Non sempre “parenti serpenti”. Qualche volta, infatti, il sangue del proprio sangue può essere una grande fortuna, specialmente se, oltre al legame parentale, si hanno anche gli stessi obiettivi e le stesse passioni. Tommasi in Valpolicella rappresenta uno dei migliori esempi di famiglie che hanno saputo remare all’unisono, e bene, per divenire un punto di riferimento nel mondo del vino italiano. Pochi mesi fa Tommasi ha festeggiato l’ennesima acquisizione, quella di Paternoster in Basilicata, che è andata a chiudere un cerchio importante per ciò che riguarda la loro presenza (vitivinicola) sul territorio nazionale.
Bello spiegare gli step di una famiglia che, nata nel 1902 grazie al bisnonno, che da mezzadro divenne poi proprietario di un piccolo pezzo di terra in Valpolicella, di strada ne ha masticata tanta. Oggi Tommasi, giunta alla sua quarta generazione, è proprietaria di 572 ettari vitati in tutto lo stivale, da nord a sud, e produce 3 milioni di bottiglie, numero destinato a crescere nei prossimi anni, quando anche la produzione di alcune delle ultime cantine acquisite sarà a regime. “Il progetto Tommasi Family Estates”, come ci racconta l’enologo aziendale Giancarlo Tommasi, “nasce nel 1997, proprio con noi che facciamo parte della quarta generazione. Oggi a mandare avanti la Tommasi siamo in nove, tra fratelli e cugini. Essendo la nostra una famiglia molto numerosa, avevamo l’esigenza di ingrandirci ed è per questo che abbiamo lavorato nel miglior modo possibile per poter crescere e creare basi sempre più solide per la nostra realtà. Insieme a questo progetto abbiamo portato avanti anche quello dell’ospitalità, un settore in cui crediamo e sempre più ancorato a quello vinicolo, che già aveva preso forma nel 1992 con l’apertura di Villa Quaranta, il nostro albergo, centro sportivo e benessere, in Valpolicella”.
La prima acquisizione extra Veneto è avvenuta in Maremma, con l’azienda Poggio al Tufo, che oggi comprende due tenute, Tenuta Rompicollo a Pitigliano e Tenuta Albore a Scansano, per un totale di 172 ettari vitati. Dopo la Maremma è stata la volta, nel 2012, di Masseria Surani in Puglia, un anno dopo di Caseo, in Oltrepò Pavese, nel 2015 di Casisano Colombaio a Montalcino ed infine Paternoster in Basilicata, dove però la Tommasi non è titolare al 100%, ma socia di maggioranza con la vecchia proprietà. Importante anche l’ampliamento della cantina madre, quella in Valpolicella, che oggi può contare su 205 ettari vitati, di cui 105 in Valpolicella Classica. Tra gli ultimi investimenti rivolti al miglioramento della qualità, quelli per le vigne Conca D’oro e Groletta le quali, insieme al vigneto Ca’ Florian, rappresentano il cuore produttivo per l’Amarone della casa, giunto quest’anno alla cinquantesima vendemmia.
E per dare voce a questo importante traguardo sono state stappate, per la stampa e per alcuni fortunati amici, quattro vecchie annate di Ca’ Florian, il cru che nasce dal vigneto più importante di Tommasi: composto da un terreno argilloso ricco in ferro e magnesio, è strutturato in filari a terrazzamenti, con il sistema della pergola. Da questa vigna, tra le più vecchie della Tommasi, nel 1990 ha preso vita l’Amarone Ca’ Florian.
I festeggiamenti hanno portato nel bicchiere quattro annate particolarmente differenti da un punto di vista climatico: 2003, 2007, 2008 e 2009. 2003: annata calda e con scarse precipitazioni. Il calore si ritrova al naso in cui l’alcol irrompe piuttosto decisamente. Le percezioni fruttate, accompagnate dalle note speziate, sono ancora molto intense. La bocca è ampia, calda, sa di frutta dolce e matura, pepe, noce moscata. Il tannino dichiara evoluzione.
2007: annata particolare, con una primavera mite e un’estate calda e secca, che ha anticipato la raccolta. Il bouquet è di frutta rossa ancora viva e ciliegia sotto spirito. L’assaggio lascia spazio alla tostatura, che ricorda il caffè. Piacevole la sapidità, accanto ad una sensazione alcolica più moderata rispetto al 2003 e ad un tannino più vivace.
2008: un’annata buona, dall’andamento equilibrato. Al primo impatto hai fiori rossi, poi china, marasca, pepe. Il tannino è scoppiettante ma ben integrato. Il finale di mandorla amara lascia la bocca fresca e appagata.
2009: un’annata calda, ma non soffocante, che ha favorito la qualità delle uve, a discapito della quantità. Marasca e fiori rossi, intense le note speziate. Al gusto è esplosivo, fresco, tannico, con una iniziale sensazione dolce che lascia poi spazio all’amaro del tannino, a chiusura del cerchio.
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