Arriva trafelata, dopo una discussione con le maestre del figlio, al L’U Winebar, il nuovo bistrot “di famiglia” in cui si mangiano piatti semplici con materie prime locali, ma curati da Alessandro Lestini, lo chef di ottima mano ed intelligente creatività del ristorante gourmet Le Melograne, interno al Resort a cinque stelle Le Vaselle, il cui nobile ed antico edificio si innalza poco più in là, separato da una stretta e graziosa via, e che proprio in questi giorni sta chiudendo per un periodo di lavori di ristrutturazione.
Una galassia a cui non mancano le stelle della conoscenza. Il Museo del vino (Muvit), inaugurato nel 1974 grazie alle competenze e alle intuizioni in ambito museografico di Maria Grazia Lungarotti, moglie di Giorgio e studiosa di storia dell’arte e di archivistica, è una sorta di British Museum della cultura agricola, dove passare (almeno) una giornata intera per vedere tutti i pezzi di una sterminata collezione di reperti dell’età del bronzo, di vasi greci (preziosa la coppa da simposio di uno dei “Piccoli Maestri” ateniesi del VI secolo avanti Cristo), anfore di terracotta, ceramiche medioevali e rinascimentali (anche dalla vicina Deruta) fino alle rappresentazioni novecentesche del mito di Dioniso e al Satiro di Cocteau. E poi le preziose manifatture in vetro, e le oltre 700 incisioni fra i cui autori si trovano Mantegna e Carracci. Il Museo dell’Olivo e dell’Olio (Moo) è più schematico e didattico. Partendo dell’illustrazione delle più importanti cultivar arriva ad elencare con sistematicità tutti gli usi non alimentari dell’olio, da quello curativo a quello energetico.
La lunga transizione dalla realtà pensata da Giorgio Lungarotti ad una azienda moderna e protagonista nei mercati si è computa a partire dalla sua morte grazie al contributo fondamentale del celebre enologo francese Denis Dubourdieu. La sua scomparsa, nel luglio scorso, ha lasciato un grande vuoto ma anche solide competenze in cantina. Per i vini bianchi si preferisce una vinificazione in cemento, mentre per i rossi, soprattutto le Riserve, contenitori di acciaio da 160 ettolitri permettono lavorazioni “puntuali”. Nella grande barriccaia affina il Rubesco Riserva Vigna Monticchio, che riposerà poi per quattro anni in bottiglia, nel buio e nel silenzio.
Anche se forse non ci sarebbe bisogno di ripeterlo, è il vino più rappresentativo della cantina Lungarotti. Proviene dalla vigna Monticchio, dodici ettari circa posti sulla collina di Brufa. Il sistema di allevamento degli anni 70 “a palmetta” con densità di impianto di 2000-2500 piante per ettaro è stato gradualmente sostituito dal guyot, con una densità di impianto di 4000-4500 piante per ettaro. Negli anni novanta non fu prodotto nel 1998, per una terribile grandinata, e nel 1999, l’anno della scomparsa di Giorgio Lungarotti. Negli anni Duemila manca la 2002 e mancherà la 2014. Negli ultimi anni la quota di canaiolo si è andata rapidamente riducendo finché, con la 2009, i tempi sono stati ritenuti maturi per far finalmente sedere il Rubesco Vigna Monticchio al tavolo dei grandi Sangiovese.
2009 (sangiovese; resa in vigna 60 quintali per ettaro; raccolta in ottobre; 15-20 giorni di macerazione, affinamento in botte e barrique per un anno, quattro anni in bottiglia).
Andamento stagionale buono, con una impennata di temperature verso fine agosto, qualche pioggia in settembre e uno splendido ottobre. Colore violaceo, naso pieno di frutta nera matura accompagnata da grafite e prugna; la beva è coinvolgente, setosa, scorrevole ma al tempo stesso dotata di bell’attrito (o grip che dir si voglia). Il finale, vibrante e slanciato, è accompagnato da un tannino finissimo.
Andamento stagionale alternante fra momenti di caldo torrido e raffreddamenti improvvisi, fino ad un buon settembre. Il naso è maturo e di buona profondità, e la trama che si avverte al palato è elegante e leggera. Finale brillante, di media persistenza e dai rimandi caffeosi.
2005 (sangiovese 70%, canaiolo; resa in vigna 40-50 quintali per ettaro; raccolta nella seconda metà di settembre; 25 giorni di macerazione, affinamento in barrique per un anno, oltre tre anni e mezzo in bottiglia)
Siamo in presenza di una vendemmia dalle quantità basse, climaticamente piuttosto regolare fino ad un abbassamento di temperatura nella seconda metà di agosto, con precipitazioni scarse. Si avverte un carattere di rusticità in un olfatto improntato su toni confetturati (prugna e mirtillo); anche qui beva scorrevole e leggera, siglata da un bello scatto finale accompagnato da freschezza e tannino fine.
Con questa bella annata molto regolare dal punto di vista climatico, termina il periodo di transizione post-Giorgio Lungarotti. Si osserva nel bicchiere ancora un bel colore porpora, e un naso assai persistente sfoggia un fruttato vivo affiancato da cenni di inchiostro. Spesso, denso, concentrato e nervoso alla beva, esplode letteralmente in un finale dalla persistenza monstre.
