Alto Adige Wine Summit a Bolzano: una nuova idea di anteprima. Sensazioni, pensieri, assaggi/1

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alto-adige-wine-summit_logoBOLZANO – La prima volta. Per questo evento del vino altoatesino era la prima volta. Nelle intenzioni degli organizzatori, mi è parso di capire, l’esigenza di lasciare emergere le storie, grazie ai tanti focus dedicati a protagonisti e vini. E, assieme alle storie, l’intenzione di presentare alcune delle etichette più importanti traguardandole in una prospettiva “da anteprima”, tradottasi in banchi d’assaggio presieduti dai produttori stessi e da viversi in compagnia di vini già imbottigliati ma non ancora in commercio, senza alcuna apparente limitazione quanto a numero di etichette e di tipologie.

Che l’evento sia riuscito e sia stato un buon successo, pur avendolo vissuto parzialmente nella giornata dedicata alle anteprime, lo avevo già intuito al solo scorrere i nomi delle ben sessanta “firme” che hanno deciso di parteciparvi. Un dato sufficiente e concretissimo per realizzare che qualcosa sta cambiando, in termini di “presa di coscienza”, nella genìa dei vitivinicoltori sudtirolesi. Perché  – udite udite – da questa evidenza parrebbe che fare gruppo e presentarsi tutti assieme non sia più un tabù. Pensa te che bello, per una volta, mettere da parte le storiche, reciproche insofferenze riguardanti l’appartenenza ad una categoria o ad un’altra! E così è stato, perché a Bolzano, in quei giorni, era presente -in modo più o meno ripartito- la sacra triade delle strutture cooperative, delle aziende imbottigliatrici e dei vignaioli “indipendenti”, che fino a poco tempo addietro non sono proprio sicuro che avrebbero condiviso pacificamente uno stesso contesto.

L’altro aspetto che mi ha colpito è la scelta del periodo: sabato e domenica di un settembre inoltrato, stagione alta altissima per il turismo dei luoghi, d’accordo, ma soprattutto periodo cruciale per la vendemmia 2017, impegno pressoché irrevocabile per ogni cantina. E forse è stata proprio questa coincidenza temporale (o non si sarà mica trattato delle solite considerazioni “politiche”, dal momento in cui  – lo scopro adesso – l’Associazione Vignaioli Alto Adige organizzerà fra pochi giorni Vinea Tirolensis, pressappoco negli stessi ambienti?) a spiegare l’assenza di tanti piccoli vignaioli, molti dei quali esempi virtuosi e qualificanti della produzione enoica regionale. Basti pensare a territori basilari come Valle Isarco (sporadicamente rappresentata) o Val Venosta (per niente rappresentata), che assieme assommano almeno una dozzina di nomi importanti. Poi, se penso ai giorni scelti, sabato e domenica, viene da chiedersi: ma a chi è dedicato, in fondo, ‘sto Alto Adige Wine Summit?

Ora, se le iniziative rivolte alla stampa specializzata italiana ed internazionale (da quanto appreso “rimpolpata” da quella operante nel settore turistico e dei viaggi) erano tali e tante da fugare dubbi e farne comprendere chiaramente la dedica, è anche vero che l’apertura al sabato e alla domenica, a cominciare dal pomeriggio, non è che potesse favorire più di tanto l’accesso degli operatori del settore della ristorazione et similia. Perché in quei giorni lì, in quelle ore lì, qualsivoglia operatore ha da lavorare! Per cui verrebbe da dire che sia stato concepito anche per il popolo degli appassionati.

Comunque sia, fuor di elucubrazioni, nella consapevolezza che il parterre dei produttori era di una eloquenza tale da poter rigettare al mittente ogni velleità di critica, negli ambienti logisticamente appropriati della Fiera di Bolzano, in quella sala piccola e climaticamente accaldata da “tutti insieme appassionatamente”, tirava una bella aria. La disponibilità dei produttori era tangibile, ed è stato bello scambiarsi opinioni e sensazioni, così come istruttivo è stato comprendere il “ciò che sarà” dalla proposta d’alta gamma lì convenuta.

Nelle poche ore a disposizione, è pur vero, pensare di affrontare tutto lo scibile era impresa improponibile. Avevo voglia di bianchi, quello sì, e così è stato. “A taglio”, procedendo per ordine alfabetico come un volenteroso apprendista, taccuino in una mano e scarpe comode ai piedi, ho scritto di sensazioni, intuizioni, sorprese e conferme. Vista l’attualità della proposta, ancora da approdare sui mercati (nella maggioranza dei casi uscita prevista entro l’anno, in alcuni casi nei primi mesi del 2018), mi è venuto spontaneo di sintetizzarla in alcune suggestioni flash che, più di altre, mi hanno colpito e sulle quali varrà sicuramente la pena un supplemento d’indagine, una auspicabile bevuta condivisa o un incontro tutto nuovo.

ASSAGGI E SUGGESTIONI – PRIMA PARTE

Lo “sciardo”

Diversi i produttori che hanno optato per portare in degustazione selezioni di Chardonnay, vino-vitigno sicuramente blasonato (ed inflazionato) ma, a dire il vero, nelle versioni “nostrane” non propriamente avvezzo a scaldare il cuore degli appassionati più esigenti, forse fin troppo consapevoli che certe declinazioni “simil-borgognoneggianti”, alle nostre latitudini, si sono spesso tramutate in stanchi refrain.

Bene, fra i molti esemplari della specie presenti a Bolzano mi sono rimaste in mente tre o quattro cose, così come mi è rimasta in mente la mancata accortezza di non essere approdato, causa ressa, alla proposta sul tema offerta dal talentuoso vignaiolo meranese Hartmann Donà, che presentava una nuova preziosa selezione di Chardonnay chiamata Donà D’Or (vendemmia 2010), tirata in pochi flaconi, di cui si va dicendo un gran bene…..

La Cantina di Bolzano, per esempio, la cui vocazione rossista non è un mistero per nessuno, ha messo in campo uno Chardonnay Riserva 2015 molto fine (uve provenienti da Penon). Seducente sul piano aromatico (forse fin troppo esplicito), inappuntabile, delicato e pervasivo al gusto. E tanto fa.

Fra le sorprese più piacevoli annoto la proposta di recente varo di Schloss Englar, proveniente da Appiano, sottozona Pigeno (da leggersi “piganò”). Lo Chardonnay 2015, da vigne ultratrentennali, colpisce per schiettezza e pulizia d’impianto, senza tradursi però in un compitino accademico o disciplinatamente varietale, ma rilasciando semmai una sensazione di gradevolissima spigliatezza, che ha a che vedere con la sincerità e la disinvoltura.

Approdato ad un affinamento inusuale di ben sei anni sulle fecce fini, lo Chardonnay Ateyon 2011 della famiglia Loacker abbina corpo e struttura ad una articolazione rilassata e melodiosa, ispirando naturalezza e purezza espressiva.

Decisamente in crescita, invece, la produzione di Nals Margreid, che nel campo dei bianchi ha acquisito una tale sicurezza nel “tocco” da propiziare una più trasparente correlazione con il terroir. In questo senso, lo Chardonnay Riserva Baron Salvadori 2015 è apparso, fra gli Chardonnay affinati in legno, quello maggiormente equilibrato. La fibra e la stoffa del vino emergono bene, checchennedica la manifattura, imponendo all’attenzione degli astanti un sorso elegante e flemmatico, di bella souplesse.

continua…….

FERNANDO PARDINI

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