nella Loira, la cui valenza vitivinicola rimaneva invariabilmente schiacciata dal predominio delle due roccaforti del vino d’autore francese, Bordeaux e Borgogna. Il miraggio di poter conquistare mercati extra-locali potendo sfruttare produzione, scorciatoie e prezzi competitivi si impossessò degli insoddisfatti vignaioli loiresi. Quel gesto quindi, in tempi non sospetti e in direzione ostinata e contraria, fu visto dai più come strambo, snob e incomprensibile. Fatto sta che i Foucault, grazie a quel gesto, possono vantare oggi una delle poche vigne “vergini” di Francia, senza un’ombra di pesticidi o diserbanti.
Se poi dovessimo tradurre in pochi punti l’unicità della loro storia, dei loro intendimenti e della loro personalità citeremmo:
· ottava generazione di vignaioli a Saumur-Champigny. Oltre duecento anni di viticoltura consapevole. Ossia: famiglia ancestrale.
· vitivinicoltura à l’ancienne sotto l’egida di una manifattura super-artigianale. Ossia: due persone a far tutto. Non altri.
· viticoltura pulita e rispettosa degli equilibri ambientali. Ossia: vigne “vergini”
· selezione parcellare, o per climat, da tempi immemori.
· vigne vecchie con patrimonio genetico ricavato da selezioni massali: 80 anni di età per Le Bourg, quasi 50 per Les Poyeux
· enologia per niente interventista: lieviti indigeni, macerazioni adeguate, poca dinamizzazione dei mosti e dei vini, lunghi affinamenti in grotta, nessun collaggio o filtrazione
· proverbiale riservatezza: c’è da sudare per prendere un appuntamento o per fissare un incontro, stanti le difficoltà di comunicazione e i mezzi volutamente antiquati utilizzati in famiglia;
· fisique du rôle.
Eh già, le fisique du rôle…. i volti pronunciati, la stazza tarchiata autenticamente campagnard, i baffoni in evidenza, il carattere apparentemente burbero e la dichiarata idiosincrasia verso la comunicazione per come siamo portati ad intenderla nei tempi moderni, hanno decisamente alimentato un fiorire di aneddoti riguardanti i fratelli Foucault. Ma l’esteriorità mai come in questo caso può essere foriera di sviste. Perché è una pacatezza d’altri tempi ad accompagnarne l’eloquio e ad avvolgerne i concetti. Un grande esempio di coerenza il loro, di nobile compostezza contadina. Con la ferrea volontà di fare dei vini buoni e puliti, come i loro avi avrebbero desiderato, ed un malcelato fastidio nell’essere etichettati come appartenenti ad un filone “di pensiero” o ad un altro.
I toni iperbolici e l’aura mitizzata che si portano appresso ben volentieri si stemperano di fronte ai fatti. E i fatti qui si chiamano vini, necessario compendio per dare un senso a tutta questa storia. Sono loro il cuore del discorso. E tutto, di loro, potrai pensare fuorché non ci sia il cuore dentro.
I VINI
Uso di lieviti indigeni, legni piccoli come da tradizione (ma barrique anziché tonneaux), lunghe macerazioni, nessun interventismo, tanto riposo in fase di élevage, svolto in tali condizioni di umidità e temperatura che i Foucault sostengono essere fattori determinanti per sancire l’ormai proverbiale dinamica evolutiva dei loro vini (soprattutto Le Bourg). Tre le cuvée in rosso: il Clos (assemblaggio di più parcelle), Les Poyeux e Le Bourg (da singola vigna).
E se possiamo individuare nella freschezza acida il fil rouge accomunante le svariate espressioni in rosso di Saumur-Champigny prodotte sul territorio, ciò che ne rende il tratto “leggero” e bellamente gastronomico, sta nella naturalezza espressiva la dote aggiuntiva che segna la differenza e fa sì che si possa parlare di uno “stile Clos Rougeard”, quale mirabile esempio di spontaneità ed equilibrio. Una cosa che non si inventa ma che al tempo stesso sembra connaturata, intrinseca. Ciò che difficilmente puoi spiegare a parole, ma che troverà piena evidenza ad ogni assaggio.
Sta nell’intima accordatura delle infinite voci in sottotraccia, nella limpidezza fruttata, nella seducente tessitura aromatica, nella vibrante dinamica. Sta nella misura. Così come nella mancanza di orpelli e sovrastrutture.
Di fronte ai vini di Clos Rougeard non ti vien proprio da pensare a legno, tostature, alcol e altre amenità di natura tecnica o metodologica. Sono particolari non pervenuti. Nel frattempo, la “dimensione” e la stratificazione tannica, casomai, allungheranno il sorso alla meraviglia senza che per questo i vini rinuncino al carattere gourmand ed appetitoso che fa tanto Loira.
Les Poyeux è un rosso confidenziale, affilato, aereo e verticale. La fisionomia trasognante e delicata certifica la nordica trasfigurazione di un Cabernet Franc, che acquisisce qui movenze aggraziate e femminee.