2000 (sangiovese 70%, canaiolo; resa in vigna 70-80 quintali per ettaro; raccolta seconda decade di settembre; 20 giorni di macerazione, affinamento in botte e barrique per un anno, tre anni in bottiglia)
Vendemmia piuttosto calda e siccitosa per la prima annata della collaborazione con Denis Dubourdieu. Naso vitale, un pochino acre, balsamico, che stenta ad espandersi, da cui emergono note di frutta nera matura, prugna e cioccolato. Ancora frutta matura in una beva innervata da acidità ben integrata, saporita anche se non particolarmente sfumata, che chiude piuttosto rapidamente.
1997 (sangiovese 70%, canaiolo; resa in vigna 60-70 quintali per ettaro; raccolta fra fine settembre e inizio ottobre; 20 giorni di macerazione, affinamento in botte e barrique per un anno e mezzo, quattro anni in bottiglia)
Come molti ricorderanno, il millesimo 1997, pur buono, fu forse un po’ troppo frettolosamente salutato come l’annata del secolo. Qui al naso spicca un frutto rosso suadente, l’amarena, la caramella di ribes e le venature di erbe aromatiche. Bella la beva, progressiva, elegante, che ben si diffonde in un finale saporito anche se non lunghissimo.
Figlio di un’ottima annata e immesso sul mercato solo nel 1986, si presenta con un colore granato dall’unghia più scarica e mostra uno spettro olfattivo che spazia fra la china, il rabarbaro, i toni affumicati, fino a lasciar trapelare spunti agrumati. La beva è compatta, fresca e dissetante, e arriva al finale saporita anche se un tantino asciugante.
1974 (sangiovese 70%, canaiolo, resa in vigna 80 quintali per ettaro; raccolta fra fine settembre e inizio ottobre; affinamento in botte per un anno, oltre cinque anni in bottiglia)
È il primo anno in cui il toponimo Vigna Monticchio appare nel nome del vino. Una buona annata che si riflette in un vino dall’olfatto affascinante, giocato fra spezie fini e sottobosco, timo e rosmarino. Bella struttura e trama setosa, ben fuse in un disegno gustativo che raccoglie progressivamente forza aromatica e spinge bene in un finale gagliardo.
Fuori verticale: Torgiano Rosso Riserva Rubesco Vigna Monticchio 2010. Un’annata pressoché perfetta si riflette in un olfatto puro, integro, persistente, che affianca un carattere floreale alla dote fruttata di mirtillo e mora fresca. Compatto e vellutato, concentrato e saporito, scalpita in un finale ancora contratto e marcato dal rovere.
Altri vini di Torgiano
Torgiano Torre di Giano. Inizialmente era un trebbiano toscano in prevalenza, poi ha visto negli anni crescere le percentuali di vermentino e grechetto fino all’uscita dalla Doc dove è rientrata a seguito di un cambio di disciplinare. L’annata 2015 (per metà vermentino, grechetto al 30% e trebbiano) esprime pulizia e persistenza al naso dove dominano fiori e frutta gialla, accompagnati da una sfumatura di miele d’acacia. Bella grassezza in una beva saporita.
Il Torgiano Rubesco 2013, il vino storico e al tempo stesso “quotidiano” della cantina, è fine e molto persistente al naso, dove si avverte una spruzzata di erbe aromatiche. In bocca è leggero, nervoso, si distende bene lasciando una lunga scia fruttata con il contributo integrato del rovere.
L’U 2014 (Umbria Igt), ultimo nato nell’ampia scelta di etichette della cantina ed a base di sangiovese e merlot, mostra un olfatto suadente, giocato fra la frutta rossa e nera matura e sfumature di cioccolato. Una maturità di espressione che si avverte anche al palato fin dall’ingresso, il rovere ammicca dando il suo apporto aromatico in un quadro di buona energia.
Venti ettari di vigneto in località Turrita di Montefalco, splendidamente arrossati in una giornata soleggiata di autunno, circondano la grande villa che ospita la cantina, ma anche maestosi saloni in cui si organizzano cerimonie ed eventi. Qui, dall’annata 2014, il Montefalco Sagrantino è un vino biologico, e mostra in generale un carattere elegante e suadente nel quale, compatibilmente con l’andamento stagionale, viene addomesticata con successo la possente carica polifenolica tipica del vitigno.
2012 (resa in vigna 50 quintali per ettaro; raccolta nella terza decade di settembre; 28 giorni di macerazione, affinamento in barrique per un anno, tre anni in bottiglia)
Frutto suadente in un olfatto in cui dominano ciliegia nera e ribes; al gusto parte imponente, per poi allargarsi e distendersi progressivamente, terminando succoso e di bella persistenza.
Olfatto elegantissimo, giocato fra spunti floreali, di grafite e di liquirizia, in un secondo momento affiancati da un lieve frutto rosso. Bocca scorrevole e vellutata, tannino possente ma ben imbrigliato in un finale percussivo.
2010 (resa in vigna 60 quintali per ettaro; raccolta a metà ottobre; 28 giorni di macerazione, affinamento in barrique per un anno, tre anni in bottiglia)
Naso improntato su frutto maturo e note speziate. Beva molto ampia, discreta struttura, finale in bella distensione.
2005 (resa in vigna 60 quintali per ettaro; raccolta a metà ottibra; 28 giorni di macerazione, affinamento in barrique per un anno, tre anni in bottiglia).
Naso ombroso ma profondo, grafitico e carnoso. Compatto e denso, mostra bello spessore gustativo e un andamento più ficcante che ampio.
Gallerie fotografiche
A Torgiano
A Montefalco
L’accoglienza
Nei musei