Le Bourg è figlio del Mediterraneo, inarrivabile mix di tenacità ed eleganza, dal tatto setoso e dalla trama tannica raffinata. E’ carnosa sensualità, stoffa buona per i giorni di festa, incanto sospeso di dettagli e vibrazioni.
LA DEGUSTAZIONE
Nitidezza fruttata, acidità croccante, fermezza, eleganza e misura, instradate dai frutti rossi del bosco, dalla liquirizia, dall’eucalipto e dal pepe. Un pizzico di poivron a sottolineare il millesimo non perfetto ma chissenefrega: non una sfrangiatura, solo portamento e savoir faire. Con un garbo e una incisività che lasciano di stucco. Salivazione a mille e voglia di riprovarci.
SAUMUR-CHAMPIGNY LES POYEUX 2007
Rarefatto e circuitore, stilizzato ch’è tutto dire, gioca di chiaroscuro e il suo sorso è come un soffio, col manto tannico ricamato a punto croce. Non possiede la densità delle altre etichette in gioco, e forse neanche la stessa “idea” di longevità. Eppure oggi il cerchio si chiude attorno alla perfezione di un incantesimo apparentemente fragile ma struggente. Da bere a secchi, in sua compagnia starai bene.
SAUMUR-CHAMPIGNY LES POYEUX 2006
Impressionante analogia “pinotnereggiante”. Quasi fosse (ma non lo è) il più sgargiante fra i Nuits St Georges, ti inchiodano all’ascolto la fragola e il lampone, i sottintesi floreali, le scie di cuoio e terra lieve. La sgranatura tannica risolve in larghezza la piacevole veracità di fondo, a concretizzare una bocca meno profilata e “perfetta” rispetto a quella mostrata dai suoi fratelli. Ma solo per quei profumi cangianti e seduttori staresti ad “ascoltarlo” per ore.
Silhouette ispirata, tipica di una grande année. Colore ancora vivo, reso brillante dalla fremente acidità che ne innerva il sorso. Frutto (rosso & nero) croccante, balsamicità profonda, gusto serrato, incantevole finezza. Il tannino fa vibrare quel finale, contrastato e al tempo stesso elegantissimo, propositivo, lungo lungo. Chi gli ha fatto le carte lo ha chiamato vincente. Ma in questo caso lo zingaro non è un trucco!
SAUMUR-CHAMPIGNY LES POYEUX 2004
Qui se ne esce (più) evidente il coté minerale, ad alimentare fascino e dettagli aromatici. Poi una misura e un garbo espressivo étonnantes. La beva, al solito, è straordinaria e qualche piccola ruga nella maglia tannica non lede affatto il cuore del discorso. Che ci parla di purezza ed autenticità.
Finezza e portamento da grand vin. E classe cristallina: dall’attacco giù giù fin nelle intimità. Infiltrante, cangiante, propulsivo, nello sposare eleganza ed equilibrio presenta sviluppo sinuoso e finale lunghissimo, senza mai calcare la mano. Rispetto ai Poyeux di oggi, sebbene sia il più anziano, mostra una vitalità incredibile. E una dinamica interna inarrivabile ai più. Peonia, violetta e arancia sanguinella fanno da sensuale scorta al retrogusto. Con la nonchalance di un attore navigato, recita il territorio e celebra la bellezza. La sua compagnia un privilegio.
Crediti fotografici: la foto dei fratelli Foucault è stata tratta dal sito www.enogea.it
Si ringraziano Claudio Corrieri e lo staff del ristorante In Vernice di Livorno per l’accoglienza, l’organizzazione, i cibi e la simpatia. Lorenzo Coli e Leonardo Mazzanti per il contributo fotografico e la compagnia. Fra le foto, immaginabile, il sottoscritto alle prese con il racconto di una sera.
Grazie Fernando, avrei partecipato volentieri se avessi potuto.
Ma leggere il tuo racconto, sentito e forbito, mi ha reso più che partecipe della vostra esperienza.
Fabio Pracchia
Grazie Fabio, la prossima occasione vediamo di ritrovarsi assieme anche fisicamente!!!
ciao
Che dire, Fernando, un grande racconto, lucido ma emozionale, vibrante ed evocativo. Davvero un peccato non disporre del “teletrasporto” per essere lì in certe occasioni, ma mi associo al commento di Fabio nel porre nella dovuta evidnza la qualità di una sceneggiatura da “voce fuori campo” che mi suona nelle orecchie con la voce di Alberto Lupo (per chi se lo ricorda) e che mi catapulta fra le molteplici sensazioni che con l’estro del maestro e la delicatezza della poesia hai saputo maneggiare rendendole fruibili a tutti noi.
Grazie davvero Riccardo
emozionale anche il tuo commento.
a presto
Alberto Lupo
grande fernando leggendoti mi sembrava di essere stato alla serata
Ciao Fernando
Mi associo ai complimenti per il racconto della serata ma dato che l’ho sentito fortunatamente anche dal vivo ti ringrazio per la straordinaria e piacevolissima serata passata insieme.
Ovviamente mi auguro anche che siano ripetute 🙂
Auguriamoci possa essere la prima di una lunga serie. Gli stimoli (ed i vini) non mancano…..
ciao
fernando